Fra i neologismi che Internet ha portato alla ribalta, hacktivism
è certamente uno dei più significativi. Il termine, unendo
i concetti di hacking e activism, ne rafforza infatti il significato, abbinando
all'approccio alla tecnologia anticonvenzionale e irriverente del primo,
il desiderio di partecipazione e impegno insito nel secondo.
La trattazione si divide in due parti. La prima è una sistematica
descrizione delle "pratiche" di hacktivism, che offre un'idea
precisa di quello che è stato ideato negli anni dai cittadini digitali
più attivi per far sentire la propria voce. La seconda è una
cronistoria degli avvenimenti che hanno caratterizzato soprattutto gli anni
Novanta, tirando minuziosamente le fila dei movimenti, delle organizzazioni,
dei personaggi che hanno segnato la nascita e la proliferazione dell'hacktivism.
Della storia e del contenuto di Hacktivism abbiamo parlato con uno degli
autori, Tommaso Tozzi, docente all'Accademia di Belle Arti di Carrara
e all'Università di Firenze e Presidente dell'associazione culturale
Strano Network, una delle prime in Italia a occuparsi di nuove tecnologie
da un punto di vista sociale.
D:La raccolta di riferimenti e la cronologia del fenomeno dell'hacktivism
sul vostro libro sono densissime di informazioni. Quanto tempo ha comportato
la raccolta di queste informazioni e ci sono fonti che avete escluso per
una qualche ragione?
R:Il tempo impiegato è stato di circa nove mesi di lavorazione,
di cui tre passati a vagliare la grande quantità di dati raccolti.
Di fatto però tale raccolta è il frutto di una vita passata
a raccogliere materiali riguardanti tali attività.
D: L'attivismo in rete ha assunto forme molto diverse nel corso degli
anni, modellando le diverse tecnologie alle sue esigenze. Quali sono le
linee guida di quest'evoluzione?
R: A una primordiale etica della ribellione nel campo dell'informatica
negli anni Sessanta, maturata più che altro nei centri di ricerca
dove si sviluppavano tali nuove tecnologie, e a un impegno sociale in
tale settore realizzato attraverso la ricerca scientifica di nuove soluzioni
che restituissero miglioramenti sociali diffusi, si è passati subito
dopo il '68 (in particolar modo intorno alla metà degli anni Settanta)
al tentativo di trasportare l'etica del movimento nelle nuove tecnologie
della comunicazione. In quel periodo si è dunque assistito alla
nascita delle prime comunità virtuali e ai primi modelli di cooperazione
on line; da una parte per finalità scientifiche, dall'altra per
finalità sociali.
Il phreaking degli anni Settanta è stato una primordiale fase di
attivismo rivolta al diffondere tecnologie che permettessero a tutti di
usare il telefono gratuitamente per comunicare. Ma è negli anni
Ottanta con il cyberpunk che esplodono le pratiche di hacking sociale
attraverso cui la tecnologia veniva messa a disposizione del movimento
per migliorare le lotte per la difesa dei diritti sociali.
Tale periodo segna una svolta. Da una fase principalmente mirata a "costruire"
le tecnologie, i luoghi e le reti alternative (il fenomeno delle Bbs esploso
nella metà degli Ottanta sarà per una decina di anni fondamentale
per il movimento), si passa infatti a una fase mirata a "usare"
le tecnologie come strumento di conflitto sociale. È negli anni
Ottanta che le società internazionali iniziano a usare le reti
per archiviare i dati della vita pubblica, così come i saperi e
le culture globali, ma anche a trasformare e trasportare la struttura
economica sociale in modelli reticolari e digitali. In tale transizione
globale il movimento degli anni Ottanta colloca le pratiche di hacking
sociale mirate a "liberare" i saperi posti "sotto chiave"
nelle nascenti banche dati informatiche, ma contemporaneamente usa gli
archivi digitali e il modello della rete sia per fare controinformazione
sia per "seminare" e sviluppare comunità virtuali alla
ricerca di un modello di mondo migliore.
Le grandi questioni sui diritti sociali sono il tema intorno a cui fioriscono
le principali comunità antagoniste, pacifiste, ambientaliste e
così via in quel periodo. Sebbene gli hacker (sia nel campo della
scienza, che in quello dei movimenti) siano stati tra i fautori della
rivoluzione digitale e telematica negli anni Sessanta e Settanta, negli
anni Ottanta le comunità hacker iniziano a dover fare "resistenza"
a causa della repressione sociale e culturale che affianca lo sviluppo
dell'economia digitale. Contemporaneamente però nascono quei progetti
di "liberazione del software" che negli anni Novanta avranno
un enorme seguito al punto da diventare parte ineludibile dell'economia
globale.
Negli anni Novanta, le grandi guerre internazionali, dalla guerra del
Golfo in poi, sono il banco di prova dei movimenti per usare le reti come
nuovo media di massa liberato dalle logiche dei potenti. Un nuovo media
in cui la moltitudine diventa soggetto attivo. È grazie al Web
e dunque in particolar modo dalla metà degli anni Novanta che l'uso
oramai diffuso delle reti permette il consolidarsi e l'affermarsi dell'hacktivism
come nuovo modello del conflitto sociale e dell'attivismo.
L'uso mediatico di tale mezzo per diffondere la causa Zapatista è,
tra gli altri, un cavallo di Troia che convince anche le anime più
luddiste nel movimento a usare la rete per sviluppare forme di attivismo
on line. Negli anni Novanta, grazie al Web e ad altre parti di Internet
fioriscono nuovi linguaggi dell'attivismo on line, nuove pratiche, nuove
strategie e dunque nuove tattiche d'uso del mezzo. Inoltre, così
come il cyberpunk aveva perforato il campo della letteratura negli anni
Ottanta, l'hacktivism dilaga nella seconda metà degli anni Novanta
in vari settori della cultura e in particolar modo in quello artistico,
trovandovi nuovi terreni su cui coltivare la trasformazione verso un mondo
migliore.
D: Quali sono le peculiarità concrete nell'uso della rete come
strumento di protesta, oltre alla velocità intrinseca nel mezzo?
R: Il fattore dello spazio si affianca a quello del tempo. In particolar
modo la capacità di creare un movimento globale di protesta su
questioni che interessano tutti. Mentre l'economia diventa globale, la
protesta e i movimenti trovano in Internet un nuovo modello attraverso
cui ricompattarsi per contestare le politiche internazionali. Il potenziale
alto grado di diffusione della notizia a costi minimi è un altro
aspetto su cui il movimento ripone alcune delle sue speranze. La duplicabilità
dell'informazione e la sua duttilità, intesa come capacità
di essere trasposta sui vecchi media analogici (per esempio la carta)
moltiplica le capacità pervasive della protesta on line.
A questi come ad altri fattori preminenti, affiancherei l'alto grado di
complessità messo in moto da questo media nel campo della comunicazione.
Una complessità tale da lasciare aperti un'infinità di nuove
tattiche della protesta. Infine, la capacità di potenziare un campo
del conflitto, quello mediatico, in cui il dissenso non implica il sangue.
Buona parte della forza del movimento di Seattle risiede, si è
visto per esempio a Genova, nella capacità di informare l'opinione
pubblica in tempo reale, a cui si sovrappone la creazione di un "teatro
del conflitto" (le tute bianche), inteso come rappresentazione del
dramma all'interno del dramma stesso (un espediente per colpire più
efficacemente la mente degli spettatori). Tutto ciò attraverso
strumenti di comunicazione o di difesa (non di offesa). Le forze dell'Ordine
reagiscono riportando il conflitto sul piano fisico e rendendo il sangue
reale l'elemento simbolico soggetto del conflitto.
La rete permette un tentativo di aggiramento di tali logiche riuscendo
(parzialmente) ad evitare la sussunzione da parte dei media governativi
dell'hacktivism nei termini "terrorismo" o "criminale".
Purtroppo in uno scenario dell'informazione, da una parte anestetizzato
dai fatti sportivi e dai varietà e dall'altro terrorizzato dagli
incubi delle guerre reali o simulate, ricevere l'attenzione dell'opinione
pubblica per comunicargli le malefatte dei potenti diventa un'impresa
ardua. L'immaginazione e la creatività nelle pratiche hacktivist
diventano dunque elementi chiave per un loro successo. Il passa parola
e il dialogo diretto tipico delle comunità virtuali (oltreché
naturalmente reali) diventa un altro elemento chiave indispensabile.
D: Quanto ha influito il mito dell'hacker come eroe negativo nella criminalizzazione
delle dimostrazioni di protesta in rete?
R: Le società, per produrre aggregazione, solidarietà, identità
e senso di appartenenza al loro interno, qualora non siano in grado di
fornire ai propri appartenenti risorse, stili di vita, idee o fatti che
motivino tali sentimenti, hanno bisogno di inventarsi un esempio negativo
o inferiore da contrapporre al presunto esempio positivo o superiore che
la società stessa immedesimerebbe.
L'eroe negativo o l'anti-eroe della drammaturgia classica è servito
alle società per combattere non tanto il male, quanto il dissenso,
sia interno che esterno alla società stessa. Laddove esisteranno
delle giuste proteste a un modo sconsiderato di gestire le società,
laddove coloro che sono causa di tale dissenso non vorranno porvi rimedio
risolvendone le cause reali, laddove l'allargarsi della protesta metterà
in pericolo l'esistenza stessa della società provocandone il rischio
di una sua dissoluzione, gli autori di tale dissenso saranno sempre rappresentati
come nemici da combattere.
È chiaro che l'etica hacker e le proteste in rete di coloro che
si identificano in tale etica mettono in crisi molti dei meccanismi alla
base delle società in cui viviamo. Il problema che ci si dovrebbe
porre è il seguente: c'è un rimedio alle critiche mosse
da coloro che credono nell'etica hacker? Ovvero, se i meccanismi politici,
economici, sociali e così via delle attuali società venissero
modificati in base alle critiche mosse dall'etica hacker, tali società
rischierebbero la dissoluzione in un caos pervaso dal Male o sarebbero
in grado di sopravvivere e addirittura migliorare le proprie capacità
evolutive?
Le comunità hacker sperimentano e producono costantemente nuovi
modelli sociali, saperi e tecnologie che si dimostrano in seguito essenziali
per il progresso sociale. Ora, di fronte alle proteste in rete, si deve
capire se criminale è chi le fa o chi, per difendere propri interessi
personali, preferisce non migliorare i meccanismi della società
da cui trae profitto. Ci si deve chiedere se criminale non sia in realtà
chi opera pressioni affinché l'opinione pubblica, anziché
discutere sul progetto proposto da chi muove le proteste, sia indotta
a domandarsi solamente se i loro autori siano o non siano criminali.
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