ETICA
HACKER by Rattus Norvegicus
Internet 15.11.2001
Appunti veloci e divagazioni a "caldo" dopo la lettura
di "Etica Hacker" di Pekka Himanen (con testi di Linus
Torvald e Manuel Castel).
E' dunque uscita in libreria la traduzione in italiano de: "L'etica
hacker" di Pekka Himanem (Feltrinelli). Avevo segnalato il
libro in rekombinant qualche mese fa, grazie ai puntuali suggerimenti
della tifoseria della livornese (l'unica tifoseria, a dire il vero,
a cui sono disposto a concedere qualcosa).
Ora
di questo libro se ne parla smisuratamente un po' ovunque: alla
radio, sui giornali (Manifesto e Repubblica) e nelle discussioni
tra persone che si occupano di questi problemi. Inutile negare che
il testo tocca argomenti particolarmente sentiti: la privacy, il
rapporto lavoro/creativita', le nuove forme di organizzazione del
lavoro, il rapporto lavoro/tempo. Himanen del resto e' un allievo
di Manuel Castel, sociologo del lavoro che insegna a Berkeley e
che ha realizzato "The information age" opera monumentale
(1500 pagine) sull'era delle comunicazioni globali. Nel nel suo
aprire con l'etica del lavoro protestante e con una rapida esplorazione
delle analisi che ne ha fornito Weber, Himanen si mostra subito
acuto e persuasivo. L'etica protestante assorbe le rigide "regole"
del monachesimo medievale imponendo progressivamente all'occidente
un vero e proprio culto del lavoro. E' la "gabbia di ferro"
di Weber, la dimensione totalizzante di un eterno venerdi' da cui
viene espunto qualsiasi riferimento all'ozio come premio o consolazione
e qualsiasi appiglio alla festivita' domenicale come temporanea
anteprima del paradiso. E' altrettanto efficace la breve rassegna
di letteratura sull'etica protestante e preprotestante che Himanen
presenta attraverso una serie di citazioni - dal medioevo al rinascimento
- che mettono in luce assai bene il progressivo costituirsi del
lavoro come baricentro dell'etica religiosa occidentale. Il procedere
nell'analisi storica lo conduce poi, in modo prevedibile ma non
per questo inopportuno, alla consueta rampogna nei confronti del
Robinson Crosue di Defoe, figura letteraria che assume in se' l'arroganza
boriosa di un'etica lavorista ormai giunta alle soglie dell'industrializzazione.
Inevitabile,
e ben argomentato, a questo punto, l'elogio da parte dell'autore
dell'autodidattismo e di un tempo di lavoro asincrono, creativo
proprio in quanto svincolato dal ritmo scandito dalla regola dell'efficienza,
dalla timbratura del "cartellino" delle routine burocratica.
Frequenti e ben scelti, in questo contesto, i riferimenti alle filosofie
di vita dei vari guru Linux, da Stallman a Raymond fino al sommo
Torvald - (che tra l'altro ci delizia, in apertura, con un prologo
tutto suo in merito al come e al perche' ha fatto quello che ha
fatto) - filosofie ispirate a liberta' e autonomia, a valori etici
e a slanci affettivi e del tutto estranee ad obiettivi economicistici
o legati alla ricerca di potere sulle persone.
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"L'atteggiamento autoritario deve essere combattuto dovunque
sia, affinche' non danneggi te e gli altri hacker". (Raymond).
E' ricorrente, in questi riferimenti, e in tutto il libro, il tema
di un lavoro scelto per passione in opposizione a un lavoro scelto
per pura necessita' di sopravvivenza. Si ha pero' la sensazione
che questo, per Himanen, sia decisamente un problema di personalita',
o anche di rappresentazioni sociali o di credo, che non un problema
politico. Tanto che parlando di chi sceglie il lavoro per ragioni
di sopravvivenza Himanen non esita a puntualizzare:
"Nella loro accezione 'sopravvivenza' si riferisce a un certo
stile di vita socialmente determinato: non lavorano soltanto per
sopravvivere, ma per riuscire a soddisfare la forma dei bisogni
sociali caratteristici di una societa' ".
E'
sicuramente vero, del resto, che alcune divinita' dell'olimpo open
source sono riuscite ad arricchirsi divertondosi, al punto che spesso
non riescono a nascondere il proprio sconcerto per la fortuna che
gli e' toccata in sorte. Non manca quindi l'orgoglio per una creativita'
libera ma pragmatica, per l'efficacia di un modo non lavorista di
organizzare il proprio tempo di lavoro. Come se per il finlandese
etica e pragmatica del lavoro andassero verso una nuova sintesi
assolutamente non riconducibile ai modelli precedenti. Il che in
parte e' senz'altro vero, almeno di fronte al "fatto"
rappresentato da un sistema operativo come Linux. C'e' da dire che,
in merito a questa riflessione sulla qualita' del lavoro e al suo
rapporto con la creativita', possiamo vantare anche noi qualche
analisi approfondita e persuasiva, basti pensare al "manifesto"
di Bencivenga o, per altri versi, a "lavoro zero" di Bifo.
Ma
sottolinerei come Himanen ci conduca a riflettere non sul "rifiuto
del lavoro", ne' sulla "fine del lavoro" quanto su
un nuovo tipo di rapporto con il lavoro: un lavoro "ruminato"
lentamente e condiviso tra pari, in una formula che, come egli ci
dice, rimane sospesa tra "un'etica del venerdi' e un'etica
della domenica". Per questo il secondo capitolo, intitolato
"il denaro come motivazione", cerca di spiegare meglio
il rapporto tra hacker e denaro a partire dall'attuale passaggio
da un'etica del lavoro ad un''etica del denaro. La bilancia etica
individuale e collettiva si e' gradualmente spostata dal valore
lavoro al valore denaro. Se dunque oggi il denaro agisce su sentimento
di autogratificazione e sul bisogno di accettazione piu' di quanto
riesca a fare il lavoro, il rischio e' quello di buttare il bambino
con l'acqua sporca: perdere il senso del proprio agire nel nome
di un "mezzo" (il denaro) divenuto del tutto fine a se
stesso. L'hacker non rinuncia affatto a se' e men che meno al proprio
percorso individuale e autorealizzativo, ma sposta i termini del
confronto dal piano economico a quello sociale, puntando ad una
ritrovata autenticita' della propria attivita', del proprio agire,
affrancato dal rischio della crisi di senso che segue l'adesione
acritica al verbo semiocapitalista. Attraverso l'apertura verso
l'esterno della propria opera, attraverso il rifiuto dei brevetti,
l'hacker valuta l'efficacia, la consistenza, il "ritorno"
in termini di gratificazioni del proprio agire senza dover passare
per la gli ostacoli frapposti dal dominio gerarchico e dalle spinte
economiche. Il limite maggiore del libro, e' che la discussione
risulta completamente impostata sul costituirsi delle grandi ideologie
religiose del lavoro, al punto che il singolare nome del sito di
presentazione del libro " http://www.hackerethic.org ",
dopo la lettura pare seriamente invocare la ricerca di una nuova
eresia "hackerista" ispirata ad un ribaltamento dei tradizionali
valori fondativi del protestantesimo. Non a caso Himanen arriva
a proporre una divertente parodia deI giorno della creazione presentata
nella forma di un progetto messo in cantiere da una dot.com:
VERBALE
DELLA RIUNIONE INAUGURALE DEL COMITATO INCARICATO DELL'ORDINE DEL
GIORNO: LA CREAZIONE DEL MONDO.
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Carenti invece i riferimenti all'etica del lavoro capitalista in
senso moderno, assente Marx, latitanti anche gli epigoni che nel
merito qualcosa hanno pur detto; che so io? Gramsci, Sraffa, Neurat
etc. Questione non banale perche', mutate le forme del lavoro, non
mutano necessariamente le dimensioni dello sfruttamento ne' quelle
dell'alienazione. Himanen del resto se ne avvede e, in capitoli
come "lavoratori autoprogrammabili", coglie le modalita'
tipiche del lavoro flessibile:
" I professionisti dell'informazione devono imparare ad essere
in parte i manager di se stessi e a programmare la propria attivita'
in modo piu' efficiente nell'interesse del manager".
Per
questa via Himanen giunge ad evidenziare in modo semplice ed efficace
anche alcuni "arcani" dell'organizzazione del lavoro postfordista:
"Le dot.com esaminano gli stadi dei processi del business come
se fossero righe di codice di programmazione: quelle superflue (per
esempio nella distribuzione i grossisti e i rivenditori) vengono
eliminate, e le procedure lente sono riscritte da un punto di vista
del tutto nuovo per farle operare piu' velocemente". E poco
piu' avanti: "Alle proprie competenze fondamentali le aziende
connettono e disconnettono altre competenze a seconda delle necessita'
". Queste osservazioni conducono Himanen a cogliere una sorta
di "isomorfismo" tra le caretteristiche funzionali di
un calcolatore (multitasking, diagrammi di flusso, time slicing)
e le stretegie aziendali. In altri termini il modello di ottimizzazione
del calcolatore e delle reti e' stato sussunto all'interno dei modelli
di organizzazione aziendali. La conseguenza e' che la rete diviene
l'unica struttura destinata ad essere preservata e a sopravvivere
ai suoi stessi cicli, mentre i suoi occasionali interlocutori, le
sue interfacce umane, sono destinate all' emarginazione o all'obsolescenza.
E' insomma il capitale, ci piacerebbe suggerire, a farsi rete. Scrive
Himanen:
"L'unico limite sta nel mantenimento stabile della rete. Cio'
significa che e' difficile realizzare tutto questo senza allo stesso
tempo rimpiazzare l'etica con una filosofia della sopravvivenza".
E la filosofia della sopravvivenza, secondo l'etica hacker, e' un'autentica
jattura.
Per
questa via la critica si sposta dal piano sociologico a quello psicologico
passando in rassegna la nuova letteratura circolante del "management
personale" del lavoratore flessibile - un management del se'
che nel postfordismo ha detronizzato il management "del"
personale - in cui secondo Himanen: "L'essere umano viene trattato
come un computer, attribuendogli consuetudini mentali che possono
essere sempre riprogrammate in maniera migliore":
Qui
una rilettura di Techgnosis di Erik Davis risulterebbe feconda,
soprattutto per l'abilita' con cui Davis riesce ad avidenziare quanto
consueta sia la metafora del computer nelle varie "regole di
vita" proposte dai guru di numerose sette novecentesche (da
Ron Hubbard agli exstropiani). Mi pare comunque che alcune letture
"catastrofiste" delle dinamiche di rete, come ad esempio
quella contenuta in un capitolo di "giocare per forza"
di Ermanno Bencivenga, trovino delle conferme in questi passi del
testo del finlandese. La concezione di una rete a la' "matrix"
pronta a fagocitare la creativita' umana per suoi inconfessabili
fini e' ovviamente distopica, ma assume sfumature realistiche non
appena si rifletta su questi usi "aziendalistici" dei
modelli reticolari. Non a caso le sferzate di Himanem non si rivolgono
solo ai residui fordisti, ma anche a quella che egli definisce la
"network society". Una forma di organizzazione la cui
struttura appare prigioniera, incaprettata in un doppio legame:
quanto piu' compete ed emargina tanto piu' teme per la propria sopravvivenza:
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"Al professionista dell'informazione viene ricordato questo
aspetto della sopravvivenza quando qualche persona esclusa lo minaccia
inaspettatamente per strada o davanti a casa in pieno giorno".
Se la critica tirasse fuori gli artigli forse si arriverebbe a concludere
che la misurazione del rapporto tra attenzione e informazione disponibile
si trasforma, nell'organizzazione lavorativa postfordista, in un
nuova forma di controllo e di potere. Il lavoratore cognitivo viene
strappato alla continuita', ai progetti di lungo periodo, e quindi
riciclato costantemente a velocita' frenetica in nuove filiere produttive,
per impedire il costituirsi di una sua autonomia professionale.
(Sarebbe interessante riprendere una vecchia discussione svoltasi
in redditolavoro, tra Enkidu e Alex Foti, sul concetto di "capability").
Ma allora lavorare per "guadagnarsi la pagnotta" non e'
solo la conseguenza dei "ceppi mentali" ricevuti in eredita'
dal lavorismo o dall'etica protestante, ne' soltanto l'effetto di
un errore di misura del lavoratore circa il senso della proprio
vita. Si tratta invece di una delle condizioni necessarie perche'
sia garantita continuita' agli apparati del dominio. Ma per Himanen
c'e' solo un punto di incompatibilita', non una vera e compiuta
frattura, tra l'esigenza di controllo sociale che caratterizza l'economia
postfordista e la creativita' elevata a valore fondante della vita.
Anche per questo sento la mancanza, nella riflessione dell'autore,
di qualche esame piu' approfondito sulle teorie del lavoro in termini
psicofisiologici e cognitivi e, piu' in generale, sul background
teorico che fa da sfondo alle banalita' che e' facile collezionare
nei manuali di "personal development" (pd) cui Himanen
attinge con condivisibile ma fin troppo facile ironia.
Prende
invece assai sul serio, Himanen, le teorie classiche dell'evoluzione
della personalita' - a partire da quella di Maslow - che insistono
su un' idea di crescita individuale e collettiva fondata su un lavoro
creativo, lento e socievole, completamente liberato dai diktat imposti
dalle esigenze di sopravvivenza e ispirato a grandi valori etici.
Ma se e' senz'altro vero che una filosofia di vita che sappia guardare
all'autotrascendenza contribuisce positivamente alla ricerca individuale
della felicita' e del senso e' altrettanto vero che gran parte della
teoria del lavoro occidentale vede l'attivita' umana come una conseguenza
diretta ed esclusiva della "carenza" di bisogni fondamentali
come il cibo. Pertanto difficilmente si potra' supererare la difficolta'
teorica (ed empirica) rappresentata da chi lavora "per la pagnotta"
se non si mette in conto l'esame di quell'insieme di teorie "carenziali"
circa l'attivita' umana che sostengono la struttura capitalistica
e la sua concezione della "natura umana". Insomma: non
e' *soltanto* questione di religioni e dei principi etici ad esse
in vario modo connessi, ne' e' solo questione di voler superare
vecchi pregiudizi. Si tratterebbe invece di portare una critica
alle teorie dell'uomo che tentano di legittimare in termini naturalistici
la regola secondo cui l'individuo deve essere perennemente costretto
ad agire in "stato di necessita' " e in competizione con
gli altri uomini.
E'
tuttavia indicativo che, seppure in una nota, compaia nel testo
di Himanen un sostanziale riferimento al pensiero di Vygotskij,
fondatore di quella scuola storicoculturale al cui "cognitivismo
sociale" si ispirano oggi numerosi giovani studiosi nordeuropei
affascinati dal fenomeno Linux. Si tratta di un Vygotskij epurato
delle sue profonde radici marxiane ma che ugualmente finisce con
il costituire una seria alternativa al postbehaviorismo lavorista
che domina incontrastato la psicologia del lavoro anglosassone.
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Del resto Pekka Himanen e' davvero un "entusiasta" e quindi
non fa gran fatica a riprendere la celebre definizione di Merton
in merito al "comunismo" che caratterizzava l'etica scientifica
affermatasi nel corso della rivoluzione rinascimentamentale. Fino
a cogliere in quattro righe i termini di un dibattito su cui tanto
pensatori come Carlo Formenti quanto gran parte di quello che si
potrebbe definire il postoperaismo italiano si spaccano la testa
da diversi anni:
"Questo
paradosso e' al cuore della nostra epoca: infatti, se si considera
seriamente la dipendenza delle aziende tecnologiche dalla ricerca,
si potrebbe dire che il dilemma etico che si trovano a fronteggiare
i capitani d'impresa nella nuova economia dell'informazione e' che
il successo capitalistico e' possibile soltanto se la maggior parte
dei ricercatori resta 'comunista' (nel senso di Merton)".
Salvo
poi specificare con dovizia di argomenti, in parte condivisibili,
che in effetti: "Non si tratta veramente di 'comunismo' : il
comunismo e' un modello di autorita' centralizzata, il comunismo
e' una forma di economia statalista, e cio' e' estraneo agli hacker.
"
Se
dunque, come abbiamo piu' volte sostenuto anche in rekombinant,
l'etica hacker viene paragonata a quella della rivoluzione scientifica,
il "modello accademico aperto" del rinascimento si trasforma,
per Himanen, nella nascente "accademia della rete". Di
qui preoccupazioni e incertezze, del resto non solo sue, circa la
possibilita' di estendere con qualche efficacia tale modello "accademico"
oltre la programmazione, verso un novero di saperi e comportamenti
oggi apparentemente meno compatibili con la struttura rete. Dagli
"alberi della conoscenza" di Levy alle ipotesi circa le
assemblee elettroniche (Magius), fino alle varie proposte in merito
alle banche del tempo, il problema rimane aperto. Con tutta la simpatia
per l'approccio - in gran parte condiviso da chi scrive - suggerirei
volentieri all'autore di tenere in considerazione anche testi come
"Le bugie della scienza" del prof. Di Trocchio (Mondadori).
Servirebbe quantomeno a bilanciare l'entusiasmo. Perche' sebbene
l'accademia platonica a cui si ispira Himanen ne esca indenne, in
quel libro il mondo accademico occidentale dei nostri giorni viene
visto in controluce, attraverso una lunga ed impietosa messa a nudo
delle sue molte e frequenti nefandezze. Ma forse Himanen sosterrebbe
che proprio la "pubblicita' " della scienza, costituisce
il miglior antidoto nei confronti delle spinte cialtronesche che
attraversano il mondo della ricerca. E su questo, magari con le
dovute cautele, si finisce volentieri con il dargli ragione.
D'altra
parte cio' su cui Himanen insiste e' la sfasatura tra il tempo ferocemente
ottimizzato dell'economia di rete e il tempo "asincrono"
che caratterizza il lavoro creativo. Di qui un elogio spassionato
della lentezza: "L'etica richiede un pensiero senza fretta".
E, sempre in onore della lentezza, il finlandese annoda una serie
di illuminanti aforismi, caustici nei confronti del progressivo
insinuarsi del "time management" nel tempo intimo del
gioco e dell'affettivita': "Le persone una volta 'giocavano
a tennis' oggi 'lavorano' sul rovescio". (Rybczynsky)
e nei confronti dell'automatizzarsi della vita relazionale: "Dopo
cena alcune famiglie siedono sul divano, silenziose ma rilassate,
a guardare delle sit-com in cui madri, padri e figli televisivi
parlano animatamente tra loro" (Hochscild).
Fino
alla celebrazione entusiasta di un progetto ideato da alcuni dei
fondatori dell' Electronic Frontier Foundation e definito da Brian
Eno con il suggestivo nome di "orologio del lungo adesso".
Manca pero' qualsiasi critica alla competizione come filosofia di
vita e non si rilevano elementi capaci di mettere a nudo il contrasto
tra una concezione dell'attivita' umana come competizione e una
concezione collaborativa come quella che ispira Linux. Questo, che
a me pare un problema "etico" sostanziale, a Himanen non
deve sembrare un argomento molto rilevante.
D'altra
parte il libro contiene tutti i "must" del pensiero hacker:
tutela della privacy e delle minoranze, culto delle tecniche di
crittografia, avversione per la segretezza e per il copyright, difesa
degli spazi sociali e della vita relazionale e affettiva.
Ma
il tutto sembra penzolare pericolosamente su un difficile crinale
teorico: il tempo asincrono della creazione e' compatibile con gli
interessi dominanti ? E le pratiche collaborative non vanno forse
a cozzare contro l'etica della competizione ?
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