TELEVISIONE: DIPENDENZA O AUTOGESTIONE?  
 

Indice

 

Credits

 

Bibliografia

 
 



 
 
 
 

Premessa

 

Rapporto media/utente Effetto negativo: videodipendenza

Televiolenza: cause ed effettiAutogestione e conclusioni

 

 

 

 


 

 

Premessa

La televisione fra tutti i MEDIUM è certamente quella che ha suscitato i più grandi interessi e le più larghe polemiche fra utenti.

Avendo oramai conquistato ogni strato sociale, di diversa estrazione e di diverso livello culturale; questo mezzo, ha scatenato opinioni contrastanti che sono sfociate in diverse forme di estremismo.

Tanto amata da alcuni, quanto odiata e condannata da altri, ma oramai pienamente inserita nella società odierna, la televisione nacque ufficialmente nel 1926, quando lo scozzese John Loige Baird a Londra, diede la dimostrazione che con uno speciale apparecchio si potevano trasmettere da una stanza all’altra le immagini dei loro stessi volti.

Il nuovo MEDIUM va etere ereditò gran parte della tradizione radiofonica.

La tecnologia televisiva era molto sofisticata già prima che gli apparecchi fossero prodotti in serie e messi sul mercato.

In tutti i casi ci si limitò semplicemente a trasferire nella televisione gli accordi e i sistemi in vigore per la radio.

Il pubblico era già del tutto familiarizzato con l’immagine in movimento e la sua trasmissione via etere non era difficile da accettare.

Perciò ci si attendeva che il nuovo MEDIUM avrebbe incontrato resistenze minime da parte del pubblico.

Il televisore diventò presto un STATUS SYMBOL.

Nel primo periodo di diffusione, famiglie che potevano a malapena permetterselo erano spesso disposte ad economizzare sulle cose necessarie per poter comprare il televisore.

All’inizio il bisogno di farsi riconoscere come proprietari di un apparecchio era così forte che si dice che alcune famiglie acquistassero l’antenna e la installassero bene in vista sul tetto di casa, molto prima di avere un televisore da collegare.

Sembrava che l’esperienza degli anni della depressione, quando la radio era considerata un mezzo di conforto per chi versava in condizioni economiche molto difficili, fosse stata del tutto dimenticata.

Oggi è possibile mandare in onda trasmissioni da un continente all’altro, da una parte all’altra del globo, grazie ai satelliti artificiali, con i quali le onde proiettate nello spazio rimbalzano verso terra e ci consentono l’acquisizione di immagini e suoni in tempo reale.

In questa nostra "civiltà delle immagini", come è stato chiamata, la televisione, ha il ruolo di regina e i privilegi sono chiaramente riscontrabili nella praticità del mezzo stesso.

A differenza infatti del Cinema, essa non ha orari di trasmissione poiché è continua, a differenza della radio non ci fa solo sentire, ma anche vedere, e infine non richiede sforzi o sacrifici nell’uscire di casa, come per andare al teatro o al cinema.


 

 

Rapporto media/utente

Mentre da un lato si inneggia a questa nuova invenzione, che "ci porta il mondo dentro casa" e ci permette di vedere stando seduti comodamente in poltrona, cose che non potremmo mai vedere, neppure se viaggiassimo per tutta la vita intorno al globo; dall’altro la si detesta, perché riduce spesso l’uomo a spettatore passivo, anziché renderlo partecipe o protagonista.

Bisogna però riconoscere che la televisione è un mezzo di informazione potentissimo: è giunto al punto di farci assistere, e in alcuni casi farci divenire compartecipi degli avvenimenti più eclatanti della storia dell’uomo degli ultimi 40 anni circa.

Basta pensare ad esempio allo sbarco lunare che ha reso l’uomo, grazie alla visione istantanea dei filmati in diretta, finalmente conquistatore di quella che era sempre stata l’utopia del secolo.

Tuttavia, mentre un tale traguardo, all’epoca era ritenuto miracoloso, oggi molti di questi eventi non fanno quasi più notizia, infatti l’abitudine costante alla visione di programmi di intrattenimento a basso livello culturale, ha tolto tutto l’entusiasmo e l’interesse per i grandi eventi.

L’apparecchio televisivo si trova oggi nelle fabbriche, nelle università, nei grandi magazzini, nei sotterranei delle metropolitane, negli ospedali, e recano un valido contributo all’organizzazione del lavoro, al controllo dei reparti, alla diffusione della cultura.

La validità dell’invenzione è innegabile: se mai si può discutere dell’uso che se ne fa.

A proposito di usi non dimentichiamo che oggi collegando una speciale tastiera al televisore si può giocare, lavorare, apprendere; il rapporto quindi che si instaura tra mezzo televisivo e utente è di tipo "confidenziale".

Nonostante questo tipo di approccio, molto spesso il fruitore rimane così estasiato dalla televisione, in quanto strumento, da conferire al messaggio un giudizio acritico, valutando l’informazione non da un punto di vista obiettivo, ma in relazione alle simpatie suscitate in lui dal MEDIUM, ma anche dalla figura dell’informatore o meglio, del relatore.

Costui va sempre più assumendo sul teleschermo un tale prestigio da far acquistare automaticamente credibilità e vigore al messaggio.

E’ stato constatato il forte potere del video attraverso l’imposizione di modelli che vengono accettati passivamente dallo spettatore, il quale trascura molte attività culturali e formative, come la lettura.

In famiglia, in particolar modo la televisione ha seriamente compromesso l’equilibrio e le abitudini dei singoli componenti.

Il pranzo e la cena che sono da sempre considerati momenti di unione e di ritrovo, sono diventati quasi semplici "appuntamenti televisivi"; si sta tutti con gli occhi fissi su quel piccolo schermo e si finisce per vedere tutto ciò che merita e ciò che non merita, ciò che interessa e ciò che non interessa, e guai a chi parla, e chi disturba.

E’ cessata quindi la conversazione in famiglia, il dialogo tra i genitori e i figli.


 

 

Effetto negativo: videodipendenza

Come normalmente accade nei sistemi sociali, gli individui sviluppano relazioni di dipendenza dai MEDIA perché sono guidati dai propri scopi, alcuni dei quali richiedono l'accesso a risorse controllate dai mass media.

Si parte dal presupposto che la sopravvivenza e la crescita siano motivazioni umane fondamentali che spingono gli individui a raggiungere tre importanti scopi: la comprensione, l'orientamento e lo svago. Gli esseri umani hanno una motivazione specifica a comprendere se stessi e il loro ambiente sociale.

Essi usano le conoscenze acquisite per orientare le proprie azioni e i rapporti con gli altri.

Lo svago è considerato uno scopo fondamentale: esso è presente in tutte le società ed è più di un semplice momento di evasione o di rilassamento.

E' un modo che porta gli individui a diventare "sociali", ad apprendere i ruoli, le norme e i valori, intrattenendosi con gli altri.

Nell'attività di svago l'individuo esprime se stesso e la propria cultura come in altre attività tipo lo sport, le cerimonie, i festeggiamenti.

I tre scopi sono intimamente connessi tra di loro, infatti la comprensione ad esempio consiste in una piena conoscenza di se e della società, che comporta una crescita della persona e una valida comprensione del mondo.

L'orientamento studia le guide di comportamento che spingono l'individuo a decidere sulla scelta di determinati eventi sulla vita quotidiana o l'ambito sociale, ossia quello riguardante l'interazione con gli altri.

Le strategie di persuasione operate dai media partono proprio da tali studi di conoscenza delle esigenze umane ed hanno la proprietà di alterare il funzionamento psicologico degli individui; in tal caso essi risponderanno in modo manifesto con le modalità di comportamento desiderate o suggerite dal comunicatore.

Sono proprio queste valutazioni sugli effetti psicologici che le strategie di persuasione esercitano sul soggetto, in cui si instaura un rapporto spesso sbagliato con il media.

Secondo recenti studi, gli utenti con evidenti segni di videodipendenza sono in continuo aumento, con delle gran ripercussioni a volte irreversibili a livello fisiologico, effettivo, emotivo, cognitivo e relazionale.

Una prima considerazione da fare è che tale fenomeno abbraccia totalmente la sfera sociale senza distinzioni di età, di sesso, livello culturale, professione e condizione economica.

Come seconda considerazione possiamo sostenere che qualunque forma di dipendenza è sempre e comunque negativa in quanto comporta una forma di subordinazione di un soggetto nei confronti di un altro o nei confronti di un oggetto.

Il soggetto dipendente perde autonomia, che è una di quelle abilità che consente l’acquisizione della propria identità caratteristica necessaria per l’autoaffermazione.

L’avere un’identità per l’individuo significa possedere una spiccata personalità che gli consente la distinzione del soggetto rispetto agli altri.

Il senso di identità non è da tutti raggiunto, ed è legato all’acquisizione di alcuni sensi: la fiducia di base, l’autonomia, ecc.

Il senso di autonomia, secondo studi di psicologia, si forma tra i 4 e i 5 anni di età.

Se essa non è impedita dal fenomeno della videodipendenza (che si sviluppa anch’esso tra i 4 e i 6 anni), consente la formazione dell’identità.

I soggetti videodipendenti sono infelici perché questo problema investe la globalità dell’individuo: nella sfera fisiologica, psicologica, relazionale o sociale.

Per quanto riguarda la sfera fisiologica, il videodipendente è nella maggior parte dei casi iposomico perché conduce una vita sedentaria e ha un cattivo rapporto con il cibo, mangia infatti in modo sbagliato e senza rispettare gli orari perché condizionato dai programmi; senza contare l’influenza che hanno su di lui determinati prodotti alimentari pubblicizzati dal media.

La dimensione psicologica influisce notevolmente sul soggetto, rendendolo passivo, ricettivo, insicuro, privo di iniziativa, ed ha uno scarso livello di autostima che lo porta a sottovalutare le proprie capacità senza esercitarle.

La sfera relazionale infine è coinvolta dal fenomeno per il fatto che nel videodipendente è quasi del tutto assente la comunicazione interpersonale.

L’attività ludica può favorire molto il processo di socializzazione del soggetto.

Lo svago infatti, come attività ludica ha un ruolo estremamente importante, questo a qualsiasi età, soprattutto nei primi anni dell’età evolutiva, il bambino stabilisce attraverso il gioco un rapporto con gli altri e con la realtà.

Per l’individuo passivo il rapporto col mezzo TV è asettico, arido e non gli permette di realizzare proficue relazioni con gli altri rendendo la comunicazione priva di FEEDBACK.

Questa negatività compromette quindi gli aspetti fisiologici e psicologici a 360°. Il fenomeno in Italia ha avuto inizio 20 anni fa circa con il celebre cartone animato "Mazinga" che coinvolse platealmente ampi stati di spettatori; per controbilanciare questa tendenza allarmante si pensò di proporre un nuovo programma dalle caratteristiche opposte con la speranza di porre fine al problema.

Alle violenze "gratuite" di questi eroi robotizzati venne lanciata l’immagine della pacifica "Heidi" che anziché distruggere il fenomeno lo alimentò ancora di più.

Si capì a questo punto che il fattore dipendenza non dipendeva dalle singole trasmissioni, ma dal mezzo, dalla cosiddetta "scatola nera", come la definisce Mc. Luan.

Gli psicologi che si sono interessati degli effetti negativi del mezzo sono giunti ad una "terapia di guarigione" che consiste nell’allontanamento progressivo, in questo caso del bambino, dal video, proponendogli (in questo tempo sottratto al televisore) attività di gradimento e di forte valore educativo.

La soluzione migliore tuttavia è quella della "prevenzione" che si basa su un programma di educazione ai linguaggi visivi e audiovisivi, il cui scopo è quello di stabilire il giusto rapporto col mezzo, per padroneggiarlo e dominarlo.

Questo compito educativo lo deve svolgere in primo luogo la famiglia, stando attenta a non proporre modelli sbagliati, e in secondo luogo la scuola, che deve far conoscere e istruire al giusto uso i vari mezzi.


 

 

Televiolenza: cause ed effetti

Abbiamo visto dunque come da un punto di vista quantitativo, ossia nel numero delle ore passate davanti alla TV, gli effetti riscontrati sono negativi; tuttavia se si vanno ad osservare anche gli aspetti qualitativi, cioè da un punto di vista del contenuto delle trasmissioni si notano conseguenze ancora più gravi.

La televisione infatti ha una grossa responsabilità nei mutamenti che si verificano nel nostro modo di pensare, nel nostro sistema di valori.

Non siamo in grado di misurare questa responsabilità, ma è indubbio, che ad es. la brutalità, la violenza che domina certe trasmissioni ha i suoi riflessi più o meno immediati sui fanciulli, sugli adolescenti, talora anche sugli adulti, specie se hanno una personalità perturbata, frustata.

Altrettanto si può dire per la predilezione che la televisione dimostra per gli eventi inconsueti e drammatici a scapito di quelli quotidiani, ordinari: la supremazia data all’anormale sulla regola, al transitorio sull’immutabile, all’inquietudine sulla sicurezza.

Il che significa in definitiva la preminenza di una visione catastrofica di ciò che succede nel mondo, un costume questo, radicalmente opposto a quello che abbiamo ereditato dai nostri antichi e dai più recenti progenitori e che è rimasto valido fin quasi ai nostri giorni.

Altrettanto può dirsi per il fenomeno del divismo, che impera nella televisione, per cui raramente compaiono sullo schermo scrittori, pensatori, industriali, inventori, laddove imperversano i divi del cinema e dello sport.

Da recenti studi è emerso che oggi la maggior parte delle trasmissioni sono caratterizzate da dosi massicce di violenza, le quali aggravano ancor di più il fenomeno, di per sé negativo, della videodipendenza.

La violenza è oramai entrata anche nei programmi dei bambini, basta pensare ad alcuni cartoni animati come ad esempio Braccio di ferro, Willy il coyote, ecc. che ci fanno vedere quotidianamente quella che dagli psicologi viene comunemente definita "violenza allegra", che è sempre e comunque un fenomeno negativo.

Gli effetti che questo fenomeno scatena sono tre: aggressore, vittima, spettatore.

Per quanto riguarda l’effetto aggressore il soggetto ha come reazione istintiva quella dell’aggressività, la quale produce notevoli cambiamenti sulla psiche e sul nostro comportamento.

Si è sperimentato ad esempio che i film comici tendono a far scaricare allo spettatore una buona dose di aggressività accumulata; si spiega così quel senso di rilassamento di liberazione e di rigenerazione che si avverte durante e dopo la visione.

La risata non deve essere vista solo come un atto liberatorio, ma come un momento che produce progressivi cambiamenti fisiologici: ad una sana risata si accompagnano spesso quei tipici movimenti che servono a scaricare le tensioni, quasi come succede quando si pratica lo sport.

Anche i piccoli contrattempi aumentano le frustrazioni, che facilitano la carica aggressiva che si accumula nell’arco della giornata e che viene esternata o colpendo la causa diretta di questa frustrazione, o sfogando su altri obiettivi la rabbia repressa (la cosiddetta aggressività dislocata).

L’unico rimedio che può dare sollievo in questo senso è la pratica di qualche attività sportiva o la visione di alcuni film.

L’effetto vittima consiste nel ripiegamento da parte del soggetto in un atteggiamento vittimistico, ossia nella paura di cadere egli stesso vittima di quelle stesse violenze di cui prima è stato spettatore.

Infine l’effetto spettatore si esplica in una reazione di indifferenza alle violenze proiettate dal media; tale effetto si concretizzerà in un atteggiamento di assuefazione al punto da perdere totalmente il senso della reale dimensione tra realtà e finzione.

Questo succede soprattutto nei film con gran numero di scene violente o di sesso, espedienti usati dai produttori per fare ODIENS.

Non a caso alcuni anni fa in America durante una trasmissione in diretta, si verificò una rissa con la morte di una persona; ovviamente la stessa risultò al pubblico estremamente "attraente", tanto che fece salire vorticosamente gli ascolti.

In seguito a tali eventi gli studiosi del genere hanno constatato che in presenza di scene violente, meccanicamente sale l’odiens, anche se come afferma il filosofo Popper il livello "qualitativo" della maggior parte delle trasmissioni odierne è molto basso.

A questo punto sorge spontaneo l’interrogativo del come mai le scene violente possono lasciare delle così forti tracce nell’uomo.

La psicologia ci aiuta a capire il meccanismo attraverso il quale la televiolenza modifica i ritmi bio-psicologici del soggetto.

Una buona "terapia" che aiuta l’individua a scaricare e a depotenziare lo stress è rappresentata dai film comici che determinano un effetto catartico e liberatorio.

Esistono diverse teorie per quanto riguarda l’origine del fenomeno dell’aggressività.

Secondo Freud è un istinto originario, innato, che nasce con l’uomo e nonostante l’evoluzione e il progresso della civiltà umana, e l’intervento della poesia, dell’arte e della religione, questo istinto è rimasto immodificato: in sostanza sono cambiate le tecniche, ma non l’essenza intima.

A tal proposito Freud paragonava l’aggressività all’espansione progressiva del villaggio, da città a metropoli.

Per l’aggressività il fenomeno è inversamente proporzionale, in quanto dopo secoli di progresso l’uomo non è riuscito a modificare di un millimetro il suo istinto originario.

La tesi di Freud è in realtà decisamente pessimistica, perché ci offre una visione dell’uomo come di un essere condannato irrimediabilmente.

A questa teoria si contrappone quella degli psicologi Dollard e Miller, secondo la quale l’aggressività non è un istinto originario, ma emerge ogni volta che l’uomo subisce una frustrazione o comunque ogni qualvolta incontri degli avvenimenti ostacolanti.

Ciò che spinge il soggetto ad andare sempre avanti è la motivazione, che non sempre è sufficiente a far raggiungere gli obiettivi, ed è in questi casi che si verifica una frustrazione alla quale segue un atteggiamento di violenza, che può essere o diretta contro la causa (atteggiamento reattivo), o dislocata, cioè colpendo un soggetto o un oggetto estraneo.

In realtà non esiste una teoria che spieghi in maniera esauriente l’origine di questo fenomeno, sappiamo però che può essere stimolato dalla televiolenza.

Un altro effetto da quello "catartico" e quello "suggestivo"; si arriva a questi due effetti mediante i due meccanismi della autoidentificazione e della proiezione.

Nella autoidentificazione l’individuo tende a fare propri gli atteggiamenti caratteriali e comportamentali del protagonista del film.

È una condizione negativa perché annulla la personalità propria; tuttavia è ammissibile ed è giusto che avvenga in un solo periodo storico dell’uomo, ossia fra i 4-5 anni, cioè in quella fase in cui il bambino deve ancora superare il complesso di Edipo o di Elettra.

Un soggetto pieno di ansia e frustrazione verrà partecipando alle fortune del protagonista vincente, dell’eroe, e le vittorie del personaggio diventano le sue vittorie.

Ovviamente nella realtà di tutti i giorni ci si scontra con un modo ben diverso in cui l’individuo inevitabilmente subisce delle sconfitte.

Il fenomeno della identificazione è rigorosamente connesso alla videodipendenza: è un appuntamento giornaliero quello di evadere dal mondo reale per rifugiarsi in un mondo fittizio dove regna la finzione e in cui però mancano gli INPUT per realizzare se stesso.

Nella proiezione il fenomeno è opposto i quanto si tende ad esteriorizzare sul personaggio del film le caratteristiche negative proprie.

I meccanismi della identificazione e proiezione sono entrambi di difesa dai conflitti che avvengono con se stessi e gli altri.

Quando si fa un uso improprio, esagerato, smodato di questi meccanismi siamo davanti ad un chiaro fenomeno patologico e psicopatico, in cui il videodipendente ripete ciò che ha visto.

La sala cinematografica ben si presta all’"apprendimento", ha un forte potere suggestivo in quanto possiede tutti i requisiti indispensabili di persuasione (il silenzio, le luci, le poltroncine, le immagini e i suoni amplificati, ecc.) .

Sempre a proposito di televiolenza, un filosofo, Carl Popper, sostiene che le dosi di violenza e di sesso nei film, da sole bastano a renderli interessanti anche se qualitativamente scadenti.

Tutto ciò spiega come mai oggi gran parte delle trasmissioni sono di livello basso, e anche se riescono a fare odiens, non agiscono ai fini dell’acculturamento.

Proprio in questo periodo (anni 60) si incominciano a formulare delle ipotesi per la risoluzione di questo problema.

Già nel passato alcuni paesi europei avevano istituito un codice di autoregolamentazione, in cui tutti i produttori televisivi erano tenuti a ridurre notevolmente la quantità di scene di violenza e di sesso.

Malgrado tutto il codice non è stato rispettato e la situazione è pertanto rimasta invariata.

In seguito a tale fallimento lo stesso Popper elabora una teoria che mira a recuperare la funzione educativa del mezzo televisivo.

In questo senso si dovrebbero istituire dei corsi di formazione per tutti coloro che collaborano in un emittente televisiva; tali corsi devono prevedere lo studio di discipline come la psicologia, la pedagogia, le scienze del comportamento, ecc., allo scopo di conseguire un adeguata preparazione che consenta poi la realizzazione di programmi migliori.

Oggi infatti chi lavora in questo campo ha delle grosse responsabilità, poiché viviamo in una società dominata oramai da questi MEDIA.

A conclusione di questo ciclo di studi Popper prevede il superamento di un esame, che stabilisce il livello di idoneità di questi operatori televisivi.

Questa teoria ha trovato molti sfavori, anche se, nella provocazione, ha fatto capire come la preparazione sta alla base di tutto.

La televisione ha una grande responsabilità nei confronti dei telespettatori, soprattutto dei bambini che sono i più vulnerabili.

Il messaggio di Popper, è che bisogna, nei mass-media, recuperare l’educativo come strumento di miglioramento sociale, soprattutto per chi fa un uso smisurato del teleschermo (i teledipendenti).

Bisogna riconoscergli anche il merito di aver concepito per la prima volta l’idea di un modello televisivo più libero e autonomo, anticipando quelle idee di indipendenza del mezzo, che sfoceranno poi nella problematica dell’autogestione.


 

 

Autogestione e conclusioni

Il processo di indipendenza dal mezzo televisivo è risultato fino ad ora uno dei problemi più ardui, da risolvere nell’ambito delle comunicazioni di massa.

L’incidenza dei mass-media sulla società porta necessariamente anche i governi e i gruppi di potere a esercitare su di essi un controllo il più possibile rigoroso, facendo si che la gamma di informazioni, potenzialmente amplissima si riduca di fatto ad un numero ristretto di notizie, accuratamente selezionate in precedenza e filtrate in modo da garantire l’ortodossia, e ridurre al minimo la possibilità di turbare l’equilibrio politico esistente.

Questo controllo si rivela più efficace sulla televisione di Stato, mentre lo è assai meno o non lo è affatto quando si tratta degli organi di informazione cosiddetti indipendenti o dai giornali di partito.

Questa forma di rigore, così evidenziata dalla parte dei governi, per una ragione strettamente politica, a nostro avviso potrebbe essere applicata anche quando entra in gioco l’aspetto intrattenitivo e culturale che la televisione esercita.

Infatti, tutti i singoli film, sia quelli nazionali, che quelli esteri, e anche le singole trasmissioni, dovrebbero essere sottoposti a controlli che non ne devono certo limitare o frenare la libertà di pensiero con la quale sono stati concepiti, ossia lo Stato non deve avere su di essa (e in genere su nessun media) un potere di manipolazione e di monopolio sulle idee autonome del fruitore; in tal caso degenerebbe quel concetto di autogestione e soprattutto verrebbero meno quei principi fondamentali di democrazia.

Quello che vorremmo sottolineare è semplicemente che per attuare una situazione di questo genere, come sopra descritta , vista per il momento ancora come un utopia, la televisione deve recuperare il suo valore educativo e altamente culturale, per permettere all’uomo un ulteriore crescita morale e intellettuale.

Come infatti sostiene McLuhan, la funzione del MEDIA deve essere appunto fondamentalmente questa.

Se come abbiamo fino ad ora sostenuto, questo tipo di modello televisivo si attua attraverso schemi prestabiliti ed eventuali limiti, l’uso del mezzo si limita e si riduce da un punto di vista quantitativo avvalorando l’uomo, rendendolo finalmente padrone della situazione e non più vittima succube e passivo spettatore davanti allo schermo.

Nonostante i molteplici aspetti negativi fino ad ora analizzati rispetto al problema e innegabile l’importanza che il sistema dei media ha assunto nella società, infatti è inutile immaginare che cosa potrebbe succedere all’organizzazione della vita individuale e sociale se per qualche ragione inspiegabile tutte le forme di comunicazione di massa che abbiamo oggi, improvvisamente non ci fossero più.

Di certo l’uso più corretto del sistema dei media consentirebbe di capire il mondo in cui si vive, di mantenere l’ordine e la stabilità, di verificare il cambiamento in positivo, di aprire o chiudere i conflitti interni alle comunità e a tutte le nazioni, di realizzare gli adattamenti ad un ambiente in continua trasformazione, ed infine di garantire nei momenti di relax, una sana distensione nel tempo libero, momento indispensabile nella giornata di ogni uomo.

 


 

Credits

Arena Nadia

Larosa Cristina

II° anno Pittura

Anno accademico 1998-99

 

 


 

 

Bibliografia

  • Autore: Antonio Desideri

    Editore: Casa Ed. G. D’Anna

  • Autori: M.L. De Fleur e S.J. Ball-Rokeach

    Editore: Il Mulino

  • Autore: A. Manganaro in "Società scuola handicap" a cura di Smeriglio

    Editore: Sapignoli Editore

  • Autore: A. Manganaro

    Editore: Laruffa Editore

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