Editoriale: due profezie Sembra che sul tema dell'internet
ci sia una tendenza straordinariamente diffusa a fare profezie. Come ho
già notato nel primo numero di questa rubrica, quasi nessuna profezia
finora si è avverata (se qualcuna si è avvicinata ai fatti,
si tratta solo di probabilità statistica: quando si prevede tutto
e il contrario di tutto, è inevitabile che talvolta qualcuno, per
caso, ci azzecchi). Azzardare qualsiasi previsione in un simile contesto
può sembrare pura follia. Ma ho deciso di correre questo rischio.
La mia previsione è: ciò che accadrà non sarà
uguale ad alcuno degli scenari di cui oggi si parla più diffusamente.
Ammetto che non è difficile fare una previsione come questa. Anche
in situazioni meno nuove, più mature, e meno esposte a sconvolgimenti
improvvisi, tutti gli analisti concordano sulla complessità dei
sistemi, sull'importanza degli scenari improbabili, sulla fondamentale
necessità di avere metodi, strutture, strategie e comportamenti
flessibili. Uno dei misteri della nostra epoca è il fatto che queste
analisi non si traducono quasi mai in fatti: né nelle grandi imprese,
né nelle strutture politiche e amministrative. I sistemi rimangono
rigidi e gerarchici. Sperimentiamo tutti i giorni l'inefficienza che ne
risulta. A prima vista può sembrare che una simile premessa porti
alla mancanza di qualsiasi soluzione pratica. Secondo me, è vero
il contrario. Ci sono due considerazioni da cui mi sembra derivino conseguenze
molto concrete. La rete è uno strumento che permette, più
di qualsiasi altro, di procedere per continua sperimentazione e verifica.
È un territorio ideale per strategie flessibili, per esplorare
e ricercare mentre si agisce. L'assenza di rigidità e di proiezioni
limitate o limitanti può essere vissuta e utilizzata come una risorsa
anziché subita come un problema. Chi meglio di altri saprà
agire in questo modo, ne avrà un concreto vantaggio competitivo
- e potrebbe ricavarne insegnamenti applicabili anche fuori dalla rete.
· È perfettamente possibile, come dimostra un esempio che
citerò più avanti, costruire all'interno della rete un proprio
territorio specifico. Se il mondo "generale" della rete e delle
reti è imprevedibile, un territorio di cui l'impresa è esperta
lo è molto meno; ed è anche, in buona misura, controllabile
e plasmabile secondo le proprie strategie. Dialogo, interazione e servizio
sono le chiavi per costruire la propria "isola nella rete" che
non è asservita alle tecnologie, o ai fenomeni generali della cultura
e dell'economia, ma può semplicemente seguirli e utilizzarli secondo
il proprio, originale progetto. L'esperienza già dimostra che questa
è una carta vincente: e credo che ne vedremo molti altri esempi.
E poiché ormai sono in preda a un richioso "raptus" profetico...
vorrei azzardare anche una seconda previsione. Tutti i fenomeni nella
rete hanno avuto finora, e avranno nei prossimi anni, un andamento discontinuo.
È noto che le tendenze sociali ed economiche (come tutti i fenomeni
biologici) non hanno andamenti in linea retta, né "esponenziali"
(termine, chissà perché, usato troppo spesso e a sproposito)
ma seguono una curva che alcuni chiamano sinusoidale e io preferisco chiamare
"semicampana di Gauss". Ha un aspetto simile a quella riportata
qui accanto. Ma credo che nel nostro caso non ci sarà un'evoluzione
riconducibile a una curva semplice. I motivi sono due. Nei fenomeni nuovi,
c'è molta discontinuità. Diceva brillantemente, quindici
anni fa, John Naisbitt in "Megatrends": «The gee-whiz
futurists are always wrong because they believe technological innovation
travels in a straight line. It doesn't. It weaves and bobs and lurches
and sputters.» Che significa, più o meno: «I futurologi
del sensazionale sbagliano sempre, perché credono che l'innovazione
tecnologica proceda in linea retta. Non lo fa. Oscilla, rimbalza, sbanda
e traballa». La rete non è un fenomeno unitario. Se analizzassimo
il mercato di un elettrodomestico, o il consumo della nutella, o la diffusione
degli zainetti fra gli studenti, vedremmo una partenza graduale, un'accelerazione,
poi un rallentamento quando il mercato raggiunge la saturazione, o maturità:
curve coerenti e in buona parte prevedibili. Ma si tratta di fenomeni
unitari, definibili in base a un unico, specifico comportamento umano.
La rete invece è la somma di un'infinità di fenomeni e comportamenti
diversi, che si incrociano e si sovrappongono. Ognuno di questi, se riuscissimo
a isolarlo, potrebbe percorrere una "gaussiana" precisa. Ma
la somma e l'intreccio inestricabile delle curve difficilmente darà
luogo a un andamento coerente. L'unica cosa che possiamo aspettarci con
un ragionevole livello di credibilità è che il fenomeno
continuerà a crescere; e lo farà in modo discontinuo, con
accelerazioni e rallentamenti.
2. Scrollone o scrollatina? Il tema del hangover, del dopo-sbornia, di
cui parlavo nel primo numero di questa rubrica, dopo più di un
anno di discussione non si è esaurito. In Italia i dubbi sembrano
espressi più spesso da sdegnosi intellettuali, sempre più
preoccupati dall'idea che si possa dare voce al "profano volgo";
mentre gli "addetti ai lavori", con poche lodevoli eccezioni,
continuano a cullarsi in un ormai stanco ritornello di "magnifiche
sorti e progressive". Ma altrove, e specialmente negli Stati Uniti,
i dubbi si esprimono e si analizzano in modo molto più concreto.
Perfino Nicholas Negroponte, il più noto profeta di mirabilia (anche
se le sue osservazioni sono spesso più sensate delle interpretazioni
che ne danno i "discepoli") in un recente articolo sente la
necessità di rincuorare i suoi seguaci: «abbiate fede, non
badate gli scettici, il grande futuro sta arrivando davvero». All'inizio
di quest'anno il Wall Street Journal, in un articolo intitolato Reality
Hits the Internet si chiedeva se fosse davvero possibile fare quattrini
in rete. Il tema era stato ripreso da molti giornali; si parlava di investimenti
senza ritorno, del fallimento di siti di apparente successo come la "soap
opera" online chiamata The Spot. Si citava un dirigente della Time
Warner che aveva definito il super-sito del suo gruppo, Pathfinder, come
un "buco nero". Il New York Times tirava le somme con il titolo
The Great Web Shakedown - press'a poco "il grande scrollone Web".
Il 14 aprile Steven Levy su Newsweek approfondisce il tema, con il titolo
What Shakeout ? in cui sostiene che non si tratta di un crollo, né
di un terremoto, ma di un assestamento... appunto uno shakeout, una scrollatina.
Grave per chi ne rimane vittima, ma non drammatica per il mercato in generale.
Levy fa notare che gli editori, che hanno fatto pesanti investimenti,
non si stanno ritirando dai "buchi neri" ma continuano a investire.
Spiega anche che molte imprese non sono entrate in rete con l'aspettativa
di profitti immediati; e tuttavia alcune stanno già guadagnando,
"anche senza vendere fotografie di donne nude". Fra queste CNN
Interactive, che ha fatto investimenti pesanti e comincia a ottenere i
primi profitti. Il Wall Street Journal ha 70.000 abbonati via rete, e
alcuni suoi spazi pubblicitari sono venduti con mesi di anticipo. Perché,
si chiede l'articolo, ci sono siti importanti che chiudono, e tanti altri
perdono colpi o si stanno scoraggiando? Perché molti si aspettavano
troppo, troppo presto. La mentalità da "febbre dell'oro"
aveva portato troppi a credere che bastasse affacciarsi in rete per arricchirsi.
Alcune iniziative erano appoggiate da venture capital, con molta fretta
e poche idee. Pochi hanno capito che ci vuole investimento costante, pazienza
- e una raison d'être. Un altro problema, osserva Newsweek, è
che ci sono troppi pretendenti per una quantità di investimenti
pubblicitari troppo piccola. Si stima che fossero 300 milioni di dollari
nel 1996 - una cifra che, vista dall'Italia, può sembrare grande,
ma è lo 0,3 per cento degli investimenti pubblicitari totali negli
Stati Uniti. Cita i noti esempi di successo, come la libreria Amazon,
frequentata anche da molti habitué italiani della rete, e Federal
Express che offre ai suoi clienti la possibilità di controllare
in rete il percorso di ciascuna loro consegna (cosa che fanno anche i
suoi principali concorrenti). Così facendo, FedEx non solo dà
un miglior servizio, ma risparmia qualcosa su ogni spedizione. Quanto
è grande il "qualcosa"? La International Customer Service
Association stima che si tratti di un milione di dollari al mese. Ma,
come sempre accade nel mondo dei pionieri, per ogni cercatore d'oro che
trova una miniera ce ne sono molti che rimangono delusi. Secondo Newsweek,
si tratta di assestamenti inevitabili; di cui è vittima soprattutto
chi non sa capire i veri valori dell'interattività e non è
capace di cambiare il suo modus operandi per adattarsi alle esigenze della
rete e sfruttarne le possibilità. Da noi, la lezione dei fatti
è diversa? Credo di no. Il quadro è lo stesso, anche se
su scala molto più piccola. Con quelle particolari difficoltà
che derivano dall'immaturità della rete in Italia, ma con quelle
interessanti possibilità, specialmente all'esportazione, che derivano
dalla natura e vitalità di molte nostre imprese.
3. Diamo i numeri? Alcuni lettori mi hanno scritto per chiedermi la mia
opinione sui dati diffusi da Alchera il 21 marzo (e riferiti, come sempre
in modo acritico, da alcuni giornali) secondo cui il numero degli utenti
internet in Italia avrebbe avuto una brusca impennata, salendo in sei
mesi da 584.000 a 1.377.000, con una crescita del 136 per cento. Devo
confessare che, almeno per ora, non ho informazioni sufficienti per poter
fare un'analisi seria di queste stime. Non si può dedurre gran
che da uno scarno comunicato-stampa; né la "cartella"
distribuita ai giornalisti offre molte possibilità di approfondimento.
Suscitano qualche dubbio anche i nuovi dati diffusi da Nielsen sull'utenza
Internet negli Stati Uniti e in Canada, secondo cui si sarebbe arrivati
a una penetrazione molto alta: il 23 per cento sull'intera popolazione
(17 per cento per World Wide Web). Secondo questa fonte, sembra che la
maggior parte degli utenti faccia un uso sporadico della rete: le persone
che si sono collegate negli ultimi tre mesi sarebbero il 10 per cento
della popolazione, cioè quattro "utenti" su dieci. Il
15 per cento degli utenti internet americani avrebbe fatto almeno una
volta "acquisti in rete"; non sappiamo per quali prodotti, se
non per l'ovvio fatto che si tratta principalmente di software. Spero
di avere presto informazioni più precise, su queste e altre fonti;
se e quando avrò avuto il modo di approfondirle, potrò esprimere
un'opinione meditata. In generale penso che l'analisi di questi dati possa
essere interessante, ma che le cifre totali siano sovrastimate (come risultava
anche in passato per stime di questo tipo). Ci sono due strade per verificare
questi dati e per cercare di avvicinarsi a stime più realistiche.
La prima è un'analisi approfondita delle ricerche. In decenni di
esperienza pratica non ho mai considerato concretamente utilizzabile un
dato di ricerca se non ne avevo una documentazione esauriente, con la
possibilità di approfondire la metodologia, compresa la struttura
delle domande e delle risposte. Anche quando (come credo sia vero in questo
caso) dal punto di vista statistico la metodologia è accettabile,
occorre una verifica sul significato dei dati. Sappiamo che c'è
una grande differenza "fra il dire e il fare". Sappiamo che
(specialmente in Italia, dove c'è una forte disparità fra
il "rumore" su internet e la sostanza) ci sono persone che "credono"
(o "dicono") di essere su Internet e non hanno un modem. Ho
letto e ascoltato solenni conferenze "ex cathedra" di persone
che non conoscono la differenza fra un collegamento in rete e un cd-rom.
Ciò che non so, e (almeno finora) non sono in grado di misurare,
è quanto questi fenomeni incidano sui numeri che vediamo diffusi.
La seconda strada è il confronto con fonti diverse. Se da altre
valutazioni (per esempio il numero di modem venduti, o di contratti con
i provider) risultasse un'analoga "impennata" nello stesso periodo,
ne dovremmo dedurre che è in atto una vera accelerazione. Finora
non mi risulta che ci siano questi riscontri. Un dato preciso esiste:
ed è il numero di host misurato dal RIPE. Possiamo discutere quanto
vogliamo sul significato di questi numeri, ma - come ho già detto
nel primo numero di questa rubrica - non credo che si possano considerare
irrilevanti. Dal settembre 1996 al marzo 1997 il numero di host italiani
è cresciuto da 131.328 a 218.407, cioè del 66 per cento.
Una crescita notevole, e superiore alla media europea; ma inferiore alle
previsioni e proiezioni "fantastiche" di cui troppo spesso si
parla. Per il momento posso solo dire che i dati disponibili non sono
sufficienti. Se dovessi tentare una stima con quello che i francesi chiamano
il "pifometro", cioè "a lume di naso", direi
che forse stiamo arrivando oggi (nella definizione più estesa del
concetto di "utente") a quel mezzo milione che l'AIIP aveva
dichiarato alla fine del 1995, e che allora tutti i giornali italiani
avevano accettato come "certezza". Nella definizione più
rigorosa (abbonamenti ai provider) potremmo aver raggiunto, o forse superato,
le 100.000 unità. Secondo me il problema, nella ridda dei numeri,
è produzione di "delusioni artificiali". Se il fenomeno
fosse sempre stato osservato con uno sguardo più sereno, staremmo
constatando che la crescita è, davvero, veloce. Ci sembra lenta,
e deludente, solo perché troppi l'hanno sovrastimata - e continuano
a farlo. Ciò che mi preoccupa delle previsioni fantasmagoriche,
come delle promesse esagerate che molti hanno fatto e continuano a fare,
è che sono autolesioniste. Se mi metto alla guida di un'automobile
di media cilindrata, con un motore moderno, e la confronto con macchine
simili di qualche anno fa, probabilmente sarò felice delle sue
prestazioni. Ma se qualcuno me l'avesse venduta dicendomi che è
una Ferrari... Occorre chiudere la "fabbrica delle delusioni"
per potersi concentrare su ciò che davvero la rete può offrire.
4. Dieci criteri Non credo nelle formule e nei "decaloghi".
Ma senza la sciocca presunzione di stabilire regole, o peggio ancora definire
"comandamenti", ho cercato di riassumere in dieci semplici punti
quello che mi sembra di avere imparato in alcuni anni di attenta osservazione
del fenomeno. Non so se fra un anno si potranno confermare questi princìpi
o sarà necessario cambiarli. Per il momento, spero che siano utili.
Li ho scritti per un libro, di prossima pubblicazione, in cui questo elenco
è alla fine: cioè dopo che ognuno dei punti è stato
analizzato. Qui, siamo ancora all'inizio del percorso. In parte, sono
temi che ho già svolto; cercherò di approfondire gli altri
nei prossimi numeri di questa rubrica.
I. Rispettate l'intelligenza dei vostri interlocutori. Il modo più
rapido per farsi nemici gli utenti della rete è trattarli da stupidi.
II. Se non avete un'idea precisa su come la rete si adatta alle vostre
esigenze, non affacciatevi con proposte generiche. Aprite un osservatorio
per imparare.
III. Non pensate mai alla rete come un sistema di macchine, tecnologie
e protocolli. Consideratela sempre e solo come una comunità umana.
IV. Georges Clemenceau diceva: «La guerra è una cosa stroppo
seria per lasciarla fare ai generali». Oggi forse direbbe: «La
rete è una cosa troppo interessante per lasciarla gestire solo
ai tecnici EDP».
V. Non fate spamming. Qualsiasi risultato che possiate ottenere in quel
modo è una vittoria di Pirro.
VI. Imparate la cultura della rete e la netiquette. Può darsi che
la cultura "storica" della rete sia un po' elitistica: ma prima
di tentare di superarla è meglio capirla.
VII. Prima di pensare alla cosa più ovvia, un sito Web, analizzate
con attenzione tutte le altre possibilità che la rete vi offre.
VIII. Non mettete una pagina sulla rete se non avete un'idea chiara di
chi è la persona che dovrebbe leggerla e di che cosa quella persona
considera interessante.
IX. Non riempite le vostre pagine di orpelli, fronzoli, giochi, aggettivi,
effetti, suggestioni. Chi viene a cercarvi in rete vuole informazioni
chiare e precise.
X. Se proprio dovete (o volete) avere un vostro sito, tenetelo vivo. Se
non siete in grado di aggiornarlo e rinnovarlo continuamente, non apritelo.
Soprattutto... armatevi di pazienza e di costanza. Fare marketing in rete
non significa vendere un singolo prodotto o servizio, ma costruire rapporti
duraturi. Il valore più grande è la fiducia del cliente.
Bisogna saperla conquistare, dedicandogli molta attenzione; e conservarla
non tradendo mai le sue aspettative.
5. Dov'è l'Italia? Se dovessi disegnare una vignetta satirica per
rappresentare l'arretratezza italiana nella rete, non avrebbe l'aspetto
di questa strana carta geografica. Perché se è vero che
non siamo fra i paesi più avanzati, la presenza dell'Italia non
è meno rilevante di quella della Grecia o della Bulgaria. Il fatto
curioso è che questa immagine si trovava in rete, su www.microsoft.com/europe/msdn/eurodocs/
- e quella pagina è scomparsa poco dopo che ne abbiamo dato notizia.
Pochi giorni più tardi, una carta dell'Europa è apparsa
in una pagina diversa; e questa volta l'Italia c'è. Si trattava,
evidentemente, di un banale errore; anche perché dallo stesso sito
Microsoft risulta che l'Italia è uno dei paesi in cui è
disponibile il servizio MSDN. Per quanto involontario potesse essere,
il "lapsus" è sintomatico. E conferma anche una delle
regole classiche della comunicazione: occorre badare a tutti i dettagli,
per evitare di trasmettere segnali diversi da quelli che erano nelle intenzioni.
6. Un caso esemplare Non c'è abbondanza di casi italiani documentati.
Credo che le esperienze delle imprese (positive o negative) siano numerose;
ma sembra molto difficile, almeno per ora, avere informazioni precise
su situazioni concrete. Come se chi ha esperienze negative si vergognasse
di rivelarlo; e chi invece sta ottenendo buoni risultati preferisse tenere
per sé il segreto del suo successo. Considero molto interessante
il caso, davvero "esemplare", descritto da Giuseppe Caravita
in un articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore il 18 aprile. Uno dei tre
soci della Movity di Udine, Luigi Boschin, è un esperto in elettronica
e nell'uso della rete; altre persone nelle famiglie dei fondatori hanno
esperienza in questo campo. La telematica è presente nella cultura
aziendale fin dalla nascita, due anni fa, di un prodotto tecnologicamente
nuovo: uno scooter elettrico, con particolari qualità di efficienza
e autonomia. Poche settimane dopo che il prodotto si è affacciato
in rete, nasce in dialogo con un imprenditore americano, che non solo
è un esperto di motori elettrici ma è un ambientalista militante.
Si stabilisce una collaborazione tecnologica e commerciale fra le due
imprese, la Movity in Italia e la Zap in California, con ulteriori miglioramenti
dei prodotti e con un rapido e crescente sviluppo delle vendite. Ora siamo
alle soglie della fusione fra le due aziende, con investimenti a sostegno
della crescita finanziati da una raccolta di capitali sul mercato americano
- che avverrà, per la seconda volta, tramite internet. La Movity,
che ha già avuto una crescita molto veloce, prevede un raddoppio
dei posti di lavoro dopo la fusione, perché oltre alla "seconda
generazione" del suo scooter fabbricherà anche i prodotti
Zap per l'Europa. Il caso mi sembra esemplare per molti motivi convergenti.
La cultura della rete come parte integrante della strategia d'impresa.
Il dialogo, l'esplorazione, la scoperta, l'interattività, la flessibilità,
la partnership. La sinergia dinamica di diversi fattori di successo. Credo
che esistano già oggi molti esempi, altrettanto illuminanti, non
ancora pubblicati. E soprattutto che esistano moltissime possibilità,
per ogni sorta di imprese, di ottenere risultati non meno brillanti -
se sapranno trovare il punto di saldatura fra le possibilità offerte
dalla rete e le loro particolari risorse e qualità.
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