"Pirati"
per la libertà
L'Italia degli hackers
Agli inizi di giugno si sono riuniti a Firenze centinaia di giovani
per discutere su come difendersi dalle possibili censure su Internet,
sui diritti dei "navigatori" in Rete e sulla privacy.
Mille idee e corsi di alfabetizzazione informatica
di
Alessandro Ricci
La galassia Internet sembra essere un'arena assolutamente libera,
uno spazio senza confini che esalta la manifestazione di ogni pensiero
e opinione. Reale o apparente che sia, il carattere anarchico di
Internet è sicuramente la ragione vera del fascino della
Rete. Diffidenti nei confronti di ogni regolamentazione o potere
costituito, gli hacker (letteralmente "smanettoni", cioè
persone che sanno mettere le mani nei programmi dei computer) di
tutto il mondo si dichiarano i più strenui difensori della
libertà nel mondo wet.
Agli inizi di giugno, per la prima volta, la comunità hacker
italiana si è data appuntamento off-line, allo "Hack-it98":
una tre giorni di seminari, lezioni, eventi e navigazioni. Ospitati
nei locali di una fabbrica dismessa, alla periferia meridionale
di Firenze (un'area vastissima occupata da alcuni anni da un centro
sociale, nel tentativo di ostacolare la costruzione di un mega centro
commerciale) gli hacker della penisola hanno discusso di privacy
e di crittografia, illustrato CD-Rom autoprodotti, hanno allestito
un festival di Hacker-Art e, fedeli al principio di una rete accessibile
e governata da tutti per tutti, hanno organizzato un corso di alfabetizzazione
informatica.
Ma chi sono gli hacker italiani? Ai seminari del meeting, i volti
sono giovani ma non giovanissimi, in grande maggioranza maschili,
a conferma purtroppo che anche in ambienti "alternativi al
sistema", la parola tecnologia si coniuga poco al femminile.
Gli atteggiamenti, gli interventi, il linguaggio usato, sono tipici
del "hands on", letteralmente del "mettere le mani
sopra", filosofia hacker universale. Trent'anni circa, esperto
di "autodifesa digitale", Ferry Byte, - i nomi d'arte
sono un vezzo hacker comune - spiega: «Gli hacker non si accontentano
delle indicazioni ufficiali sull'uso delle nuove tecnologie, ma
ne sperimentano un utilizzo alternativo, mettendo a dura prova i
rigidi meccanismi di un apparecchio digitale. Un vero hacker, qualunque
siano le sue competenze tecniche, è interessato soprattutto
a rivendicare il diritto alla libera espressione e all'autogestione
delle risorse in rete».
Almeno un merito va riconosciuto ai "pirati" italiani,
ed è quello di essersi resi conto, già alla fine degli
anni '80, cioè prima dell'esplosione di Internet e del WorldWide
Web, della imminente rivoluzione operata dalla comunicazione digitale.
Molti di loro sono stati per anni sysop, amministratori volontari
delle prime comunità di discussione virtuali, ai tempi eroici
delle pionieristiche Bbs amatoriali. Da allora lo scenario della
comunicazione digitale è molto cambiato e molto ancora cambierà.
Ma oggi, nei seminari organizzati nei locali del centro sociale,
ci si chiede se l'avvento del commercio telematico trasformerà
Internet solo in un gigantesco ipermercato virtuale, o se la Comunità
Europea limiterà l'uso della crittografia. E si discute di
una temuta ondata di censura a livello internazionale, si analizzano
le tecniche che dovranno assicurare la protezione della privacy
e della riservatezza nelle comunicazioni telematiche. Luc Pac, in
rete da almeno un decennio, sysop storico della Bbs torinese Zero,
coautore di un manuale di crittografia a uso e consumo del vero
hacker, ricorda: «Mi sono avvicinato alla comunicazione digitale
quando ho visto la possibilità offerta dalle reti di mettere
in contatto tra loro, a basso costo, persone con interessi in comune».
Gli hacker chiamati a raccolta da questo meeting condividono alcuni
principi di azione, in particolare una grande diffidenza verso ogni
forma di potere, politico, economico, o mass mediatico. L'iniziativa
ha infatti rifiutato qualsiasi sponsorizzazione o finanziamento,
basandosi su una organizzazione collettiva e un programma elaborato
da una discussione in rete.
Il desiderio comune, emerso in questa tre giorni, è quello
di creare spazi di comunicazione assolutamente indipendenti. Per
tutta la durata della manifestazione, una stazione televisiva "clandestina"
ha trasmesso grazie a una improbabile antenna installata sui tetti
della ex-fabbrica. I fiorentini non si sono neppure accorti del
debole segnale. E' stata un'azione di disobbedienza civile forse
illegale, ma pacifica e innocua, condivisa da tutti i partecipanti.
Non bisogna pensare però, a Hack-it98 come al raduno di un
movimento organizzato, con principi tassativi, unità di vedute
e leader riconosciuti. Molteplici e contraddittori sono al contrario,
i riferimenti culturali e politici, dalla letteratura cyberpunk,
ben rappresentata al tavolo delle edizioni Shake di Milano, ai testi
del Sub-comandante Marcos.
C'è spazio per tutti. Leonardo Landi, "ignorante di
computer" ha presentato un CD-Rom autoprodotto con alcuni amici
conosciuti in un campo per nomadi. «Le tecnologie della comunicazione
-spiega- aiutano i processi mondiali di uniformità e colonialismo
culturale. Ma allo stesso tempo possono essere usate per mantenere
vive identità culturali periferiche e "perdenti".
Grazie alla videoregistrazione di una festa rituale di antica derivazione
sufi, la comunità Rom è riuscita a creare un documento,
una sorta di "autopubblicità", che li aiuta a salvaguardare
e mantenere coesa una cultura discriminata.
Allo stesso modo la parabola satellitare aiuta i profughi Rom della
ex-Jugoslavia a conservare la propria lingua e il legame con la
terra d'origine; Internet aiuterà ben presto a creare reti
di comunicazione sotterranee e alternative al grande sistema dei
media». Chiediamo a Luc Pac se domani godremo tutti di più
libertà. Lui ci guarda, sorride, e semplicemente risponde:
«Domanda da un milione di dollari. Non lo so».
(Ndr: ripreso da "Computer valley" supplemento de "la
Repubblica" del 16 luglio 1998)
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