Nato
nel 1945 a Filadelfia, Lee Felsenstein è stato subito
attratto, sin da ragazzo, da tutto ciò che avesse a
che vedere con i circuiti elettronici, che progettava e sperimentava
continuamente in un laboratorio sotterraneo allestito nello
scantinato di casa. Al punto che all'età di tredici
anni viene premiato per un modellino di satellite spaziale,
il Felsnik.
Dopo
il diploma si iscrive alla facoltà di ingegneria
elettrotecnica di Berkeley, da cui passa, con un incarico
di lavoro, al Flight Reasearch Center della Nasa nella base
dell'Air Force di Edwards. Dopo due mesi però viene
espulso, in base al "modulo per la sicurezza 398"
perchè figlio di iscritti al Partito Comunista.
Nel
1964 torna a Berkeley e decide di unirsi al Free Speech Movement.
Nell'agosto del 1973 fonda il Community Memory project, con
cui realizza, in un negozio di dischi, il primo terminale
pubblico di accesso alla rete. Inizia inoltre a curare la
rubrica sull'hardware per la "People's computer company",
rivista fondata da Bob Albrecht, che si propone di diffondere
al massimo la nuova religione del computer.
Nel
1975, dopo aver approntato il progetto di un nuovo terninale,
il Tom Swift Terminal, entra nell'Homebrew
Computer Club, accolita di hacker appassionati di computer
autocostruiti, che inizia a diffondere l'idea del personal
computer. In quell'anno scrive sul "Journal of Community
Communication" che i "computer da tavolo sarebbero
stati creati e usati dalla gente nella vita di tutti i giorni
in quanto membri di una comunità". Nel 1976 realizza
insieme ad altri compagni dell'Homebrew Computer Club il Sol,
uno dei primi personal computer con monitor e tastiera. Il
Sol, spiega, "è stato progettato partendo da un
bidone della spazzatura, in parte perché quello è
il mio punto di partenza, ma soprattutto perché non
ho fiducia negli industriali: loro potrebbero decidere di
sopprimere i diversi come noi e negarci le parti di scui abbiamo
bisogno".
All'inizio
degli anni Ottanta progetta per la Osborne il primo computer
portatile, l'Osborne 1. Gran parte di ciò che riesce
a guadagnare lo impegna per rilanciare il progetto del Community
memory, anche se il rapido fallimento della casa informatica
manda in fumo i profitti accumulati.
La
vicenda personale di Felsenstein e delle prime tre generazioni
di hacker americani è ricostruita in modo molto dettagliato
nel libro di Steven Levy, "Hackers", edito dalla
Shake Underground.
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