Il
libro di Pekka Himanen, che un così vasto dibattito ha suscitato
negli Stati Uniti, approda nelle librerie italiane a distanza di pochi
mesi dalla sua apparizione per i tipi della Random House, grazie all’eccellente
traduzione di Fabio Zucchetta per Feltrinelli. Fin dal titolo, che vuole
ricalcare quello dell’opera forse più fortunata di Max Weber,
Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1904-1905),
l’autore si propone di istituire un raffronto tra l’etica
che ha incarnato i valori di una certa struttura economico-produttiva
e un nuovo modello di etica che starebbe emergendo in connessione all’affermarsi
di una serie di mutamenti significativi nel medesimo quadro produttivo
e che vengono sinteticamente presentati dal sociologo statunitense Manuel
Castells nell’epilogo del libro. Detto altrimenti, all’etica
del lavoro e del denaro propri del pensiero protestante, che secondo lo
studio di Weber avrebbe rappresentato un contributo decisivo alla nascita
ed all’affermarsi del capitalismo, si andrebbero sostituendo secondo
Himanen altri valori che, nati dal mondo dell’hacking, si starebbero
diffondendo in ambiti sempre più estesi della nostra società,
in relazione al passaggio ad un nuovo paradigma tecnologico che ne starebbe
plasmando l’intera struttura materiale.
Accogliendo le tesi di Castells, infatti, secondo Himanen ogni transizione
storica è legata allo sviluppo ed al diffondersi di un nuovo tipo
di tecnologia, che comporterebbe, all’interno di una determinata
società, la riorganizzazione attorno a quest’ultima innovazione
dell’intera gamma delle tecnologie disponibili, accrescendo al contempo
le performance di ciascuna di esse. Il paradigma tecnologico attuale sarebbe
quindi quello dell’informazionalismo, che si caratterizza non tanto
per la centralità giocata dall’informazione nella generazione
della ricchezza e del potere (in tutte le società storiche infatti
è possibile, sempre secondo Castells, riscontrare questa centralità),
bensì per l’accresciuta capacità umana nell’elaborazione
di questa informazione a seguito, in particolare, delle innovazioni introdotte
nella microelettronica e nella ingegneria genetica.
Ora, questo mutamento di paradigma, come nota Himanen, non si è
automaticamente tradotto in un mutamento anche nei valori espressi dalla
società nata da questa transizione: la network society, ovvero
quella struttura sociale flessibile, senza centro, fatta di realtà
interconnesse tra di loro in modo rizomatico e che rappresenta la forma
di organizzazione sviluppatasi sulla base della nuova tecnologia produttiva,
in verità ha continuato a funzionare secondo la logica dell’etica
precedente. Anzi, la società dell’informazionalismo ha rappresentato
per molti versi il compimento più puro ed essenziale dei principi
dell’etica capitalista del lavoro e del denaro (il lavoro come dovere
connesso alla massimizzazione del proprio reddito). La new economy non
raffigurerebbe che una nuova fase di sviluppo del modello capitalistico
di produzione, nella quale la realizzazione di plus-valenze è e
rimane l’obiettivo ultimo, il fine ultimo della creazione. Non solo,
ma nella società contemporanea si è assistito all’estensione
del modello di ottimizzazione e compressione del tempo, propri dell’organizzazione
sociale del lavoro dell’economia capitalistica, anche nella sfera
privata: la colonizzazione del tempo libero, del tempo non lavorativo
è risultata totale e, come ipotizzato da Marx nei Grundrisse (ma
a questi Himanen non fa riferimento), funzionale proprio al mantenimento
del processo di realizzazione del plus-valore. Lungi dall’essere
scomparso il taylorismo, nella sua versione aggiornata ed ottimizzata
dall’automazione, è diventato per Himanen l’architrave
dell’organizzazione di ogni aspetto esistenziale nella network society.
L’idea stessa di flessibilità — così cara anche
a taluni "intellettuali" di casa nostra — rappresenta
bene questa idea di un tempo nel quale il lavoro è pensato in una
valenza centrale così forte per la vita delle persone (ed il senso
della loro stessa esistenza), che il tempo di non lavoro è a sua
volta concettualizzabile solamente in termini di disponibilità
per brevi intervalli di lavoro.
Ma questo quadro, ricostruito con buona lucidità da Himanen, anche
attraverso il riferimento all’opera più organica di Castells
sull’argomento (The Information Age, Blackwell, Oxford 1996), potrebbe
aprire anche ad opzioni diverse di organizzazione sociale. Il discorso
dell’autore diviene allora, e credo proprio in questo senso, etico,
nel senso più forte del termine. La proposta che viene discussa
è infatti quella di un diverso atteggiamento nei confronti tanto
del lavoro che del denaro, ed implicante una diversa concettualizzazione
della collettività, come è emersa anzitutto proprio nella
cerchia dei protagonisti della prima delle due innovazioni tecnologiche
sopra menzionate: gli hackers. I sei capitoli, suddivisi in tre parti,
del libro si articolano infatti ad illustrare — uno per capitolo
- i valori alternativi di cui questi ultimi si sarebbero fatti portavoce
in alternativa a quelli affermatisi nella società dell’informazionalismo.
Chiarita la distinzione tra hacker e cracker, intendendo — contrariamente
alla pubblica opinione — soltanto con questi ultimi i responsabili
dei più frequenti crimini informatici, Himanen passa dunque in
rassegna quei valori dell’etica hacker che dovrebbero sostituire
le sette virtù cardinali, come lui stesso le chiama, della nuova
professionalità della network society (determinazione verso un
obiettivo, ottimizzazione del tempo, flessibilità nell’approccio
all’obiettivo, stabilità nel perseguirlo, laboriosità,
denaro, misurabilità del risultato). Il concetto centrale, attorno
al quale ruotano gli altri sei valori, risulta allora essere quello della
creatività, ovvero "[…] l’uso immaginativo delle
proprie capacità, il continuo sorprendente superarsi e il donare
al mondo un nuovo contributo che abbia un reale valore" (p. 108),
che si estrinseca anzitutto nella passione, come quell’atteggiamento
di dedizione ad un progetto che caratterizza la disposizione hacker verso
il lavoro. Questa passione porta ad un superamento della dicotomizzazione
tra tempo lavorativo e tempo libero, in un’ottica di flessibilità
che tuttavia si presenta con caratteri di radicale diversità rispetto
a quelli costitutivi del precedente modello: per l’hacker significa
la capacità di autorganizzare la propria vita sulla base di personali
esigenze, sfuggendo ad una organizzazione ripetitiva e cadenzata della
giornata. Significa, ancora, combinare in modo meno rigido dell’attuale
i momenti del lavoro con quelli dedicati alla famiglia o agli amici o
al divertimento. Il consacrarsi ad un progetto può allora portare
un hacker a lavorare nel cuore della notte o per giorni interi, ma per
libera scelta. La libertà viene quindi a presentarsi come l’altro
pilastro dell’etica hacker del lavoro. Nella seconda parte è
invece la centralità del denaro che viene posta in discussione.
La scelta di un lavoro, di un progetto, il dedicarsi al suo sviluppo non
sono immediatamente legati ad una esigenza di fatturato, di plus-valenza:
ciò che attira l’hacker è invece il valore sociale
di ciò che sta compiendo, la possibilità di compiere qualcosa
di creativo che abbia un valore per la comunità, che possa essere
riconosciuto come tale e che possa quindi essere condiviso, sulla base
del valore dell’apertura che caratterizza il lavoro di ricerca nella
comunità scientifica. L’ultima parte è dedicata, conseguentemente,
a quella che Himanen chiama netica (nethic). Da non confondere con la
netiquette, ossia i principi di comportamento adottati per la comunicazione
in rete, la netica si sviluppa dalla riflessione attorno ai diritti fondamentali
del cyberspazio: libertà di parola, censura, privacy, accesso al
net. Tradotti in valori questi diritti corrisponderebbero all’attività,
ossia la fattiva e completa libertà di espressione di ognuno al
fine di porsi come soggetto attivo all’interno della comunità,
ed alla caring, alla responsabilità verso la possibilità
di accesso di tutti al network, in opposizione tanto alla passività
quanto al principio di esclusione che, secondo l’autore, caratterizzerebbero
il funzionamento della nostra società.
Come detto, tuttavia, questa visione etica che Himanen ci sottopone è
tuttavia da intendersi come dimensione del possibile, ed in questo credo
risieda la debolezza della sua analisi. I fenomeni che lui stesso sottopone
al lettore dicono che lo spirito che presiede alla società attuale
non ha mutato i propri dispositivi di funzionamento: lungi dall’aver
sostituito quell’etica protestante del lavoro e del denaro che Weber
aveva per primo colto come elemento centrale nell’affermarsi del
capitalismo, l’etica hacker si presenta più come una sfida
lanciata alla società dell’informazionalismo che come suo
spirito. Ed una sfida che non raccoglie, per ammissione dello stesso autore,
neppure l’accordo di tutti gli hacker sulla totalità dei
suoi capisaldi. E’ quindi un etica di nicchia, se è concesso
l’utilizzo di questo termine, un’etica confinata ad un gruppo
di persone delle quali il capitale — dall’alto della sua potenza
— può permettersi l’esistenza (e delle quali peraltro
si è anche giovato per l’implementazione dello sfruttamento).
E’ un’etica, tuttavia, che può essere forse utile come
parametro per valutare da una prospettiva diversa quei mutamenti in atto
sotto i nostri occhi e verso i quali sembriamo poco meno che ciechi: l’esempio
relativo alle letture possibili del concetto di flessibilità va
in questa direzione. In conclusione, il libro di Himanen è un documento
senz’altro importante sul dibattito in atto attorno alle trasformazioni
prodotte dalla cosiddetta terza rivoluzione industriale, sui meccanismi
che presiedono la nostra società e sui valori che ancora, dopo
tutti i dibatti sulla fine delle ideologie, la pervadono (e ci pervadono),
e che tuttavia fallisce nella pretesa di rappresentarsi come un percorso
alternativo praticabile.
[A
cura di Dagradi Sergio
Come
ripensare l'etica del lavoro nell'era digitale? è questo il tema
di fondo affrontato da Pekka Himanen nel saggio "L'etica hacker e
lo spirito dell'età dell'informazione", edito in Italia da
Feltrinelli.
Una delle novità più importanti dei tempi recenti nel settore
dell'Information Technology è costituita senza dubbio dall'affermarsi
di un nuovo paradigma open source di sviluppo del software. Esso prevede,
contestualmente al rilascio di un prodotto informatico, anche il rilascio
del cosiddetto codice sorgente, rendendo così pubblica la struttura
e il funzionamento interno del prodotto stesso e consentendo a chiunque,
utilizzatore o programmatore, di verificare, correggere, modificare ed
estendere il prodotto stesso.
Himanen considera questo passaggio come centrale per sviluppare le sue
teorie. Viene infatti in questo modo favorita la libera circolazione di
informazioni tra coloro che producono software, per professione o per
diletto, determinando la nascita spontanea di comunità di sviluppatori,
talora costituite da migliaia di persone. Da tali comunità, che
hanno in Internet il naturale ecosistema in cui nascere e proliferare,
proviene il software attualmente in grado di competere, sovente con maggior
grado di affidabilità, con i prodotti delle grandi multinazionali
del settore. L'esempio più significativo è certamente costituito
dal sistema operativo Linux, ideato nel 1991 dallo studente finlandese
Linus Torvalds e portato avanti con il contributo degli sviluppatori di
tutto il mondo. Si tratta probabilmente del primo grande esempio di delocalizzazione
spontanea di un processo di lavoro complesso.
Secondo l'Autore, proprio Linus Torvalds rappresenta il simbolo dell'etica
hacker, così come già prefigurata da Steven Levy nel suo
"Hackers: Heroes of the Computer Revolution" del 1984 e ripresa
ed ampliata dal saggio di Himanen. L'idea di hacker che egli propone,
tuttavia, è ben diversa da quella diffusa nella comune accezione.
Assume, infatti, come vedremo, una connotazione positiva.
Già nella prefazione viene in questo senso operata una distinzione
tra gli hackers, al lavoro dei quali si deve secondo Himanen la base tecnologica
della nostra nuova società - in particolare Internet e il Web -
e i crackers, criminali informatici come quelli che sviluppano virus o
penetrano in sistemi protetti per commettere danni.
Internet così com'è conosciuta ed utilizzata oggi è
per l'Autore un prodotto della cultura hacker. Creata originariamente
circa trent'anni fa da un'idea del Dipartimento della Difesa degli Stati
Uniti come infrastruttura di comunicazione per scienziati e militari,
Internet è stata trasformata dallo sforzo degli hackers nel medium
che è oggi. La motivazione di coloro che vi hanno contribuito è
stata quasi sempre quella di creare degli strumenti per un uso migliore
e più divertente della Rete, secondo il principio che "la
condivisione delle informazioni è un bene positivo di formidabile
efficacia" e " che sia un dovere etico condividere le loro competenze
scrivendo software gratuito e facilitare l'accesso alle informazioni e
alle risorse di calcolo ogniqualvolta sia possibile".
Saremmo in presenza, insomma, di un apparente paradosso. In un momento
storico nel quale il concetto di proprietà è stato esteso
anche alla produzione immateriale e al mondo intellettuale in una misura
che non ha precedenti (si paventa persino un'estensione del "copyright"
al genoma umano, codice informativo per eccellenza dei sistemi biologici),
il progredire della tecnologia, che ha un impatto sempre più consistente
sull'organizzazione delle comunità umane, è in gran parte
dovuto al principio esattamente opposto della libera circolazione delle
informazioni e alla loro condivisione.
Himanen descrive l'hacker come una persona estremamente appassionata del
suo lavoro e convinta del suo valore intrinseco, essendo motivata più
dall'idea di realizzare qualcosa di socialmente utile piuttosto che semplicemente
"fare dei soldi" e, più in generale, come "un entusiasta
di qualsiasi tipo nell'ambito della propria attività". Pertanto,
secondo Himanen, il concetto di etica hacker travalica i confini dell'universo
informatico per divenire il segno di un "rapporto appassionato con
il proprio lavoro". In questo senso un'artista o un astronomo che
inseguono le proprie inclinazioni piuttosto che il facile successo economico
possono essere considerati hacker nell'accezione di Himanen.
Circa la definizione del ruolo sociale ed individuale del lavoro, Himanen
contrappone il concetto di etica hacker a quello di etica protestante
individuata circa un secolo fa da Max Weber nel suo "L'etica protestante
e lo spirito del capitalismo", come tratto distintivo di un nuovo
modello di ethos nell'era della società digitale globalizzata.
Himanen descrive il sistema di valori dell'età industriale come
diretta emanazione dell'etica del lavoro protestante, secondo la quale
il lavoro è lo scopo principale della vita degli individui e, quindi,
costituisce un dovere ed un fine in sé stesso. Egli afferma che
questa visione è così capillarmente diffusa nella cultura
occidentale da aver reso la centralità del lavoro e l'enfasi sui
profitti assimilabili a veri e propri tratti distintivi della natura umana.
I gravami di questa eredità culturale vengono illustrati da Himanen
attraverso riferimenti che spaziano da Platone alla crisi dei rifugiati
del Kosovo del 1999.
Il saggio è strutturato in tre parti. Un prologo di Linus Torvalds,
che spiega in prima persona il sistema di valori alla base della sua personale
attività, delineando le origini dell'etica hacker, la successiva
esposizione di Himanen, e infine l'epilogo di Manuel Castells, sociologo
e autore della trilogia "The Information Age: Economy, Society, and
Culture" .
Himanen conclude il testo con alcune considerazioni. La rivoluzione dell'era
dell'informazione ha riorganizzato in modo più pervasivo che in
passato gli orari di lavoro e ora sollecita un approccio alla professione
che sia più flessibile e consono ai ritmi individuali. La più
importante fonte di produttività nelle imprese a produzione immateriale
è la creatività e non è possibile, secondo Himanen,
creare qualcosa di interessante sotto la pressione continua di scadenze
pressanti o solo nell'intervallo dalle nove alle diciotto, dal lunedì
al venerdì. Pertanto, anche solo per ragioni puramente economiche,
è importante favorire un approccio al lavoro creativo e passionale.
Benché il profitto non sia la motivazione principale, molti hackers
raggiungono anche il successo economico. I casi di Torvalds, ideatore
di Linux, o di Steve Wozniak, ideatore e costruttore del primo personal
computer (Apple I) sono indicativi. E posto che lo spirito di creatività
ed innovazione costituisce il carburante principale del fenomeno hacker,
il significato economico e sociale di questo nuovo modo di interpretare
il ruolo professionale avrà un impatto sempre maggiore su un mondo
guidato in maniera sempre più netta dalla tecnologia.
Tuttavia ne "L'etica hacker" c'è un messaggio più
articolato del semplice "fai quello che ti piace e il denaro sarà
una conseguenza". Il saggio di Himanen offre un nuovo attraente paradigma
per come ciascuno di noi può porsi in relazione all'attività
professionale che svolge. è un paradigma che sta già ridefinendo
la natura delle nostre comunità, della nostra società e
della nostra economia. Il mondo sta cambiando ed il saggio di Himanen
offre alcuni strumenti di comprensione di questo cambiamento.
Etica
Hacker non è in maniera diretta un libro nato per spiegare all'uomo
di strada chi è l'Hacker e cosa fa. Per quello esiste già
il Jargon File (lo puoi scaricare da Noema). Pekka Himanen, insieme con
Linus Torvalds (!il creatore di Linux!) e Manuel Castells (uno dei maggiori
docenti di economia della comunicazione), che curano a loro volta il prologo
e l'epilogo della trattazione propriamente detta, ha voluto tentare di
analizzare il concetto di Hacker in una prospettiva storica e sociale
più ampia, per poter meglio capire il significato della loro sfida.
Il
punto di partenza è rappresentato dalla Legge di Linus, stigmatizzata
da Torvalds stesso. Il progresso è rappresentato dal modo di attraversare
le tre motivazioni basilari di un individuo secondo Torvalds: sopravvivenza,
legami sociali e intrattenimento. L'Hacker è andato oltre l'uso
del computer per sopravvivere, oltre l'uso del computer per arricchire
i legami personali: l'Hacker ha la passione per il computer, ed appassionatamente
persegue con creatività i propri obbiettivi, anche se questi comportano
molto impegno ed un duro lavoro. In questo l'Hacker si pone in contrapposizione
con l'etica protestante, ed i suoi grandi figli: lo spirito del capitalismo
ed il comunismo stesso. Nell'etica protestante non c'era spazio per il
gioco nel lavoro, ed alla fine neanche nel gioco stesso, ed il tempo è
al servizio costante dell'attività con cui si scontano i propri
peccati. Nell'etica capitalistica ed anche nella nostra New Economy tutto
è al servizio del denaro, che diviene La Grande Motivazione per
giustificare qualunque sforzo e sacrificio. L'Hacker invece ottimizza
il tempo per poter avere più spazio per il divertimento, superando
la logica benedettina della Liturgia delle Ore applicata al lavoro o al
guadagno.
E
la sfida radicale da parte dell'etica dell'Open Source ci riporta allo
spirito dell'Accademia di Platone, in cui nessuno può assumere
un ruolo dove il proprio lavoro non possa essere giudicato da pari a pari,
o poter essere utilizzato da altri. Con queste premesse la Netica, o etica
della Network Society, viene a privilegiare valori come la libertà
di espressione e la tutela della privacy, e l'interattività responsabile
si contrappone alla passività della realtà virtuale del
medium televisivo. Ma la regolamentazione non va mai a discapito della
creatività e della libertà personale di espressione nell'etica
Hacker: sarebbe come negare a Dio il divertimento nell'atto creativo.
Dopo aver assistito alla venerdizzazione della domenica ed alla sabatizzazione
del venerdì, dopo aver esaminato con l'autore le basi storiche
e sociologiche della questione, possiamo esclamare con l'autore e Sant'Agostino:
"...E questo sarà davvero il più grande dei sabati,
senza fine".
[A
cura di Caraceni Simona]
Qui
si parla di una nuova etica del lavoro nella società digitale.
Gli hacker non sono soltanto i pirati che rubano i dati o inventano gli
infernali virus che rovinano i nostri computer. Il loro lavoro ha permesso,
piuttosto, la creazione del pc e del modem, l'affermazione planetaria
di Internet, l'invenzione della realtà virtuale. Si tratta di risultati
straordinari, nati da un approccio al lavoro diverso e opposto agli schemi
fordisti che scandiscono l'esistenza quotidiana. La nuova etica di cui
gli hacker sono portatori è caratterizzata da un impegno appassionato
e creativo, senza limiti di tempo e senza risparmio di capacità
intellettuali. Questa concezione ha fatto sì che si affermassero
valori di privacy, di eguaglianza, di condivisione dei saperi, in netto
contrasto con i modelli improntati al controllo, alla competizione, alla
proprietà. E' un approccio inedito e dirompente che ha già
contribuito in modo decisivo allo sviluppo della dot.economy e rappresenta
una rottura radicale con quell'etica di stampo calvinista che Max Weber
aveva rintracciato nei fondamenti dell'economia capitalistica.
[A
cura di Himanen Pekka ,Castells Manuel,Torvalds Linus]
Gli
hacker non sono soltanto i pirati che rubano i dati o inventano gli infernali
virus che rovinano i nostri computer. Il loro lavoro ha permesso, piuttosto,
la creazione del pc e del modem, l'affermazione planetaria di Internet,
l'invenzione delle realtà virtuali. Si tratta di risultati straordinari,
nati da un approccio al lavoro diverso e opposto agli schemi fordisti
che scandiscono l'esistenza quotidiana. La nuova etica di cui gli hacker
sono portatori è caratterizzata da un impegno appassionato e creativo,
senza limiti di tempo e senza risparmio di capacità intellettuali.
Questa concezione ha fatto sì che si affermassero valori di privacy,
di eguaglianza, di condivisione dei saperi, in netto contrasto con i modelli
improntati al controllo, alla competizione, alla proprietà. È
un approccio inedito e dirompente che ha già contribuito in modo
decisivo allo sviluppo della "dot.economy" e rappresenta una
rottura radicale con quell'etica di stampo calvinista che Max Weber aveva
rintracciato nei fondamenti dell'economia capitalistica.
[A
cura di Zucchella Fabio]
Chi sono gli Hacker e perché sono così fondamentali nell'età
dell'informazione?
Ce lo spiega un giovane filosofo e ricercatore finlandese "Pekka
Himanen", connazionale del più famoso hacker di livello mondiale,
quel Linus Torvalds che ha dato vita al progetto del sistema operativo
open-source Linux.
Gran parte della rivoluzione informatica, internet e la new economy non
esisterebbero senza l'apporto fondamentale di ricercatori e programmatori
che hanno realizzato un nuovo progetto di vita basato sulla passione,
la gestione libera delle informazioni e la condivisione delle proprie
scoperte.
Gli hacker oggi escono dal mondo accademico e dalla rete per sfidare un
modello sociale ed economico basato sulle ferree regole della proprietà
chiusa delle informazioni e su di un unico modello di business fondato
sullo sfruttamento dell'uomo.
Hacker non è chi diffonde virus o scardina sistemi di sicurezza
nella rete (cracker) ma chiunque, e non necessariamente un informatico,
sia esperto o entusiasta in qualunque ambito di competenza e sia motivato,
nella propria attività, dal desiderio di creare nuove regole di
convivenza e di condivisione. Gli hacker sono portatori di un'etica del
lavoro, del denaro e del network che rappresenta una sfida spirituale
di valore universale ai nostri tempi.
[A cura
di Pekka Himanen]
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