L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione

 

 

Il termine hacker fa scattare un riflesso condizionato: il pensiero corre immediatamente a imprese criminali - violazioni di conti bancari e sistemi di sicurezza militare, sabotaggi di siti aziendali, ecc. - compiute dagli ambigui personaggi - un po' cialtroni un po' Robin Hood - di film come Johnny Mnemonic e Codice Swordfish . Ma è evidente che Pekka Himanen - un giovane ricercatore finlandese che lavora fra Helsinki e Berkeley - c'entra poco con questo cliché, anche se ha scritto un saggio (che sta per uscire da Feltrinelli) in cui esalta l'etica hacker: sia per l'aspetto da bravo ragazzo, sia perché basta leggere il titolo del suo libro per intuire che qui si ragiona di tutt'altro. L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione , facendo il verso al capolavoro di Max Weber, svela subito l'intenzione dell'autore: associare l'entusiasmo per le nuove tecnologie a un nuovo modo di concepire il lavoro che rappresenta anche un'inedita filosofia di vita. Ridotta all'osso, ecco la tesi: la weberiana etica protestante - linfa della società capitalistica - concepisce il lavoro come missione fine a se stessa, come dovere e valore al tempo stesso, mentre la ricchezza prodotta conferma lo stato di grazia di chi la produce. Per gli hacker - intesi come pionieri entusiasti delle nuove tecnologie - i motori dell'azione sono invece la passione per l'oggetto del lavoro e il piacere che essi ne traggono, mentre il premio consiste nel riconoscimento da parte della comunità dei pari e il conseguente senso di appartenenza.
Himanen accetta la sintesi ma precisa: "Nel libro cerco di spiegare che l'etica hacker non riguarda solo chi traffica con il computer e naviga in Rete: nel mondo, e non solo nei Paesi tecnologicamente avanzati, c'è sempre più gente che cerca di fare le cose in modo diverso, che ricava soddisfazione dal carattere creativo della propria attività e dalla possibilità di svolgerla nell'ambito di una comunità più che dai soldi guadagnati".
Ma la comunità citata ad esempio nel libro, cioè quella degli sviluppatori di Linux, il software open source creato da un altro noto hacker finlandese, Linus Torvalds (autore del Prologo al saggio di Himanen e di cui è appena uscita una biografia per i tipi di Garzanti), rappresenta una élite tecnologica relativamente ristretta. Inoltre, pur criticando il software proprietario delle corporation, e pur praticando un "comunismo delle idee" fondato sulla condivisione delle conoscenze, essa appare a sua volta costretta a scendere a patti col mercato...
"E' vero - ammette Himanen -, ma anche se non posso negare che il nostro tempo sia ancora caratterizzato dall'etica protestante e dallo spirito del capitalismo, e che la sfida lanciata dalla cultura open source appaia ancora minoritaria, io penso che questa cultura sta crescendo rapidamente: c'è sempre più gente convinta che il denaro non sia la cosa più importante nel lavoro e nella vita, che crede nella possibilità di fare le cose in un modo più aperto, solidale ed etico".
Questo vale anche dopo la crisi economica e gli attentati dell'11 settembre: non stiamo andando verso una realtà che impone piuttosto di fissare nuovi limiti alle libertà economiche e politiche? "Non credo - ribatte Himanen -, prima della crisi e delle Twin Towers tutti erano troppo impegnati a fare soldi e a giocare con le nuove tecnologie per interrogarsi sul senso del proprio agire. Oggi le domande sul valore di ciò che facciamo diventano urgenti. E' chiaro, per esempio, che non si può combattere il terrorismo rinnegando valori fondamentali della nostra cultura quali la privacy e la libertà di parola: i terroristi non ce li possono togliere, solo noi li possiamo tradire. Perciò l'etica hacker , che è sempre stata in prima linea nel difenderli, svolge oggi il ruolo di indurci a riflettere meglio su quanto facciamo. Per esempio: ci fa capire l'urgenza di condividere le conoscenze tecnologiche e scientifiche: la tutela dei brevetti sul software fa danni limitati, ma quella dei brevetti sui farmaci può avere un impatto devastante: si è visto in Africa con i farmaci anti Aids e ora gli americani lo stanno verificando con in farmaci contro l'antrace. Diventa sempre più difficile difendere il punto di vista di chi fa soldi sfruttando conoscenze collettive che appartengono all'intera umanità".
Un'ultima domanda: perché la piccola Finlandia sforna un numero così elevato di prodotti high tech e intellettuali hacker ? "Avanzo tre ipotesi: in primo luogo, il nostro entusiasmo per la tecnologia deriva dal fatto che, fino a un secolo fa, lottavamo ancora per sopravvivere al clima, e solo il progresso tecnico ci ha fatto uscire da questa condizione, poi abbiamo un sistema educativo molto avanzato e gratuito che consente di selezionare talenti in tutti gli strati sociali, infine la nostra cultura non si è mai lasciata travolgere dalla frenesia per il guadagno tipica di altre nazioni occidentali: per noi è ancora più importante fare lavori creativi e vivere bene che accumulare soldi".

[A cura di Formenti Carlo]

 

 

Il libro di Pekka Himanen, che un così vasto dibattito ha suscitato negli Stati Uniti, approda nelle librerie italiane a distanza di pochi mesi dalla sua apparizione per i tipi della Random House, grazie all’eccellente traduzione di Fabio Zucchetta per Feltrinelli. Fin dal titolo, che vuole ricalcare quello dell’opera forse più fortunata di Max Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1904-1905), l’autore si propone di istituire un raffronto tra l’etica che ha incarnato i valori di una certa struttura economico-produttiva e un nuovo modello di etica che starebbe emergendo in connessione all’affermarsi di una serie di mutamenti significativi nel medesimo quadro produttivo e che vengono sinteticamente presentati dal sociologo statunitense Manuel Castells nell’epilogo del libro. Detto altrimenti, all’etica del lavoro e del denaro propri del pensiero protestante, che secondo lo studio di Weber avrebbe rappresentato un contributo decisivo alla nascita ed all’affermarsi del capitalismo, si andrebbero sostituendo secondo Himanen altri valori che, nati dal mondo dell’hacking, si starebbero diffondendo in ambiti sempre più estesi della nostra società, in relazione al passaggio ad un nuovo paradigma tecnologico che ne starebbe plasmando l’intera struttura materiale.
Accogliendo le tesi di Castells, infatti, secondo Himanen ogni transizione storica è legata allo sviluppo ed al diffondersi di un nuovo tipo di tecnologia, che comporterebbe, all’interno di una determinata società, la riorganizzazione attorno a quest’ultima innovazione dell’intera gamma delle tecnologie disponibili, accrescendo al contempo le performance di ciascuna di esse. Il paradigma tecnologico attuale sarebbe quindi quello dell’informazionalismo, che si caratterizza non tanto per la centralità giocata dall’informazione nella generazione della ricchezza e del potere (in tutte le società storiche infatti è possibile, sempre secondo Castells, riscontrare questa centralità), bensì per l’accresciuta capacità umana nell’elaborazione di questa informazione a seguito, in particolare, delle innovazioni introdotte nella microelettronica e nella ingegneria genetica.
Ora, questo mutamento di paradigma, come nota Himanen, non si è automaticamente tradotto in un mutamento anche nei valori espressi dalla società nata da questa transizione: la network society, ovvero quella struttura sociale flessibile, senza centro, fatta di realtà interconnesse tra di loro in modo rizomatico e che rappresenta la forma di organizzazione sviluppatasi sulla base della nuova tecnologia produttiva, in verità ha continuato a funzionare secondo la logica dell’etica precedente. Anzi, la società dell’informazionalismo ha rappresentato per molti versi il compimento più puro ed essenziale dei principi dell’etica capitalista del lavoro e del denaro (il lavoro come dovere connesso alla massimizzazione del proprio reddito). La new economy non raffigurerebbe che una nuova fase di sviluppo del modello capitalistico di produzione, nella quale la realizzazione di plus-valenze è e rimane l’obiettivo ultimo, il fine ultimo della creazione. Non solo, ma nella società contemporanea si è assistito all’estensione del modello di ottimizzazione e compressione del tempo, propri dell’organizzazione sociale del lavoro dell’economia capitalistica, anche nella sfera privata: la colonizzazione del tempo libero, del tempo non lavorativo è risultata totale e, come ipotizzato da Marx nei Grundrisse (ma a questi Himanen non fa riferimento), funzionale proprio al mantenimento del processo di realizzazione del plus-valore. Lungi dall’essere scomparso il taylorismo, nella sua versione aggiornata ed ottimizzata dall’automazione, è diventato per Himanen l’architrave dell’organizzazione di ogni aspetto esistenziale nella network society. L’idea stessa di flessibilità — così cara anche a taluni "intellettuali" di casa nostra — rappresenta bene questa idea di un tempo nel quale il lavoro è pensato in una valenza centrale così forte per la vita delle persone (ed il senso della loro stessa esistenza), che il tempo di non lavoro è a sua volta concettualizzabile solamente in termini di disponibilità per brevi intervalli di lavoro.
Ma questo quadro, ricostruito con buona lucidità da Himanen, anche attraverso il riferimento all’opera più organica di Castells sull’argomento (The Information Age, Blackwell, Oxford 1996), potrebbe aprire anche ad opzioni diverse di organizzazione sociale. Il discorso dell’autore diviene allora, e credo proprio in questo senso, etico, nel senso più forte del termine. La proposta che viene discussa è infatti quella di un diverso atteggiamento nei confronti tanto del lavoro che del denaro, ed implicante una diversa concettualizzazione della collettività, come è emersa anzitutto proprio nella cerchia dei protagonisti della prima delle due innovazioni tecnologiche sopra menzionate: gli hackers. I sei capitoli, suddivisi in tre parti, del libro si articolano infatti ad illustrare — uno per capitolo - i valori alternativi di cui questi ultimi si sarebbero fatti portavoce in alternativa a quelli affermatisi nella società dell’informazionalismo.
Chiarita la distinzione tra hacker e cracker, intendendo — contrariamente alla pubblica opinione — soltanto con questi ultimi i responsabili dei più frequenti crimini informatici, Himanen passa dunque in rassegna quei valori dell’etica hacker che dovrebbero sostituire le sette virtù cardinali, come lui stesso le chiama, della nuova professionalità della network society (determinazione verso un obiettivo, ottimizzazione del tempo, flessibilità nell’approccio all’obiettivo, stabilità nel perseguirlo, laboriosità, denaro, misurabilità del risultato). Il concetto centrale, attorno al quale ruotano gli altri sei valori, risulta allora essere quello della creatività, ovvero "[…] l’uso immaginativo delle proprie capacità, il continuo sorprendente superarsi e il donare al mondo un nuovo contributo che abbia un reale valore" (p. 108), che si estrinseca anzitutto nella passione, come quell’atteggiamento di dedizione ad un progetto che caratterizza la disposizione hacker verso il lavoro. Questa passione porta ad un superamento della dicotomizzazione tra tempo lavorativo e tempo libero, in un’ottica di flessibilità che tuttavia si presenta con caratteri di radicale diversità rispetto a quelli costitutivi del precedente modello: per l’hacker significa la capacità di autorganizzare la propria vita sulla base di personali esigenze, sfuggendo ad una organizzazione ripetitiva e cadenzata della giornata. Significa, ancora, combinare in modo meno rigido dell’attuale i momenti del lavoro con quelli dedicati alla famiglia o agli amici o al divertimento. Il consacrarsi ad un progetto può allora portare un hacker a lavorare nel cuore della notte o per giorni interi, ma per libera scelta. La libertà viene quindi a presentarsi come l’altro pilastro dell’etica hacker del lavoro. Nella seconda parte è invece la centralità del denaro che viene posta in discussione. La scelta di un lavoro, di un progetto, il dedicarsi al suo sviluppo non sono immediatamente legati ad una esigenza di fatturato, di plus-valenza: ciò che attira l’hacker è invece il valore sociale di ciò che sta compiendo, la possibilità di compiere qualcosa di creativo che abbia un valore per la comunità, che possa essere riconosciuto come tale e che possa quindi essere condiviso, sulla base del valore dell’apertura che caratterizza il lavoro di ricerca nella comunità scientifica. L’ultima parte è dedicata, conseguentemente, a quella che Himanen chiama netica (nethic). Da non confondere con la netiquette, ossia i principi di comportamento adottati per la comunicazione in rete, la netica si sviluppa dalla riflessione attorno ai diritti fondamentali del cyberspazio: libertà di parola, censura, privacy, accesso al net. Tradotti in valori questi diritti corrisponderebbero all’attività, ossia la fattiva e completa libertà di espressione di ognuno al fine di porsi come soggetto attivo all’interno della comunità, ed alla caring, alla responsabilità verso la possibilità di accesso di tutti al network, in opposizione tanto alla passività quanto al principio di esclusione che, secondo l’autore, caratterizzerebbero il funzionamento della nostra società.
Come detto, tuttavia, questa visione etica che Himanen ci sottopone è tuttavia da intendersi come dimensione del possibile, ed in questo credo risieda la debolezza della sua analisi. I fenomeni che lui stesso sottopone al lettore dicono che lo spirito che presiede alla società attuale non ha mutato i propri dispositivi di funzionamento: lungi dall’aver sostituito quell’etica protestante del lavoro e del denaro che Weber aveva per primo colto come elemento centrale nell’affermarsi del capitalismo, l’etica hacker si presenta più come una sfida lanciata alla società dell’informazionalismo che come suo spirito. Ed una sfida che non raccoglie, per ammissione dello stesso autore, neppure l’accordo di tutti gli hacker sulla totalità dei suoi capisaldi. E’ quindi un etica di nicchia, se è concesso l’utilizzo di questo termine, un’etica confinata ad un gruppo di persone delle quali il capitale — dall’alto della sua potenza — può permettersi l’esistenza (e delle quali peraltro si è anche giovato per l’implementazione dello sfruttamento). E’ un’etica, tuttavia, che può essere forse utile come parametro per valutare da una prospettiva diversa quei mutamenti in atto sotto i nostri occhi e verso i quali sembriamo poco meno che ciechi: l’esempio relativo alle letture possibili del concetto di flessibilità va in questa direzione. In conclusione, il libro di Himanen è un documento senz’altro importante sul dibattito in atto attorno alle trasformazioni prodotte dalla cosiddetta terza rivoluzione industriale, sui meccanismi che presiedono la nostra società e sui valori che ancora, dopo tutti i dibatti sulla fine delle ideologie, la pervadono (e ci pervadono), e che tuttavia fallisce nella pretesa di rappresentarsi come un percorso alternativo praticabile.

[A cura di Dagradi Sergio

 

 

Come ripensare l'etica del lavoro nell'era digitale? è questo il tema di fondo affrontato da Pekka Himanen nel saggio "L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione", edito in Italia da Feltrinelli.
Una delle novità più importanti dei tempi recenti nel settore dell'Information Technology è costituita senza dubbio dall'affermarsi di un nuovo paradigma open source di sviluppo del software. Esso prevede, contestualmente al rilascio di un prodotto informatico, anche il rilascio del cosiddetto codice sorgente, rendendo così pubblica la struttura e il funzionamento interno del prodotto stesso e consentendo a chiunque, utilizzatore o programmatore, di verificare, correggere, modificare ed estendere il prodotto stesso.
Himanen considera questo passaggio come centrale per sviluppare le sue teorie. Viene infatti in questo modo favorita la libera circolazione di informazioni tra coloro che producono software, per professione o per diletto, determinando la nascita spontanea di comunità di sviluppatori, talora costituite da migliaia di persone. Da tali comunità, che hanno in Internet il naturale ecosistema in cui nascere e proliferare, proviene il software attualmente in grado di competere, sovente con maggior grado di affidabilità, con i prodotti delle grandi multinazionali del settore. L'esempio più significativo è certamente costituito dal sistema operativo Linux, ideato nel 1991 dallo studente finlandese Linus Torvalds e portato avanti con il contributo degli sviluppatori di tutto il mondo. Si tratta probabilmente del primo grande esempio di delocalizzazione spontanea di un processo di lavoro complesso.
Secondo l'Autore, proprio Linus Torvalds rappresenta il simbolo dell'etica hacker, così come già prefigurata da Steven Levy nel suo "Hackers: Heroes of the Computer Revolution" del 1984 e ripresa ed ampliata dal saggio di Himanen. L'idea di hacker che egli propone, tuttavia, è ben diversa da quella diffusa nella comune accezione. Assume, infatti, come vedremo, una connotazione positiva.
Già nella prefazione viene in questo senso operata una distinzione tra gli hackers, al lavoro dei quali si deve secondo Himanen la base tecnologica della nostra nuova società - in particolare Internet e il Web - e i crackers, criminali informatici come quelli che sviluppano virus o penetrano in sistemi protetti per commettere danni.
Internet così com'è conosciuta ed utilizzata oggi è per l'Autore un prodotto della cultura hacker. Creata originariamente circa trent'anni fa da un'idea del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti come infrastruttura di comunicazione per scienziati e militari, Internet è stata trasformata dallo sforzo degli hackers nel medium che è oggi. La motivazione di coloro che vi hanno contribuito è stata quasi sempre quella di creare degli strumenti per un uso migliore e più divertente della Rete, secondo il principio che "la condivisione delle informazioni è un bene positivo di formidabile efficacia" e " che sia un dovere etico condividere le loro competenze scrivendo software gratuito e facilitare l'accesso alle informazioni e alle risorse di calcolo ogniqualvolta sia possibile".
Saremmo in presenza, insomma, di un apparente paradosso. In un momento storico nel quale il concetto di proprietà è stato esteso anche alla produzione immateriale e al mondo intellettuale in una misura che non ha precedenti (si paventa persino un'estensione del "copyright" al genoma umano, codice informativo per eccellenza dei sistemi biologici), il progredire della tecnologia, che ha un impatto sempre più consistente sull'organizzazione delle comunità umane, è in gran parte dovuto al principio esattamente opposto della libera circolazione delle informazioni e alla loro condivisione.
Himanen descrive l'hacker come una persona estremamente appassionata del suo lavoro e convinta del suo valore intrinseco, essendo motivata più dall'idea di realizzare qualcosa di socialmente utile piuttosto che semplicemente "fare dei soldi" e, più in generale, come "un entusiasta di qualsiasi tipo nell'ambito della propria attività". Pertanto, secondo Himanen, il concetto di etica hacker travalica i confini dell'universo informatico per divenire il segno di un "rapporto appassionato con il proprio lavoro". In questo senso un'artista o un astronomo che inseguono le proprie inclinazioni piuttosto che il facile successo economico possono essere considerati hacker nell'accezione di Himanen.
Circa la definizione del ruolo sociale ed individuale del lavoro, Himanen contrappone il concetto di etica hacker a quello di etica protestante individuata circa un secolo fa da Max Weber nel suo "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo", come tratto distintivo di un nuovo modello di ethos nell'era della società digitale globalizzata.
Himanen descrive il sistema di valori dell'età industriale come diretta emanazione dell'etica del lavoro protestante, secondo la quale il lavoro è lo scopo principale della vita degli individui e, quindi, costituisce un dovere ed un fine in sé stesso. Egli afferma che questa visione è così capillarmente diffusa nella cultura occidentale da aver reso la centralità del lavoro e l'enfasi sui profitti assimilabili a veri e propri tratti distintivi della natura umana. I gravami di questa eredità culturale vengono illustrati da Himanen attraverso riferimenti che spaziano da Platone alla crisi dei rifugiati del Kosovo del 1999.
Il saggio è strutturato in tre parti. Un prologo di Linus Torvalds, che spiega in prima persona il sistema di valori alla base della sua personale attività, delineando le origini dell'etica hacker, la successiva esposizione di Himanen, e infine l'epilogo di Manuel Castells, sociologo e autore della trilogia "The Information Age: Economy, Society, and Culture" .
Himanen conclude il testo con alcune considerazioni. La rivoluzione dell'era dell'informazione ha riorganizzato in modo più pervasivo che in passato gli orari di lavoro e ora sollecita un approccio alla professione che sia più flessibile e consono ai ritmi individuali. La più importante fonte di produttività nelle imprese a produzione immateriale è la creatività e non è possibile, secondo Himanen, creare qualcosa di interessante sotto la pressione continua di scadenze pressanti o solo nell'intervallo dalle nove alle diciotto, dal lunedì al venerdì. Pertanto, anche solo per ragioni puramente economiche, è importante favorire un approccio al lavoro creativo e passionale.
Benché il profitto non sia la motivazione principale, molti hackers raggiungono anche il successo economico. I casi di Torvalds, ideatore di Linux, o di Steve Wozniak, ideatore e costruttore del primo personal computer (Apple I) sono indicativi. E posto che lo spirito di creatività ed innovazione costituisce il carburante principale del fenomeno hacker, il significato economico e sociale di questo nuovo modo di interpretare il ruolo professionale avrà un impatto sempre maggiore su un mondo guidato in maniera sempre più netta dalla tecnologia.
Tuttavia ne "L'etica hacker" c'è un messaggio più articolato del semplice "fai quello che ti piace e il denaro sarà una conseguenza". Il saggio di Himanen offre un nuovo attraente paradigma per come ciascuno di noi può porsi in relazione all'attività professionale che svolge. è un paradigma che sta già ridefinendo la natura delle nostre comunità, della nostra società e della nostra economia. Il mondo sta cambiando ed il saggio di Himanen offre alcuni strumenti di comprensione di questo cambiamento.

 

 

 

Etica Hacker non è in maniera diretta un libro nato per spiegare all'uomo di strada chi è l'Hacker e cosa fa. Per quello esiste già il Jargon File (lo puoi scaricare da Noema). Pekka Himanen, insieme con Linus Torvalds (!il creatore di Linux!) e Manuel Castells (uno dei maggiori docenti di economia della comunicazione), che curano a loro volta il prologo e l'epilogo della trattazione propriamente detta, ha voluto tentare di analizzare il concetto di Hacker in una prospettiva storica e sociale più ampia, per poter meglio capire il significato della loro sfida.

Il punto di partenza è rappresentato dalla Legge di Linus, stigmatizzata da Torvalds stesso. Il progresso è rappresentato dal modo di attraversare le tre motivazioni basilari di un individuo secondo Torvalds: sopravvivenza, legami sociali e intrattenimento. L'Hacker è andato oltre l'uso del computer per sopravvivere, oltre l'uso del computer per arricchire i legami personali: l'Hacker ha la passione per il computer, ed appassionatamente persegue con creatività i propri obbiettivi, anche se questi comportano molto impegno ed un duro lavoro. In questo l'Hacker si pone in contrapposizione con l'etica protestante, ed i suoi grandi figli: lo spirito del capitalismo ed il comunismo stesso. Nell'etica protestante non c'era spazio per il gioco nel lavoro, ed alla fine neanche nel gioco stesso, ed il tempo è al servizio costante dell'attività con cui si scontano i propri peccati. Nell'etica capitalistica ed anche nella nostra New Economy tutto è al servizio del denaro, che diviene La Grande Motivazione per giustificare qualunque sforzo e sacrificio. L'Hacker invece ottimizza il tempo per poter avere più spazio per il divertimento, superando la logica benedettina della Liturgia delle Ore applicata al lavoro o al guadagno.

E la sfida radicale da parte dell'etica dell'Open Source ci riporta allo spirito dell'Accademia di Platone, in cui nessuno può assumere un ruolo dove il proprio lavoro non possa essere giudicato da pari a pari, o poter essere utilizzato da altri. Con queste premesse la Netica, o etica della Network Society, viene a privilegiare valori come la libertà di espressione e la tutela della privacy, e l'interattività responsabile si contrappone alla passività della realtà virtuale del medium televisivo. Ma la regolamentazione non va mai a discapito della creatività e della libertà personale di espressione nell'etica Hacker: sarebbe come negare a Dio il divertimento nell'atto creativo. Dopo aver assistito alla venerdizzazione della domenica ed alla sabatizzazione del venerdì, dopo aver esaminato con l'autore le basi storiche e sociologiche della questione, possiamo esclamare con l'autore e Sant'Agostino: "...E questo sarà davvero il più grande dei sabati, senza fine".

[A cura di Caraceni Simona]

 

Qui si parla di una nuova etica del lavoro nella società digitale. Gli hacker non sono soltanto i pirati che rubano i dati o inventano gli infernali virus che rovinano i nostri computer. Il loro lavoro ha permesso, piuttosto, la creazione del pc e del modem, l'affermazione planetaria di Internet, l'invenzione della realtà virtuale. Si tratta di risultati straordinari, nati da un approccio al lavoro diverso e opposto agli schemi fordisti che scandiscono l'esistenza quotidiana. La nuova etica di cui gli hacker sono portatori è caratterizzata da un impegno appassionato e creativo, senza limiti di tempo e senza risparmio di capacità intellettuali. Questa concezione ha fatto sì che si affermassero valori di privacy, di eguaglianza, di condivisione dei saperi, in netto contrasto con i modelli improntati al controllo, alla competizione, alla proprietà. E' un approccio inedito e dirompente che ha già contribuito in modo decisivo allo sviluppo della dot.economy e rappresenta una rottura radicale con quell'etica di stampo calvinista che Max Weber aveva rintracciato nei fondamenti dell'economia capitalistica.

[A cura di Himanen Pekka ,Castells Manuel,Torvalds Linus]

Gli hacker non sono soltanto i pirati che rubano i dati o inventano gli infernali virus che rovinano i nostri computer. Il loro lavoro ha permesso, piuttosto, la creazione del pc e del modem, l'affermazione planetaria di Internet, l'invenzione delle realtà virtuali. Si tratta di risultati straordinari, nati da un approccio al lavoro diverso e opposto agli schemi fordisti che scandiscono l'esistenza quotidiana. La nuova etica di cui gli hacker sono portatori è caratterizzata da un impegno appassionato e creativo, senza limiti di tempo e senza risparmio di capacità intellettuali. Questa concezione ha fatto sì che si affermassero valori di privacy, di eguaglianza, di condivisione dei saperi, in netto contrasto con i modelli improntati al controllo, alla competizione, alla proprietà. È un approccio inedito e dirompente che ha già contribuito in modo decisivo allo sviluppo della "dot.economy" e rappresenta una rottura radicale con quell'etica di stampo calvinista che Max Weber aveva rintracciato nei fondamenti dell'economia capitalistica.

[A cura di Zucchella Fabio]

Chi sono gli Hacker e perché sono così fondamentali nell'età dell'informazione?
Ce lo spiega un giovane filosofo e ricercatore finlandese "Pekka Himanen", connazionale del più famoso hacker di livello mondiale, quel Linus Torvalds che ha dato vita al progetto del sistema operativo open-source Linux.
Gran parte della rivoluzione informatica, internet e la new economy non esisterebbero senza l'apporto fondamentale di ricercatori e programmatori che hanno realizzato un nuovo progetto di vita basato sulla passione, la gestione libera delle informazioni e la condivisione delle proprie scoperte.
Gli hacker oggi escono dal mondo accademico e dalla rete per sfidare un modello sociale ed economico basato sulle ferree regole della proprietà chiusa delle informazioni e su di un unico modello di business fondato sullo sfruttamento dell'uomo.
Hacker non è chi diffonde virus o scardina sistemi di sicurezza nella rete (cracker) ma chiunque, e non necessariamente un informatico, sia esperto o entusiasta in qualunque ambito di competenza e sia motivato, nella propria attività, dal desiderio di creare nuove regole di convivenza e di condivisione. Gli hacker sono portatori di un'etica del lavoro, del denaro e del network che rappresenta una sfida spirituale di valore universale ai nostri tempi.

[A cura di Pekka Himanen]

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