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TEORIA E METODO DEI MASS MEDIA

 

Prof. Tommaso Tozzi

 

 

 

INDICE

 

 

I MEDIA

La comunicazione di massa vs comunicazione di tipo interpersonale

Un modo differente di giudicare i media

La necessità di riformulare il concetto di mezzi di comunicazione di massa

New Media

Alcuni rapporti tra arte e mass media

L’opera come trasmissione del senso oltre che evento interattivo

I nuovi media digitali e l’utente autore-spettatore

L’arte collettiva e il nome multiplo

Due differenti tipologie di uso artistico delle reti telematiche

I media della conoscenza

Conclusioni

 

LA COMUNICAZIONE

RIFLESSIONI DAL MODELLO DI SAUSSURE
ESPRESSIONE E CONTENUTO
DENOTAZIONE E CONNOTAZIONE
SEMANTICA E SINTASSI
IL MODELLO DELLA COMUNICAZIONE SECONDO R. JAKOBSON

SISTEMI DI SEGNI

LA LINGUA

DAL MODELLO DEL CODICE A QUELLO INFERENZIALE E PRAGMATICO

 

 

Bibliografia di riferimento alle presenti dispense

 

T. Tozzi, A. Di Corinto, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, ManifestoLibri, Roma, 2002

G. Celant, Off-Media, Dedalo Libri, 1977

B. Valli, Comunicazione e media, Carocci ed., 1999

D. McQuail, Sociologia dei media, Il Mulino

AA.VV., La carne e il metallo, Editrice il Castoro, 1999

G. Bettetini, L’audiovisivo – dal cinema ai nuovi media, Bompiani, 1996

M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach, Teorie delle comunicazioni di massa, Il Mulino, 1995

M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Bompiani, 1995

 

I MEDIA

 

Quando si parla di media si usa una parola latina (medium) al plurale, in quanto si vuole indicare il SISTEMA DEI MEDIA, una galassia di mezzi di comunicazione tra loro interdipendenti.

Inoltre ogni medium è un sistema con più componenti; la televisione o il cinema anche semplicemente sotto il profilo tecnico sono il risultato della somma di media differenti (ad esempio la pellicola cinematografica viene dalla macchina fotografica, così come la televisione usa un sistema di altoparlanti ricevuto dalla radio).

In senso meno tecnico con il termine media non si intende semplicemente l'oggetto radio, tv, telefono, ...., ma anche la struttura sociale, il profilo psicologico degli individui che ne fanno uso, le relazioni che ogni media intrattiene con la struttura sociale, economica, giuridica, scientifica,  linguistica, ecc.

I codici linguistici appartenenti a un medium del passato si trasformano, evolvono e si traducono nel medium successivo lasciandone però inalterate alcune caratteristiche fondamentali. Il tipo di costruzione della pagina, l'impianto narrativo, gli schemi indicizzati la suddivisione in genere, sono tutti elementi appartenenti alla scrittura che si sono tramandate nei medium successivi (cinema, televisione, ....) fino ad arrivare agli attuali ipertesti in cui ad esempio un pulsante a forma di freccia è l'icona di una funzionalità equivalente allo sfogliare delle pagine di un libro.

Le varie fasi di transizione da un medium ad un altro non sono tra loro distinte, ma sono un processo di accumulazione in cui i segni, segnali e i sistemi per comunicare si sovrappongono, mutando ma mantenendo anche caratteristiche che arrivano fino ad oggi nei media attuali. Quindi ogni media non sostituisce il precedente, ma vi si combina.

Inoltre i media non sono isolabili dal contesto in cui lo strumento mediale viene prodotto, usato e normato. Quando si usa un medium, così come quando si progetta un prodotto che verrà utilizzato da un determinato medium si deve essere in grado di concentrarsi non semplicemente sugli aspetti tecnici relativi alla produzione di quel prodotto, ma su ciò che la presenza di quel prodotto provocherà sui suoi utenti, sull'area sociale in cui verrà usato e di come le caratteristiche sociali, culturali, ecc. di quell'area a loro volta ne condizioneranno l'uso. Ad ogni epoca corrisponde un mutamento nella vita sociale e con esso due trasformazioni: da una parte l’impatto di una società differente sui suoi media (un uso diverso come conseguenza delle mutate condizioni di controllo e proprietà dei media) , dall’altra una differente esposizione delle persone ai media (un diverso tipo di influenza psicologica, culturale e sociale).

Sulla base di questi presupposti si dovrà essere in grado di comprendere quale sia la natura del processo di comunicazione tra le persone e verificare come la presenza dei media interviene mutando secondo determinati caratteristiche tale natura.

 

L’ interdipendenza di tipo tecnico e linguistico che si ha tra medium differenti ha dei particolari risvolti anche di tipo commerciale.

Sempre di più un personaggio dello spettacolo come ad esempio Madonna non si limita a operare in un solo ambito ma, nel caso della cantante, oltre a fare dischi, fa anche film, libri, concerti, magliette, gadget, ecc. ognuno dei quali per case editrici collegate tra loro secondo legami di tipo finanziario e strategico. Ciò che viene fatto attraverso un medium viene supportato simultaneamente da ciò che viene fatto su altri medium appartenenti alla stessa proprietà o con legami strategici particolari.

Ciò che succede è che il mercato si trasforma in un mercato di content provider, ovvero di fornitori di contenuti. Si sta passando da una logica per la quale un contenuto era identificabile con un determinato media ad una logica in cui i contenuti passano indifferenziatamente tra più media. La cantante Madonna diventa essa stessa in tal senso un contenuto.

 

In base a ciò che si è detto fino ad ora è dunque necessario sapersi confrontare contemporaneamente da una parte con il medium su cui il prodotto verrà realizzato e quindi con tutte le specifiche e le implicazioni tecniche, sociali, culturali e linguistiche ad esso inerenti, d'altra con il contenuto e dunque con la sua potenziale capacità di transitare su media differenti (ciò risulta particolarmente significativo quando il contenuto è codificato in formato digitale).

In quest'ultimo caso il contenuto dovrà poter essere utile per soddisfare i bisogni che non appartengono semplicemente alla categoria di utenti che utilizzano un determinato medium ma a tutta l'area sociale  o alla comunità che ne farà uso per mezzo di una interconnessione tra strumenti mediali.

 

 

I media, secondo una classificazione precedente all’avvento del digitale possono essere divisi in mezzi di comunicazione di massa e mezzi di comunicazione interpersonali, sulla base di una differenza specifica alla possibilità di costruire messaggi personalizzati rispetto al destinatario come avverrebbe nei rapporti di tipo interpersonale.

Di fatto l’avvento dei nuovi media digitali ha reso questa definizione difficilmente applicabile in quanto con lo stesso strumento si può operare entrambe le due diverse tipologie comunicative.

 

 

La comunicazione di massa vs comunicazione di tipo interpersonale:

 

I mezzi di comunicazione di massa (radio, televisione, stampa, ecc.):

·        non bidirezionali (una massa anonima ed un feedback deduttivo, da cui messaggi che si adattano a pubblici differenziati e non si interessano ai loro sottogruppi).

Viene operata una previsione sul tipo di pubblico e dunque sul tipo di codice da adottare. Oltre all’emittente e al ricevente reale si ha dunque la costruzione di un emittente e un ricevente immaginari frutto della previsione che l’autore opera rispetto al modello di scambio comunicativo

·        sfera delle relazioni: pubblica

·        quantità: uno a molti

·        la produzione necessita di una grande struttura organizzativa

·        con memoria

·        intertestualità e stesso contenuto su più media

 

I mezzi di comunicazione interpersonali (telefono, microfono, ecc.):

·        bidirezionali (feedback diretto, da cui la possibilità di costruire messaggi personalizzati rispetto al destinatario)

·        sfera delle relazioni: privata

·        quantità: uno a uno o relazione di gruppo

·        la produzione non necessita di una grande struttura organizzativa

·        non dotati di memoria

·        un singolo media per un singolo contenuto

 

 

Un modo differente di giudicare i media

 

All’inizio degli anni Settanta il filosofo tedesco H.M. Enzensberger mette in luce un modo diverso di guardare ai media, in qualche modo superando la diffidenza che la critica marxista riservava nei confronti dei mezzi di comunicazione di massa.

Ecco la tabella con cui Enzensberger mette a confronto l’uso repressivo dei media con un loro uso emancipativi:

 

Uso repressivo dei media                              Uso emancipativi dei media

 

Programma centralizzato                                       programmi decentrati

 

Un trasmittente molti riceventi                                    ogni ricevente è un potenziale trasmittente

 

Immobilizzazione degli individui isolati              mobilitazione delle masse

Comportamento passivo dei consumatori            interazione dei partecipanti, feedback

 

Spoliticizzazione                                                      processo politico di apprendimento

 

Produzione tramite specialisti                               produzione collettiva

 

Controllo da parte di proprietari o burocrati            controllo sociale attraverso

un’autorganizzazione

           

 

(da R. Scelsi, “Il tabernacolo catodico e la paralisi critica della sinistra”, in AA.VV, “La carne e il metallo”, pag.70, Editrice il Castoro, 1999)

 

 

 

La necessità di riformulare il concetto di mezzi di comunicazione di massa

 

Soprattutto con l’avvento delle reti telematiche si viene a svilupparsi un nuovo media che presenta delle particolarità che mettono in crisi quelle distinzioni tra mezzi di comunicazione di massa e interpersonali descritte sopra.

Ad esempio attraverso un unico media, il computer, collegandosi alla rete telematica internet si può avere delle tipologie comunicative in cui gli utenti sono passivi e si limitano a navigare scegliendo il loro percorso tra una molteplicità di contenuti inseriti da altri (schema uno a molti) così come altre tipologie, quale ad esempio la posta elettronica, in cui si ha sia uno scambio interattivo privato (uno a uno) che uno scambio di gruppo come avviene nelle mailing list o nei newsgroup. (veri e propri forum collettivi di discussione realizzati attraverso uno scambio di messaggi scritti e depositati in internet). Inoltre la comunicazione privata può essere conservata e archiviata in una memoria fissa.

 

Una ulteriore definizione per distinguere i mass media potrebbe dunque essere quella di:

 

un medium in grado di comunicare ad un pubblico crescente ad un costo proporzionalmente decrescente.

 

 

New Media

 

I nuovi mezzi informatici, con la loro esplosione grazie al personal computer negli anni settanta inaugurano un nuovo genere di strumenti della comunicazione definiti per adesso genericamente New Media.

Tali nuovi media presentano alcune caratteristiche:

 

§         Sincretismo (sintesi in un’unica forma di modalità espressive diverse) ed Eterogeneità dei codici (riferimento a codici e famiglie di codici diversi)

§         Sinestetici (cooccorrenza di stimoli afferenti a organi sensoriali diversi)

§         interattività

§         connettività

§         modularità (la possibilità di un’organizzazione complessa dei contenuti con strutture possibili molteplici:

·        multisequenziale

·        non lineare

·        matrice

·        rizomatica

·        gerarchica

·        orizzontale)

 

Inoltre i new media presentano alcuni vantaggi:

 

§         memoria

§         velocità

§         riproducibilità senza perdite

§         diffusione

§         dialogo

§         flessibilità (manipolabilità)

§         adattabilità

§         autoapprendimento (reti neurali)

 

 

 

Alcuni rapporti tra arte e mass media

(da G. Celant, “Off Media”, Dedalo Libri, 1977)

 

Alcuni punti centrali:

 

o       L’uso dei media implica:

§         un nuovo linguaggio artistico

§         un differente rapporto di interattività tra l’opera e lo spettatore

o       L’opera come luogo e strumento di presa di coscienza individuale e sociale

o       L’opera come atto di denuncia sociale

o       L’opera come luogo comunitario

 

-         Bertold brecht (1932)

 

o       La radio come medium bidirezionale

o       La radio da mezzo di distribuzione a mezzo di comunicazione

o       L’ascoltatore diventa autore

o       La radio gestita collettivamente dal basso

 

Bertolt Brecht, nel 1932, ipotizzando una radio gestita da parte del proletariato, dichiarava: “si dovrebbe trasformare la radio da mezzo di distribuzione in mezzo di comunicazione. La radio potrebbe essere per la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere, ma anche di ricevere, non solo di isolarlo ma di metterlo in relazione con altri. La radio dovrebbe di conseguenza abbandonare il suo ruolo di fornitrice e far sì che l’ascoltatore diventi fornitore... Tutte le nostre istituzioni creatrici di ideologie ritengono che il loro compito principale consiste nel rendere sterile la funzione dell’ideologia, uniformandosi ad un concetto di cultura secondo cui il suo sviluppo sarebbe già concluso ed essa non avrebbe alcun bisogno di un incessante sforzo creativo”.

(G. Celant, “Off Media”, pag. 7, Dedalo Libri, 1977)

 

-         I Futuristi (Martinetti e Masnata, 1932)

 

o       Esaltazione delle tecnologie

o       I media radio e televisione si sostituiscono ai tradizionali media artistici senza però nel fare ciò modificarne gli statuti linguistici, così come il loro carattere funzionale

o       Superamento dei limiti di tempo e di spazio dell’opera tradizionale (nella diretta globale)

 

il programma brechtiano di un controllo sui media da parte della base non è preso in considerazione dalle organizzazioni politiche operaie, la gestione dei media é lasciata alla borghesia, che trova in Marinetti e Masnata, autori nel 1933 del manifesto la Radia, i suoi teorici. In questo scritto i futuristi prolungano il loro sviscerato amore per le tecnologie avanzate e cercano di mantenere l’equilibrio tra l’arte e la varietà di mezzi meccanici, ma non si preoccupano di un loro uso alternativo: la radio e la televisione al pari delle tecniche tradizionali di espressione (suo corrispettivo per immagini); sono i nuovi mezzi di estensione dell’individuabilità e del “genio” italico: possediamo oramai una televisione di cinquantamila punti per ogni immagine grande su schermo grande. Aspettando l’invenzione del teletatilismo del teleprofumo e del telesapore noi futuristi perfezioniamo la radiofonia destinata a centuplicare il genio creatore della razza (sic!) italiana, abolire l’antico strazio nostalgico delle lontananze ed il porre le parole in libertà come suo logico e naturale modo di esprimersi”.

(G. Celant, “Off Media”, pag. 7-11, Dedalo Libri, 1977)

 

-         Gruppo Spaziale (Fontana, Burri, Tancredi, ecc., 1952)

Manifesto per la televisione

 

o       Trasformazione della dimensione spaziale attraverso la televisione

o       Trasformazione nell’estetica dell’opera. Un nuovo rapporto opera-spettatore a causa di differenti modalità espositive e produttive.

 

Si deve nel 1952 al gruppo Spaziale, formato tra gli altri da Burri, Fontana, Tancredi, Milani, La Regina e Crippa, il primo Manifesto per la Televisione, che afferma : “Noi spaziali trasmettiamo, per la prima volta ne mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove forme d’arte basate sui concetti dello spazio, visto sotto duplice aspetto:

il primo, quello degli spazi, una volta  considerati misteriosi ed ormai noti e sondati, e quindi da noi usati come materia plastica;

il secondo, quello degli spazi ancora ignoti del cosmo, che vogliamo affrontare come dati di intuizione e di mistero, dati tipici dell’arte come divinazione.

La televisione é per noi un mezzo che attendevamo come integrativo dei nostri concetti. Siamo lieti che dall’Italia venga trasmessa questa  nostra manifestazione spaziale, destinata rinnovare i campi dell’arte. E’ vero che l’arte é eterna, ma fu sempre legata alla materia, mentre noi vogliamo durare un millennio, anche nella trasmissione di un minuto.

Le nostre espressioni artistiche moltiplicano all’infinito, in infinite dimensioni, le linee d’orizzonte: esse ricercano una estetica per cui il quadro non é più quadro, la scultura non é più scultura, la pagina scritta esce dalla sua forma tipografica.

 Noi spaziali ci sentiamo gli artisti di oggi, poiché le conquiste della tecnica sono oramai a servizio dell’arte che noi professiamo”.

 

La televisione esclude il decorativo, non produce oggetti né immagini stabili, collocabili a muro o a pavimento; essa si esprime attraverso i propri strumenti di produzione con caratteri alternativi rispetto a quelli tradizionali del quadro e della scultura. E’ dunque illusorio pensare di poterla usare senza operare anche una rivoluzione del sistema linguistico dell’arte.

(G. Celant, “Off Media”, pag. 11-15, Dedalo Libri, 1977)

 

-         W. Vostell (1958)

La chambre noir

 

o       La televisione come luogo dell’annullamento della coscienza individuale paragonata ai campi di sterminio nazisti

o       La televisione è uno strumento di contagio sociale e di mediazione tra lo spettatore e il reale. L’opera il luogo dell’emancipazione dove svelare i meccanismi di persuasione, di sudditanza e dove recuperare un rapporto diretto tra l’individuo e la realtà (si intravede il rifiuto del meccanismo della delega che il cittadino affida ai media come interpreti al loro posto del reale)

 

La televisione serve sì a spazzare via il concetto romantico-nazionalistico di popolo, ma annulla la coscienza di spazio sociale: lo spettatore é un consumatore domestico, incosciente della sua condizione esterna, pubblico-politica. La sua coscienza sociale é sconvolta. Ad ogni telespettatore l’informazione ed il divertimento sono imposti, egli acquisisce dati e accetta passivamente tutto quanto l’emittente-base trasmette. I Giochi Olimpici di Berlino continuano ed é su questa analogia tra nazismo ed informazione televisiva che Vostell, nel 1958, realizza la Chambre noir,  la caverna della memoria tedesca. Costruita a triangolo equilatero, in modo che ogni lato equivalga l’altro, la Camera presenta all’interno assemblaggi di oggetti e di immagini, che ricordano le stragi di Treblinka e di Auschwitz. Su un lato una televisione accesa sui programmi normali ricorda le carneficine e gli eccidi mentali, perpetuati quotidianamente da questo medium. I gradi di connessione sono palesi e lo spettatore-telespettatore viene definito nella sua avventura storica e presente. L’esperienza tentata é quella di ritrovare l’evoluzione della repressione e dei suoi rapporti con la produzione-distruzione di massa.

 

Estrapolando la televisione, tra gli elementi del conglomerato personale, Vostell vuole dunque affermarla come strumento di contagio sociale, che può essere formulato, in un senso o in un altro, a seconda di una visione ideologica, politica o artistica. TV-dé-coll/age, del 1959, fa ricorso alla televisione come strumento di mutamento comportamentistico del tele-spettatore attraverso la comunicazione per immagini a “milioni di spettatori”. Vostell si serve del medium per indicare un insieme di azioni da eseguire. Il contesto é quello dell’happening teletrasmesso, nel quale il processo di scambio non procede nei due sensi, ma é diretto verticalmente da una fonte. Tuttavia per entrare in relazione con i suoi visori anonimi, Vostell é costretto a rendersi consapevole delle caratteristiche linguistiche della televisione; ricorre cioè al suo codice: all’inizio un’immagine brucia per diversi minuti e la sua emissione tenta di incuriosire lo spettatore, in seguito continua con una comunicazione di tipo autoritario che dichiara la cattura ideologica del pubblico, e lo stimola ad un processo di estraniamento. Tra le azioni suggerite, si invita lo spettatore a strappare (il processo é naturalmente il  dé-coll/age) un’immagine pubblicitaria - di una bottiglia di wodka - riprodotta su una pagina di rivista settimanale. La rappresentazione sorprendente di immagini o di gesti inusuali tende a focalizzare un processo di estraniamento, che spinge il telespettatore ad assumere la realtà (televisiva) in quanto ‘modificabile’.

(G. Celant, “Off Media”, pag. 15-19, Dedalo Libri, 1977)

 

-         Nam June Paik (1963)

 

o       L’opera che si autorealizza in modo indeterminato attraverso il caso.

o       All’artista viene sottratta la delega di autore e produttore dell’opera.

o       Autogestione (economica) del mezzo televisivo.

 

Le prime alterazioni del linguaggio televisivo si devono a Nam June Paik. L’artista coreano, allievo di Cage, che aveva già tentato nel 1959 un incontro tra scritture diverse e aveva progettato nel 1961-62 un pezzo da trasmettersi contemporaneamente su entrambe le coste dell’oceano Pacifico, ma  é solo nel 1963 che giunge a con-fondere linguisticamente, in senso operativo, musica e televisione elettronica. Usando la tecnica cageana del linguaggio indeterminato e variabile, secondo il caso e il chance ,method che escludono l’interpretazione soggettiva, Paik presenta, nel 1963 alla Galerie Parnass di Wuppertal (Germania) attraverso 13 Distorted TV Sets, una trasmissione televisiva alterata dall’uso di magneti. Deformando l’afflusso dei segnali elettronici, l’immagine perviene distorta: la quantità degli impulsi rimane identica, ma muta la loro organizzazione formale.

 

Quest’alterazione é ottenuta da Paik intervenendo tecnicamente con magneti sulla struttura interna di ogni singolo televisore. Questo  - come il piano modificato di Cage - una volta alterato nei suoi circuiti interni produce una successione di segni arbitrari ed i segni hanno però la caratteristica di non essere organizzati, ma lasciati essere. Un’attitudine di elettronica zen, per una televisione senza autore.

 

L’alterazione del rapporto di sudditanza può infatti avvenire solo quando l’artista potrà gestire in proprie la produzione dell’immagine. L’occasione é offerta dalla messa in vendita, nel 1964, di una telecamera portatile e di un video-registratore (il portapak) ad un ventesimo del costo precedente, a cui si aggiunge una flessibilità mai raggiunta dal normale equipaggiamento televisivo. Sorge la possibilità di fare televisione in prima persona, al di fuori dei canali governativi e collettivi.

(G. Celant, “Off Media”, pag. 19 e 23, Dedalo Libri, 1977)

 

-         WGBH TV (Boston), WNET TV (New York), KQED TV (San Francisco) (1967)

 

o       Esperimento di TV autogestita collettivamente da artisti

o       Il mezzo televisivo viene spostato verso una sua gestione di base, così come le produzioni artistiche vengono spostate all’interno del medium televisivo

 

Nel 1967 la fondazione Rockfeller mette a disposizione i fondi per la nascita di un programma televisivo, a circuito cittadino, l’WGBH TV di Boston, gestito direttamente da artisti in residence. Subito dopo sorgono la WNET Tv di New York e la KQED TV di San Francisco: Lo scopo comune é l’uscita dell’esperimento televisivo artistico dal circuito ristretto degli artisti o dai teatri e la sua entrata nei normali canali di trasmissione. Si fa pure vivo il mercato dell’arte.

(G. Celant, “Off Media”, pag. 31, Dedalo Libri, 1977)

 

-         Nam June Paik e Charlotte Moorman (1969)

 

o       La tecnologia come estensione del corpo (vedi discorso di Mc Luhan).

o       Tentativo di umanizzare la tecnologia.

 

Howard Wise; nel 1969, organizza TV as a Creative Medium , una mostra televisiva, in occasione della quale Nam June Paik, con la partecipazione di Charlotte Moorman, compone il Reggiseno televisivo per scultura vivente.

Il lavoro consiste in Charlotte Moorman che suona il violoncello, avendo come reggiseno due piccoli monitor, le cui immagini sono determinate dal suono. La tecnologia funziona qui come seconda pelle e implica una trasformazione sincronica tra persona e struttura elettronica. Il concetto limite é di una partecipazione talmente profonda della persona all’evento televisivo da diventare organica, dove il corpo é la televisione. Infatti, secondo Paik “il vero problema implicito in “Art and Tecnology” non é fabbricare un altro giocattolo scientifico, ma come umanizzare la tecnologia ed il mezzo elettronico, che sta progredendo rapidamente: troppo rapidamente.

 

L’effetto ricercato e la diretta relazione tra comportamento e mezzo, ogni gesto corrisponde infatti ad una figura sui tubi catodici. Essendo applicato al corpo, il monitor inoltre non interpone spazio tra se e l’esecutore. La caduta dello spazio intermedia conduce all’identità, il tempo della propria azione é identico al tempo televisivo, lo spazio é comune, la simbiosi tra i due comportamenti é totale.

(G. Celant, “Off Media”, pag. 31, Dedalo Libri, 1977)

 

-         Arte e politica (1969/70)

 

o       Il videotape diventa uno strumento di lotta

o       Uso politico del videotape durante una campagna elettorale realizzata collettivamente

o       Rifiuto dell’autore individuale e modalità operative collettive.

 

 

-         Radical Software (1970)

 

o       Rivista underground sull’uso alternativo del videotape

 

 

-         Guerrilla Television (1971)

 

o       Paperback cult della controinformazione

 

Ciò che succede dopo il 1969 riguarda una variazione d’uso del linguaggio televisivo secondo la poetica individuale e l’implicazione politica. Inoltre a partire dal 1970, accanto alle gallerie e le stazioni televisive, si affiancano i musei e i gruppi politici: il video-tape entra nella comunità, quale strumento d’arte e di lotta. Ira Schneider passa a fondare e dirigere Radical Software, la rivista del movimento underground americano, dove vengono spiegati i vari metodi d’uso alternativo e politico del video-tape recorder,. Nel 1971 viene pubblicato Guerrilla Television  di Michael Shamberg, il paperback diventano in pochi mesi il libro rosso della controinformazione politica statunitense. Shamberg, insieme al gruppo di artisti, architetti e designers, gli Ant Farm, e i membri della Raindancke, fonda la TVTV, la Top Valute Television; il cui assunto politico della video guerrilla é di offrire un’informazione radicalmente differente da quella distribuita dai diversi canali televisivi americani. Il lavoro più interessante prodotto da questa comune di specialisti della visione, della politica e dell’informazione é una trasmissione di sessanta minuti sulle conventions democratica e repubblicana di Miami Beach. Il programma prodotto con sistemi estremamente economici (il costo fu di circa 20 mila dollari; contro i 20 milioni spesi dalle varie compagnie televisive) suscitò la relazione delle compagnie, poiché offriva una visione reale del caos e delle battaglie politiche sotterranee delle conventions, oltre che una indagine sull’uso mistificante delle trasmissioni televisive, a carattere nazionale.  Attraverso l’uso alternativo del video-tape recorder, lo scontro politico si arricchisce di una nuova lotta, quella sull’informazione sulla documentazione. Il modello e la prassi televisiva vengono rovesciati. Le minoranze iniziano a riconoscere come propria solo l’informazione televisiva prodotta dai suoi appartenenti. Ovunque il mezzo diventa un obiettivo di lotta e si impone come lavoro politico e creativo, che mira a risultati concreti contro la videologia borghese. Il movimento studentesco e quello operaio, alle fasulle trasmissioni ‘astratte’ del potere, tendono invece a contrapporre la realtà dei fatti. Si arriva così a leggere e vedere le cose direttamente senza la mediazione del regista.

(G. Celant, “Off Media”, pag. 47, Dedalo Libri, 1977)

 

 

-         Homebrew Computer Club (1971)

 

o       L. Felsenstein e F. Moore fondano “l’associazione di libero scambio di informazioni dalla quale uscirono venticinque tra le prime società d’informatica della Silicon Valley (…) il risultato era un flusso di competenze che potevano liberamente incrociarsi”

(da E. Guarneri, in AA.VV, “La carne e il metallo”, pag.60, Editrice il Castoro,

1999)

 

 

 

-         Community Memory Project (1971)

 

o       L. Felsenstein fonda “il primo progetto di telematica sociale del mondo (…) “che consisteva nel mettere a disposizione nelle strade e in luoghi ad alta frequentazione giovanile dei terminali di computer collegati in rete a un grosso sistema, regalato dall’università perché obsoleto. Si trattava di una gigantesca bacheca elettronica (BBS) non tanto per lo scambio dei messaggi, quanto per la costituzione di un database che raccogliesse i saperi della comunità”.

(da E. Guarneri, op.cit., pag.61)

 

 

L’opera come trasmissione del senso oltre che evento interattivo

 

Ecco che dunque vorrei fare un passo indietro descrivendo un’opera musicale dell’artista fluxus G. Chiari degli anni ’60.

L’opera si intitola “Fuori”.

Ho avuto la fortuna di partecipare all'esecuzione del brano di G. Chiari "Fuori" nel 1996 a Bologna.

Tale brano consiste nella presenza sul palcoscenico dell'esecutore che sta con gli occhi chiusi ascoltando i rumori della sala . Ogni qual volta sente un rumore, lo descrive verbalmente (ad esempio "un colpo di tosse", "scarpe sul pavimento", "un foglio stropicciato", ...). Tale brano dopo una prima fase induce lo spettatore  a "partecipare" al brano stesso "provocando" volontariamente dei rumori che in seguito saranno descritti dall'esecutore.

La mia fortuna in tale occasione fu anche un'altra, ovvero il fatto che l'autore, Chiari, era presente all'esecuzione (non per caso dato che era un concerto in omaggio al suo settantesimo compleanno) e a concerto terminato parlando con l'esecutore gli fece notare che l'esecuzione del brano poteva essere terminata prima, prima cioè che in sala si verificasse una sorta di duetto tra pubblico ed esecutore, tra rumori provocati volontariamente e la loro descrizione verbale.

Se da una parte tale affermazione potrebbe essere giustificata dalla richiesta del "caso" nell'evento musicale, del "non volontario", dall'altra, quella che preferisco, potrebbe essere giustificata dalla richiesta di "comunicazione di senso" contro la semplice "trasmissione di informazione" o ritualità e accademia della comunicazione di senso.

Propendere per l'una anziché l'altra interpretazione significa dare una diversa interpretazione al concetto di musica.

Da una parte come evento "spontaneo", legato al sentimento, alla caducità delle cose, a una sua irriproducibilità, una sorta di carpe diem del fluire musicale nella vita.

Sebbene credo che questa caratteristica sia presente nella musica di Giuseppe Chiari, come anche l'aspetto partecipativo (alla base di una certa parte delle esperienze musicali degli happening soprattutto dagli anni '50 in poi) vi è una seconda interpretazione del concetto musicale su cui credo vada posta l'attenzione in modo prioritario (pur non essendo per certi versi scindibile da quanto appena detto): la musica come comunicazione di senso.

Mi spiego.

Ciò che credo intendesse fare Chiari quando ha scritto il brano "Fuori" fosse fondamentalmente il comunicare al pubblico l'idea che non è musica solo ciò che proviene 'dal' palcoscenico, ma anche ciò che proviene da 'fuori' di esso.

L'evento musicale dunque non si risolve ne nei rumori in sala, ne nelle descrizioni dell'esecutore, ne nel duetto messo in atto tra queste due entità.

L'evento musicale si realizza, e si esaurisce, nell' "atto di comprensione" da parte dello spettatore che egli stesso può fare musica (ciò assume un significato ancora maggiore per il fatto che tale istruzione proviene da un luogo, il palcoscenico di un teatro, da dove normalmente proviene l'istruzione opposta, ovvero quella per cui solo pochi musicisti posssono e sono in grado di fare musica).

Che poi lo spettatore metta in atto "in scena" ciò che ha compreso diventa una forma di "accademia" della musica. Così come il continuare l'esecuzione da parte dell'esecutore si riduce a semplice "trasmissione di informazione" intendendo in questo caso una semplice ripetizione priva di senso "aggiuntivo" a quello già comunicato (non dunque "trasmissione di informazione" come passaggio di informazione senza passaggio di senso).

In un'analoga distinzione tra semplice trasmissione di informazione e comunicazione di senso (concetto nodale di molte teorie semiotiche degli anni sessanta, periodo tra l'altro in cui Chiari realizza il brano) vi è la differenza tra musica come sterile riproduzione accademica e musica come vita.

Se la prima è normalmente una necessità del rendere la musica (e il senso che le soggiace) una merce vendibile, la seconda è una necessità evolutiva "almeno" per il genere umano.

Portare l'attenzione sull'atto comunicativo vuol dire dare un'interpretazione degli happening meno rivolta all'atto partecipativo (o interattivo) e maggiormente rivolta alla trasmissione di senso (o, se si vuole, ne reinterpreta il concetto di "interattività" in quello di trasmissione di senso attraverso le relazioni).

Sicuramente esclude a priori dagli happening la necessità spettacolare.

E' in questo senso che un brano musicale si può risolvere in una scritta, così come in una strategia, nel potenziamento di una trama di relazioni, o altro; non per forza in un "evento di strada" o di piazza.

Gli eventi della vita non sono quelli che si realizzano "materialmente" "fuori" dal Palazzo, bensì quelli che realizzati "materialmente" "dentro" o "fuori" dal Palazzo  sono innanzi tutto "riconoscibili come" ma soprattutto "portatori di un senso" "fuori" dal Palazzo.

Ovverosia, il loro senso e la loro riconoscibilità non rientra nelle categorie del Palazzo.

La musica è della vita quella parte che crea i presupposti affinché esista una "connessione di senso".

E' questo lo spirito con cui amo guardare agli eventi e alle situazioni provocate dalle avanguardie storiche e dalla seconda avanguardia.

E' nel campo evolutivo un momento di "trasferimento di risorse" necessario al modello di vita "sociale". "Risorse" intese non tanto come necessità per la sopravvivenza o la riproduzione, quanto per la garanzia di "autonomia" dell'individuo, dei suoi processi intenzionali e dunque delle sue possibilità di esprimere forme di auto-organizzazione nel modello sociale).

 

E' questo a mio avviso un elemento comune e importante anche per la musica punk.

I concerti punk sono inscindibili dai luoghi dove sono realizzati. Luoghi della ribellione, luoghi dove si matura e si confrontano attitudini ribelli. Più che dalle note o dai testi stessi (che peraltro sono spesso apertamente portatori di messaggi), vi è nel "rituale" del concerto punk il voler "rendere possibile" una "situazione" tale da scatenare una continua "libertà" di comunicazione non tanto tra musicisti e pubblico, quanto tra pubblico e pubblico.

Creare l'atmosfera equivale a mettere in moto la connessione e rendere possibile il far dialogare le attitudini.

Non è il pubblico a divenire musicista, bensì sono i musicisti a divenire pubblico, ovvero a ritrovarsi parte di una situazione di aperto e libero scambio di pulsioni e di senso.

Per la precisione i musicisti, insieme al pubblico, diventano "strumenti musicali" essi stessi.

Ognuno suona l'altro e da egli viene suonato.

I centri sociali, così come gli altri spazi dove avviene questa forma musicale, sono luoghi che "proteggono" (cito Primo Moroni) la possibilità che al loro interno possano essere messe in atto tali connessioni di senso libere.

Per questa caratteristica tali luoghi sono inscindibili dall'evento musicale punk.

 

Ma il luogo della "battaglia" musicale non è stabilito nelle strade (come alternativa al Palazzo), nei centri sociali (come alternativa al Palazzo), nelle reti telematiche (come luogo della connessione "non istituzionale", diffusa, priva di limiti geografici e con essi nazionali e culturali), questi sono "attrattori" dell'evidenza di queste strategie, ma il luogo della battaglia è innanzi tutto in ogni atto della vita che in ogni luogo e in ogni forma comunichi un senso che restituisca libertà agli individui.

Questa è della linea musicale del '900 lo spirito che amo ricercare e rendere pratica.

 

 

I nuovi media digitali e l’utente autore-spettatore

 

Attualmente le interfacce multimediali dovrebbero porre l’utente nella condizione di essere lui il regista del testo che sta usando.  Di poter essere lui stesso l’autore della messa in scena del testo.

Di fatto ciò accade raramente e solamente in quei casi in cui il mezzo si apre a una sua scrittura da parte dell’utente stesso, che solo in tali casi diventa realmente un autore.

Ciò avviene spesso nelle reti telematiche, ma quasi mai nei prodotti off-line come i cd-rom, all’interno dei quali quasi mai è permesso un accesso in scrittura all’utente.

Il senso del testo non è fisso, bensì mobile in relazione non semplicemente al tipo di decodifica che l’utente opera sul testo nell’atto della lettura, ma anche al tipo di connessioni che l’utente può operare tra i contenuti scegliendo percorsi di lettura differenti.

 

L’arte collettiva e il nome multiplo

 

Già presente nelle riflessioni artistiche del passato, il principio di partecipazione e cooperazione nello scambio comunicativo, così come nella produzione di segni artistici diventa nelle reti telematiche una potenzialità molto rilevante che verrà sfruttata da moltissimi artisti nell’ultima decade del XX secolo.

Situazioni internazionali come quelle che si raccolgono intorno al forum digitale Nettime o intorno alle reti nazionali Cybernet, E.C.N., così come nell’uso collettivo dello pseudonimo Luther Blisset sono esemplificative in tal senso.

 

Due differenti tipologie di uso artistico delle reti telematiche

 

Sulla base delle ultime tendenze nell’uso artistico dei media, vorrei andare a definire due differenti tipologie di uso artistico delle reti telematiche:

 

-         La rete come contenitore:

o       Il mezzo telematico viene usato come supporto dove appendere una versione digitale di quadri o lavori artistici già esistenti.

o       Le opere come applicazioni software create appositamente per la rete, ma che non mettono in discussione il rapporto unidirezionale tradizionale autore/spettatore. Dunque l’opera come prodotto realizzato da un artista che permette all’utente/spettatore di interagirvi all’interno di percorsi prestabiliti limitandone una reale partecipazione creativa.

-         La rete come opera

o       La rete come luogo comunitario incrocio di relazioni e scambio di saperi. L’opera diventa la trasmissione del senso non il segno che si fa portatore di tale senso, quanto la struttura che ne consente una creazione ed interpretazione cooperativa ed orizzontale. La comunità si fonda esattamente sui nuovi linguaggi che emergono spontaneamente attraverso la struttura rizomatica della rete.

 

 

 

 

I media della conoscenza

 

M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach individuano nel modo seguente una delle caratteristiche principali del paradigma sociologico riconosciuto sotto la definizione di interazionismo simbolico:

“La società può essere considerata come un sistema di significati. Gli individui condividono un patrimonio comune di significati legati ai simboli della lingua e da questa attività interpersonale derivano le aspettative – stabili e ugualmente condivise – che guidano il comportamento secondo modelli prevedibili” (M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach, “Teorie delle comunicazioni di massa”, pag. 51, Il Mulino, 1995). Tali osservazioni, conseguenza delle riflessioni di Locke nel suo Saggio sull’intelletto umano, così come di Kant nella sua “idea per cui gli esseri umani non reagiscono al mondo esistente come realtà oggettiva, ma al mondo che essi costruiscono nella loro mente” (M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach, op. cit., pag. 50), se affiancate ai recenti assunti delle scienze cognitive per cui “le componenti cognitive dell’organizzazione mentale di un certo individuo sono prodotti delle sue precedenti esperienze di apprendimento, che possono essere state intenzionali, accidentali, sociali o solitarie” (M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach, op. cit., pag. 55) fanno capire quanto il sistema di relazioni e di scambi messo in atto attraverso le reti può essere un formidabile mediatore di conoscenza e crescita degli individui.

 

 

L’ARTISTA COME MEDIA

 

COME MEDIATORE DI RISORSE

TRA LE ISTITUZIONI E LO SVILUPPO DI COMUNITA’ NO PROFIT

 

L’ARTE COME

TRASFERIMENTO DI RISORSE

 

L’ARTE NEI LUOGHI

PUBBLICI

DEVE ESSERE UN

TRASFERIMENTO DI RISORSE

NON FINALIZZATO AL PROFITTO DEL SINGOLO

MA ALLO SVILUPPO COMUNITARIO

 

 

LINK = PRESUPPOSIZIONI=PRESCRIZIONI

 

Esiste un forte legame concettuale tra le presupposizioni e i link (collegamenti) sul web.

Entrambi funzionano contemporaneamente da costruzione di senso, ovvero creano il topic e il percorso di lettura necessario per la comprensione di un ambito conoscitivo.

Come le presupposizioni creano l’ancora e il rimando necessario tra una frase e l’altra per comprendere la continuità del senso del discorso, allo stesso modo i link nel web creano il rimando di riferimento di una notizia a un’altra e dunque la contestualizzano conferendogli un determinato senso anziché un altro.

Ma oltre a questa comune valenza di requisiti necessari alla costruzione di un senso (comunitario per quello che riguarda gli utenti internet, discorsivo all’interno di una conversazione testuale), presupposizioni e link hanno la comune attitudine a manipolare il senso attraverso la canalizzazione di esso all’interno di determinati flussi significativi.

Come nel dialogo una presupposizione del locutore impone una veicolazione del rapporto cooperativo entro determinati ambiti, allo stesso modo la creazione di link nel web impone a un’informazione un percorso che si riflette sulla competenza globale o comunitaria rispetto a tale informazione.

Quindi, come si ha potere dal modo in cui è possibile veicolare una notizia, manipolandola attraverso determinate presupposizioni (vedi i titoli di un giornale, etc.), allo stesso modo si ha potere nel detenere la proprietà della mappa dei link; ovvero nell’essere proprietari dello spazio internet di riferimento alla costruzione di mappe di link (vedi i motori di ricerca), dei software e degli standard che impongono determinati modi di archiviare (linguaggi di programmazione e archiviazione) una notizia o di ricercarla (software push,...) e infine nell’essere i detentori degli archivi dove andare a cercare una notizia (enciclopedie on-line, lessici on-line) e di come ai termini in essi contenuti si crea un percorso (presupposizionale) di rimandi.

Ugualmente e in modo ancora più significativo ogni semplice pagina web è il luogo della costruzione di link e in essi di costruzione di senso presupposto.

 

Analogamente il link tra le istituzioni e le comunità no profit (centri sociali, aree di movimento, aree del volontariato, etc.) rischia di essere il luogo della sussunzione del senso comunitario e relazionale degli spazi no profit nelle logiche della new economy.

Il rischio è che tale link sia portatore di prescrizioni, oltre che di presupposizioni, nocive per le identità comunitarie.

Il patrimonio genetico, le attitudini, i comportamenti, le culture delle comunità no profit che in un ambiente isolato e protetto sono in grado di rendere l’individuo artefice consapevole della costruzione della propria identità rischiano di essere sussunti e di perdere la loro necessaria autonomia e libertà.

A tal fine il ruolo dell’artista come mediatore di risorse può essere un’espediente per garantire una connessione globale tra le parti che ne permetta allo stesso tempo l’autonomia locale e la redistribuzione delle risorse.

 

Conclusioni

 

Nel continuo dibattito tra apocalittici e integrati (contrari o favorevoli ai mass media), sia le teorie sociali sulle comunicazione di massa, che la critica d’arte nei confronti del rapporto arte e media, hanno vissuto uno scontro i cui termini di paragone vanno ridiscussi con l’avvento dei nuovi media informatici.

Tali nuovi strumenti della comunicazione oltre a stravolgere i termini del dibattito pongono le basi per una nuova idea di opera d’arte in cui più della realizzazione di un prodotto finito conta la creazione di una rete di relazioni non solo fisiche, ma anche culturali e sociali.

Il sistema di relazioni e di scambi messo in atto attraverso le reti può essere un formidabile mediatore di conoscenza e crescita degli individui.

Il modello rizomatico della rete coinvolge ogni ambito, da quello economico, a quello politico fino a quello della creatività e dell’estetica. Un nuovo patrimonio di risorse evolutive sono a portata di mano dell’umanità se solo avrà il coraggio di usarle senza egoismo e per il bene collettivo.

Quindi il dibattito si sposta ora su alcune questioni problematiche inerenti all’uso dei mezzi informatici e delle reti telematiche: l’accesso, la privacy, la copia, l’informazione e la cooperazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

LA COMUNICAZIONE

 

Il progettare un prodotto multimediale è la realizzazione di uno strumento della comunicazione. Uno strumento che funge da mediatore della comunicazione che si vuole instaurare tra il mittente (o il committente) del messaggio (prodotto) e il suo destinatario (l’utenza).

Un primo passo per approfondire le proprie competenze progettuali sarà dunque quello di definire cosa si intenda per comunicazione.

Le possibili differenti interpretazioni di cosa sia la comunicazione potrebbero infatti dar luogo a prodotti con caratteristiche diverse in relazione agli obbiettivi comunicativi previsti.

 

Vediamo in riguardo a ciò le sei definizioni del termine ‘comunicazione’ che L. Gallino fornisce nel “Dizionario  di Sociologia” della Utet per come sono sintetizzate da B. Valli  nel suo  libro “Comunicazione e media”, Carocci ed., 1999, pag. 13-16.

 

Prima definizione: si ha comunicazione ogniqualvolta una proprietà, una risorsa, uno stato viene trasmesso da un soggetto ad un altro comprendendo nella categoria dei soggetti anche quelli inanimati. L’esempio del radiatore che comunica calore all’ambiente circostante (Morris) è significativo del grado di genericità in cui ricade questo tipo di definizione.

 

Più che per la realizzazione di un prodotto multimediale questa definizione potrebbe forse essere utile per definire alcune caratteristiche della struttura sociale all’interno della quale circolano tali prodotti. E’ una definizione che in qualche modo implica un’attenzione alla struttura complessa di connessioni tra i vari enti che partecipano alla realizzazione e diffusione di un prodotto multimediale e potrebbe forse essere utile per definire molto genericamente la condizione del fornire gli strumenti, le competenze, l’accesso alla comunicazione e dunque all’uso degli strumenti multimediali. Una parte dunque che deve essere prevista all’interno del prodotto multimediale, ma che forse non è propriamente adatta a chiarire gli obbiettivi comunicativi di un prodotto specifico.

 

Seconda definizione: è quella assimilabile allo schema stimolo risposta, dove ogni comportamento d’un essere vivente che ne influenza un altro rappresenta una forma di comunicazione.

 

La pretesa che uno stimolo (messaggio) determinato possa produrre un effetto (risposta o comportamento) determinabile nel destinatario è stato uno dei principali luoghi delle critiche che le ricerche comportamentiste in campo psicologico, così come quelle della bullett theory nel campo dei media, hanno pesantemente ricevuto. La mente delle persone, così come la loro organizzazione logico cognitiva, varia da soggetto a soggetto e ciò determinerà risposte differenti; allo stesso modo il contesto, la cultura, le abitudini influiranno fatalmente sulla possibilità di una comprensione reale del messaggio da parte dell’utente di un prodotto multimediale.

Se dunque non esiste una formula per cui un prodotto multimediale confezionato secondo determinate regole produrrà determinati comportamenti, al contrario una strategia mirata alla persuasione che si avvalga di un’analisi completa dei vari fattori legati al processo comunicativo potrebbe (sic!) avere i suoi risultati.

Sicuramente l’obbiettivo di alcuni prodotti multimediali potrebbe essere esattamente quello di influenzare anziché di comunicare, di influenzare più o meno inconsapevolmente il modo di comportarsi delle persone (ad esempio indurle ad un acquisto di un prodotto che potrebbe sembrare un comportamento utile per soddisfare determinati bisogni), ma sebbene questo possa essere un possibile obbiettivo, poco ha a che fare con quello che si vorrebbe intendere per comunicazione.

 

Terza definizione: si riferisce allo scambio di valori sociali che si effettua secondo regole prestabilite: infatti con riferimento esclusivo alle società umane, si definisce comunicazione qualsiasi scambio di valori sociali condotto secondo determinate regole.

 

Rifacendosi agli studi di Lévi Strauss, tali valori sociali favorirebbero o a seconda dei casi sarebbero la conseguenza dell’esistenza di una ben determinata struttura sociale. La lingua sarebbe una dipendente della struttura.

La multimedialità è una delle nuove forme di alfabetizzazione sociale e in tal senso i prodotti multimediali risentiranno, più o meno volontariamente del ruolo di essere portatori dei valori della società che ne fa uso. Il linguaggio e la cultura di un popolo si riversa ed influenza il linguaggio e le modalità d’uso degli strumenti multimediali che dunque, al di là dei contenuti, saranno portatori di un valore aggiunto nei loro messaggi, ovvero i valori sociali. Al contrario alcuni prodotti useranno i valori sociali esistenti per connotare i segni, le metafore e la retorica usata nella realizzazione dell’interfaccia del prodotto multimediale per renderne la comprensione indirizzata verso un senso specifico e più facilmente intuibile.

Da una parte obbiettivo, dall’altra metodo, anche questa caratteristica della comunicazione dovrà essere tenuta di conto in modo particolare. In particolare la progettazione di una determinata struttura del prodotto multimediale influirà pesantemente su ciò che tale prodotto potrà o vorrà comunicare.

 

Quarta definizione: è costituita dal passaggio o trasferimento di informazioni da un soggetto (la fonte, l’emittente) ad un altro (il ricevente, il destinatario) per mezzo di veicoli di varia natura: ottici, acustici, elettrici, idraulici ecc.

 

Anche questa definizione trae spunto da una teoria, quella dell’informazione di Shannon e Weaver, che ha avuto modo di essere pesantemente criticata soprattutto in ambito semiotico. U. eco ha sottolineato come la comunicazione non si possa ridurre ad un trasporto o a una circolazione di dati, ma implica la necessità di un codice e di eventuali sottocodici che siano portatori di senso.

Dunque per comunicazione non si può intendere il far arrivare un dato da una fonte ad un destinatario ma al contrario va fatto arrivare un senso. Il senso non è innato nelle parole, nei simboli, nei segni in generale; le discussioni in riguardo hanno fatto discutere i filosofi fin dal tempo dell’antichità (un esempio per tutti è la discussione sui nomi fatta da Platone nel suo Cratilo). Al contrario il senso è il risultato dell’esistenza di un complesso sistema di  codici condivisi più o meno parzialmente e in modo sfumato, di relazioni, di intenzioni, di pratiche d’uso e di processi ricorsivi il cui non tenerne in debito conto ridurrebbe la trasmissione di un semplice dato a una molto probabile alterazione e deformazione del senso che con esso si voleva trasmettere. La comunicazione è in ultima ipotesi sempre deformazione, ma è sulla base delle previsioni di tale deformazione, così come degli accordi conseguenti tra emittente e ricevente che si giungerà a condividere un senso.

L’analisi del trasferimento di informazioni  è dunque ancora una volta un discorso sullo strumento più che sul prodotto veicolato dallo strumento. Sebbene ciò sia comunque un ambito rilevante nella progettazione di un prodotto multimediale, altre parti sono probabilmente più significative rispetto agli aspetti comunicativi.

 

Quinta definizione: quando due o più soggetti giungono a condividere i medesimi significati.

 

Creare un prodotto in grado di far condividere un determinato senso attraverso l’uso di segni progettati per essere uno strumento di traduzione tra modelli cognitivi differenti è sicuramente una delle avventure più affascinanti in ogni tipo di relazione umana. Che tali segni siano realizzati attraverso linguaggi differenti (alfabetici, iconici, acustici, così come gestuali ecc.) sarà una ricchezza e una qualità più che uno scoglio.

La creazione di simboli, icone, di una mappa concettuale, l’uso di metafore, della struttura, la progettazione dell’orientamento, della navigazione, dell’usabilità, così come la creazione di gabbie grafiche e dunque lo sviluppo di un layout e di stili determinati, saranno alcune delle parti fondamentali tese all’obbiettivo di farsi portatori di un senso fornendo contemporaneamente la possibilità della sua decodifica e quindi condivisione.

 

Sesta definizione: la formazione di un’unità sociale a partire da individui singoli, mediante l’uso di un linguaggio o di segni o anche l’avere in comune elementi di comportamento, o modi di vita, grazie all’esistenza di insiemi di regole.

 

Questa ultima definizione pone l’accento su un’ulteriore possibilità ed obbiettivo di un prodotto multimediale: quello di essere uno strumento di coesione sociale, un luogo dove si crea comunità, non semplicemente un luogo dove si partecipa alla vita comunitaria.

Una comunicazione completa si ha secondo quest’ultimo punto di vista non solo quando esiste una forma di dialogo che sappia tener conto dei differenti linguaggi usati da coloro che partecipano all’atto comunicativo, ma quando esiste anche una possibilità di partecipazione collettiva nell’atto comunicativo che diventi luogo della creazione di un linguaggio comune, frutto dei continui interscambi, delle correzioni, degli errori, delle emozioni e dunque degli accordi tra i vari partecipanti ad una comunicazione in tal senso di tipo comunitario.

Ognuno deve poter essere attore in prima persona e non semplice spettatore della comunicazione.

Un’interfaccia multimediale dovrebbe dunque poter essere un’entità mutevole, risultante dalla partecipazione interattiva degli utenti.

Se questo è molto difficile realizzarlo su un supporto tendenzialmente statico come è il cd-rom, è altresì una qualità specifica delle attuali potenzialità che le reti telematiche possono fornire.

L’uso dunque di e-mail, mailing list, newsgroup, di aree dove poter inserire file e non solo prelevarli, può dar luogo ad una circolarità comunicativa il cui risultato sarà una direzionalità specifica dell’evoluzione dell’interfaccia di un sito grazie al contributo e lo scambio cooperativo tra gli utenti e tra questi e i progettisti dell’interfaccia.

 

L’interfaccia deve quindi essere in grado di fornire strumenti che producano un senso di appartenenza alla comunità.

 

RIFLESSIONI DAL MODELLO DI SAUSSURE

 

Secondo Saussure in ogni atto di parole sono coinvolti tre processi:

- un processo psichico            un concetto associato a un’immagine acustica.

- un processo fisiologico            il cervello trasmette agli organi della fonazione un impulso

correlativo all’immagine.

- un processo fisico               le onde sonore si propagano dalla bocca del locutore all’orecchio

dell’ascoltatore.

Lo stesso processo avviene in modo inverso nell’ascoltatore.

 

In base a tale modello è stata definita comunicazione ogni processo mediante il quale una certa fonte fa passare attraverso un canale una certa quantità di informazione, finché non raggiunge il destinatario.

 

In questo processo va tenuto conto che il messaggio trasmesso è portatore di un senso.

Come vedremo più avanti per Saussure il segno è l’unione indissolubile di un significante e di un significato.

Dunque la comunicazione non si limita a trasmettere una serie di dati fisici ma con essi viene trasmesso un senso (per Saussure  significante e significato sono come i due lati dello stesso foglio; non si può cambiare l’aspetto dell’uno senza cambiare l’aspetto dell’altro; se si divide il foglio a metà si divide simultaneamente sia il lato del significante che quello del significato).

I telegrafisti all’inizio del XIX secolo ricevevano impulsi (equivalenti ad un punto o una linea) che secondo il codice morse venivano trasformati in lettere e dunque in frasi. Tali frasi potevano essere scritte in una lingua che il telegrafista non comprendeva. Dunque egli riceveva una serie di dati che gli venivano trasmessi senza che lui ne comprendesse il senso. Evidentemente tale processo non poteva essere inteso secondo Saussure come un processo di comunicazione.

Elaborando un esempio analogo il filosofo Searle ha dimostrato che gli attuali computer possono ‘comportarsi’ come esseri umani, ma non possono altresì ‘comprendere’ come gli uomini.

Searle ha portato come riprova delle sue argomentazioni l’esempio di una persona che chiusa in una stanza e senza saper parlare il cinese riceva delle domande scritte in cinese attraverso uno spioncino. Tale persona usando un’enorme tabella che ad ogni possibile domanda in cinese vi abbini una possibile risposta in cinese sarebbe in grado di fornire della risposte all’esterno della stanza pur senza aver compreso niente del senso delle domande e delle risposte. In tal modo per le persone all’esterno della stanza che ricevono attraverso lo spioncino le risposte alle loro domande, colui che sta dentro la stanza potrebbe sembrare che comprenda il cinese. Analogamente secondo Searle i computer potrebbero arrivare a comportarsi come se fossero intelligenti, ma di fatto non lo sarebbero comunque.

 

Ciò che diventa significativo nel processo della comunicazione è dunque l’affrontare tutte le questioni inerenti ai vari codici impegnati nell’atto comunicativo, così come  l’analisi dei modelli cognitivi del locutore e del destinatario, del contesto all’interno del quale viene formulato il discorso, delle intenzioni del locutore e di tanti altri fattori per cui la comunicazione non può essere intesa come un processo teso a trasmettere un’informazione nel modo più economico possibile, riducendo al minimo la ridondanza e i possibili disturbi (o rumore) presenti nel canale di trasmissione.

Come si è già detto ogni comunicazione è anche deformazione e tale deformazione è alla base del processo di attribuzione del senso a un messaggio.

Colui che vuole intraprendere la strada del progettare la comunicazione deve entrare nell’ordine delle idee di costruire interfacce che per quanto possibile siano in grado di prevedere i modelli mentali del proprio pubblico e dunque delle relative deformazioni che le loro interpretazioni effettueranno sul messaggio trasmesso. E questo significa saper interpretare lo spirito di un luogo, di una cultura, di una lingua, di un momento storico ben preciso, dei bisogni e delle attese ad esso relative e di tanti altri fattori che non possono esaurirsi in un dato puramente tecnico e numerico.

 

La progettazione di uno strumento della comunicazione deve dunque affrontare e risolvere tutta una serie di questioni di tipo semantico, relative cioè al processo di significazione dei segni, così come pragmatiche, ovvero che affrontino le problematiche relative all’attualizzazione del prodotto e alle intenzioni dell’emittente.

 

Nell’ambito delle ricerche di tipo semiotico sono state formulate dai tempi della filosofia classica ad ora diverse teorie relative ai diversi possibili tipi di relazione tra un oggetto (o referente), un segno e il modo in cui tale segno viene interpretato nella mente.

Senza inoltrarsi in un terreno talmente delicato si può semplicemente citare le riflessioni di Kant per il quale noi non si conosce il mondo attraverso le cose, ma attraverso le rappresentazioni mentali che delle cose noi ci facciamo.

Esiste dunque una mediazione nel modo in cui conosciamo il mondo che sottrae agli oggetti e alle cose un valore assoluto e di universalità.

Per Peirce l’oggetto determina il segno e questo a sua volta determina l’interpretante. Per le teorie culturologiche un’analisi sui media e dunque sui segni usati dai media non può essere separata da un’analisi sulla società e sulla storia e la cultura di tale società. Su come dunque a determinati segni corrispondano determinati valori e implicazioni sociali.

La nostra attenzione si sposta dunque su quello che per certi versi già gli epicureisti definivano il simulacro di una cosa. Se per essi il simulacro era una sorta di pulviscolo che si faceva portatore dell’immagine dell’oggetto, per D. Norman il simulacro si trasforma in artefatto cognitivo, ovvero in una metarappresentazione del modo in cui noi ci rappresentiamo le cose nella mente. Artefatto cognitivo è, ad esempio, un simbolo, un segno, un oggetto costruito ad arte per richiamare alla mente le caratteristiche principali con cui noi ci rappresentiamo un oggetto o un concetto.

L’artefatto cognitivo funge da mediatore tra noi e le cose che non sono rappresentate semplicemente sulla base dell’esperienza percettiva, ma anche di come tale esperienza si organizza rispetto alle precedenti esperienze culturali che di tali cose si è avuto.

 

In tale processo diventa importante il modo in cui delle cose selezioniamo e interpretiamo delle qualità pertinenti, tralasciandone altre che pur gli appartengono. Diviene dunque importante il punto di vista culturale che guida tale selezione. Tale caratteristica sarà un nodo centrale della progettazione di un prodotto multimediale.

Come vedremo in seguito sarà importante il fare anche una distinzione tra tipi di segno. Rifacendosi a Peirce potremo capire come alcuni segni presentano una maggiore contiguità con il referente da cui si potrebbe assegnare ai media che ne fanno uso una maggiore predisposizione alla riproduzione, anziché alla rappresentazione o interpretazione o trasformazione.

Così come il concetto di verosimiglianza andrà interpretato non tanto come riproduzione di un referente quanto di fedeltà alle opinioni (in senso Aristotelico) comuni della società rispetto al rapporto tra segno e referente. Verosimile è la rappresentazione di un tipo, un modello di oggetto, individuo, comportamento, ecc. C’è quindi un’analogia con il rapporto tra fisiognomica e fisionomia. La fisiognomica si occupa della rappresentazione di tipi, modelli, mentre la fisionomia si occupa della rappresentazione di un determinato soggetto.

 

Esistono dunque più livelli di significato relativi ad un segno. Vediamo come Hjelmlsev ha descritto tale problema.

 

ESPRESSIONE E CONTENUTO

 

Per Hjelmlsev una semiotica è il rapporto in un segno tra il piano dell’espressione (il cosiddetto piano dei significanti) e piano del contenuto (il cosiddetto piano dei significati).

 

DENOTAZIONE E CONNOTAZIONE

 

Hjelmlsev ha parlato di semiotica connotativa per intendere una molteplicità possibile di livelli di significato insiti in un segno.

Secondo le sue teorie una semiotica connotativa è una semiotica il cui piano espressivo è a sua volta una semiotica.

Vi sarebbero dunque due livelli di significazione in un segno: la denotazione e la connotazione.

Per spiegare in modo semplice tale distinzione con un esempio si può analizzare come segno la parola “ulivo”. In tale segno la denotazione consisterebbe nell’oggetto ulivo cui la parola si riferisce. La connotazione sarebbe invece quell’insieme di significati e valori aggiunti di cui il segno è simultaneamente portatore in una determinata cultura. Nel caso della parola “ulivo” il livello connotativo starebbe dunque ad indicare per la cultura cattolica un significato di “pace”.

 

Nel momento in cui si costruirà un’interfaccia multimediale dovremo dunque sempre avere ben presente che l’uso di una parola, di un’icona, di un suono, di un video, in definitiva di un segno non sarà quasi mai portatore di un solo significato, ma di innumerevoli livelli connotativi relativi da una parte al pubblico cui ci si rivolge e alla sua cultura, dall’altra alla relazione che tale segno instaura con gli altri segni che partecipano alla composizione del testo multimediale.

 

SEMANTICA E SINTASSI

 

Non esiste una formula unica per costruire il senso di un discorso. Tanto meno dunque si può pensare che le semplici regole della sintassi siano sufficienti a ricostruire il senso di un discorso. Che dunque la posizione di una parola in una frase, così come di un’icona su uno sfondo, sia di per se sufficiente ad attribuirgli un determinato senso anziché un altro. Sebbene il modo in cui un segno si colloca all’interno di un testo sarà un elemento rilevante anche dal punto di vista semantico e di cui dovremo saper tener conto attentamente nella costruzione delle nostre interfacce, la restituzione di un determinato senso sarà il frutto di un insieme di fattori ben più complesso.

Un esempio in tal senso sono le due frasi:

 

            Maria lanciò il sasso contro il vetro e lo ruppe

e

            Maria  lanciò il bicchiere contro il muro e lo ruppe

 

Sebbene entrambe le frasi siano identiche dal punto di vista sintattico la loro parte finale lo ruppe nonostante abbia la stessa posizione nella frase assume a seconda del caso due significati ben diversi in base alla differente relazione semantica tra le coppie di parole sasso e vetro, bicchiere e muro.

 

E’ da notare infine come rispetto alla tradizionale Teoria della Gestalt con cui si cercava di determinare il senso di cui un segno si faceva portatore rispetto al modo in cui veniva percepito nello spazio di un testo alfaiconico, nei media di questo secolo si sia aggiunta la variabile del movimento da analizzare. Tale nuovo fattore costringe a ripensare il valore di un segno nella pagina o nello schermo sulla base di una posizione che muta e con esso il valore dei segni con cui entrava in relazione.

 

 

IL MODELLO DELLA COMUNICAZIONE SECONDO R. JAKOBSON

 

Jakobson scompone il processo della comunicazione in sei elementi principali:

Il mittente, il codice, il messaggio, il contesto, il canale e il destinatario.

Vediamo di definire il modo in cui vengono usati tali termini.

 

Il contesto

 

Si tratta della situazione nella quale di fatto si situa la comunicazione. E’ l’oggetto, l’argomento, il problema a cui ci si riferisce nel messaggio.

 

Ad esempio l’interfaccia ad icone che usa la metafora della scrivania di un ufficio (inventata nei laboratori di Palo Alto in California negli anni settanta ed usata in seguito nei primi modelli di computer Macintosh della Apple) contestualizza l’utilizzo delle icone (il cestino, le cartelle, i documenti, ecc.) secondo una funzionalità facilmente intuitiva rispetto a quello che è l’abitudine all’uso degli oggetti così rappresentati in un qualsiasi ufficio di lavoro.

 

Cambiando il contesto il messaggio può assumere un diverso significato.

 

Così come l’icona di una matita in un contesto di una storia splatter anziché essere un semplice strumento per disegnare può diventare l’arma con cui l’assassino cava un occhio alla sua vittima, la frase “quest’operazione non è facile” può avere significati diversi se il contesto è un’aula in cui si insegna matematica oppure uno sportello di una banca.

 

Il modo in cui contestualizzeremo i contenuti di un progetto multimediale, creerà un forte punto di vista che guiderà l’utente verso un’utilizzo specifico del prodotto che potrebbe essere sia un valido aiuto, così come un forte limite a seconda di quelli che sono gli obbiettivi comunicativi. Da una parte potrebbe fornire orientamento e coerenza laddove una molteplicità di collegamenti ipertestuali potrebbe al contrario essere portatrice di un forte spaesamento per l’utente. Dall’altra potrebbe rischiare di sviare l’attenzione dell’utente da valori e livelli semantici differenti che tali contenuti potrebbero assumere in contesti diversi.

 

Al contrario, l’uso volutamente conflittuale di determinate icone in determinati contesti palesemente inadatti potrebbe creare l’attenzione necessaria e le conseguenti riflessioni del pubblico su determinate questioni.

 

            Un esempio classico in tal senso è stato il lavoro artistico di decontestualizzazione operato da M. Duchamp esponendo il famoso orinatoio all’interno di una galleria d’arte. Tale operazione portò l’attenzione del mondo dell’arte su una caratteristica del sistema dell’arte: quella per cui qualsiasi oggetto esposto al suo interno diventa automaticamente un oggetto d’arte e che dunque il valore di artisticità di un’opera d’arte non risiede nell’oggetto, ma nel contesto che lo presenta.

Il decontestualizzare in questo caso creava dunque di per se un senso specifico.

 

Il messaggio

 

E’ ciò che il testo o l’insieme di testi comunicano.

 

Il mittente (o emittente) e il destinatario (o ricevente)

 

Colui che produce o riceve il messaggio.

Nella teoria di Jakobson la comunicazione è unidirezionale. Tale modello risente fortemente dell’influsso della Teoria dell’Informazione e dunque da essa trae caratteristiche talvolta limitanti.

Nel lavoro di Greimas, così come di Eco (in “Opera aperta”, o in particolare in “Lector in fabula”), Grice (il principio di cooperazione) ed altri, al contrario la comunicazione è vista come un processo cooperativo in cui non si ha un unico soggetto o attore della comunicazione, ma una molteplicità che attraverso un processo circolare partecipa alla costruzione cooperativa del senso del discorso.

I nuovi media ed in particolare le reti telematiche sono tecnologie in cui l’utente potrebbe essere sia attore che spettatore della comunicazione.  I testi sono testi aperti, e l’utente stesso, le sue azioni, sono una parte determinante del contenuto del testo stesso. Sono strumenti potenzialmente fortemente cooperativi, in cui la distinzione tra mittente e destinatario rischia di diventare obsoleta o almeno fortemente sfumata.

 

Se qualsiasi testo mediale, sia esso realizzato tramite la scrittura o attraverso un film, un romanzo, o in particolare la televisione deve possedere una molteplicità di livelli semantici, deve cioè essere polisemico, e quindi possedere la caratteristica di essere aperto ovvero offrirsi all’essere completato attraverso il suo uso da parte del pubblico, la progettazione di un prodotto della comunicazione on-line deve saper prevedere la realizzazione di un testo il cui aspetto e i cui contenuti evolveranno di pari passo e grazie al contributo degli utenti stessi.

 

La polisemicità dei testi mediali

 

Innanzi tutto per testo si intende non il semplice testo alfabetico, ma qualsiasi testo audio-scripto-visivo che sia “un insieme discorsivo coerente e compiuto” (G. Bettetini, “L’audiovisivo – dal cinema ai nuovi media”, pag. 38, Bompiani, 1996).

 

Secondo Fiske un testo diventa tale “nell’atto della lettura, cioè quando la sua interazione con uno dei molti pubblici attiva alcuni dei significati/piaceri che è in grado di provocare” e che “un programma è prodotto dall’industria, un testo dai suoi lettori”.

Per D. McQuail “questo è un punto centrale in quella che è in fondo una teoria del contenuto dei media visto sotto il profilo della sua ricezione più che della produzione o del suo significato intrinseco” in cui “il testo mediale ha molti significati alternativi che possono tradursi in differenti letture. Perciò il contenuto dei mass media è in linea di principio polisemico, avendo molti possibili significati per i suoi lettori” (D. McQuail, “Sociologia dei media”, pag. 223, Il Mulino, 1996).

 

Ecco quindi che la qualità semantica di un testo non emergerà dalla semplice interpretazione cognitiva dell’utente, ma anche attraverso la pratica di lettura che l’utente mette in atto scegliendo percorsi differenti.

 

Il canale

 

E’ il mezzo attraverso il quale il messaggio passa dal mittente al destinatario. Il canale può essere sia di tipo fisico che tecnico:

 

- fisico             l’aria per la voce, ecc.

- tecnico            un cavo, ecc.

 

Ma il fattore fisico è quasi sempre presente e crea problemi di rumore (disturbo) dovuti alla sua stessa natura (ad esempio le interferenze nella radio).

Di fatto l’esistenza del rumore è una caratteristica da considerare non solo come un disturbo, ma altresì come una qualità che caratterizza la costruzione di un messaggio secondo un linguaggio specifico anziché un altro. Dunque è dagli accidenti della comunicazione, dagli errori e non solo dalle differenze che talvolta un linguaggio ha la possibilità di evolvere e trarne le caratteristiche più utili per la cultura che ne fa uso.

 

I principali tipi di canale sono:

 

- canale fisico sonoro            qualsiasi ambiente in cui è presente l’aria portatrice di vibrazioni

acustiche.

- canale fisico visivo                presenza della luce o dove può passare la luce (sala buia per

                                                proiezione cinematografica).

- canale fisico olfattivo            ambiente che trasmette odori.

- canale fisico tattile                materia che trasmette vibrazioni o sensazioni tattili (es. il rilievo

nella scrittura braille).

- canale tecnico sonoro            strumenti che trasmettono suono (es. telefono, microfono, radio,

                                                cinema, ecc.).

- canale tecnico visivo            strumenti come la fotografia, il cinema, ecc.

- canale visivo-sonoro-          

   tattile e olfattivo                      tecnologie di realtà virtuale.

 

Il codice

 

Il codice è un insieme di regole per la formazione di un messaggio. Ogni linguaggio ha il suo codice. Per linguaggio si può dunque intendere il sistema di segni con cui il mittente formula il messaggio che invia al destinatario.

E’ necessario che il mittente conosca il codice con cui codificare il messaggio e che sia condiviso dal destinatario affinché possa decodificarlo.

Vi sono situazioni che forzano l’uso di un codice anziché di un altro proprio per la natura del mezzo usato o dell’ambiente (ad esempio una telefonata obbliga all’uso del linguaggio verbale).

 

Come si è già avuto modo di notare l’esistenza di media specifici può influenzare la società e dunque gli individui che ne fanno parte trasformandone i comportamenti e gli atteggiamenti.

Secondo alcuni noi pensiamo così come noi parliamo. Se dunque un linguaggio determinato ci abitua a esprimersi secondo modalità specifiche, la conseguenza sarà che la nostra mente muterà di conseguenza. Per alcuni dunque le tecnologie dei media sono anche tecnologie della mente.

Di fatto è vero anche il viceversa. Di come cioè l’esistenza di linguaggi codificati della comunicazione influenzi pesantemente il modo in cui si sviluppano le nuove interfacce tecnologiche della comunicazione.

 

E’ importante comunque avere ben presente che la costruzione di determinati strumenti della comunicazione e dei relativi linguaggi non sarà un semplice strumento per gli individui, ma diventerà parte della loro vita, ne condizionerà i loro modelli cognitivi, sarà un mutamento (per altri un’evoluzione) nel loro modo di relazionarsi con il mondo.

 

 

SISTEMI DI SEGNI

 

Ogni codice ha un suo sistema di segni.

Il segno come abbiamo già visto in Saussure è l’insieme di significante e significato.

 

Esistono differenti tipi di sistemi di segni.

Tra questi è possibile individuare:

 

- linguaggio gestuale

- linguaggio iconico

- linguaggio simbolico

- linguaggio verbale

 

Peirce divide similmente i segni in tre tipi fondamentali:

 

- Indici                        La relazione tra segno e cosa denotata è di tipo contiguo o in

connessione fisica con l’oggetto.

 

es. la banderuola in quanto indice del vento. Il fumo, il dito, ecc.

Anche la fotografia viene fatta rientrare da Peirce in questo tipo di segni in

quanto ci sarebbe una contiguità tra la luce rifratta da un oggetto e il modo in

cui impressiona la pellicola fotosensibile.

 

- Icone            C’è un rapporto di analogia, somiglianza o metafora tra il segno e la cosa

denotata.

                        E’ importante notare come la scelta dell’analogia usata e dunque delle qualità

pertinenti del segno sia di per se un forte punto di vista in base al quale

andremo a caratterizzare l’interpretazione di una funzionalità o di un contenuto.

                                               

                                    es. E’ tipico il linguaggio dell’immagine pittorica.

 

- Simboli            La relazione è arbitraria e convenzionale.

 

                                    Es. la bandiera come simbolo della patria.

                                    Le parole sono un esempio in questo senso sebbene si abbiano delle

                                    eccezioni nelle onomatopeiche.

                                    Rispetto ai pittogrammi che attraverso l’analogia iconica facilitavano la

comprensione del livello denotativo del segno, l’alfabeto ha la

caratteristica dell’economia, ovvero della capacità di trattare concetti

astratti attraverso la combinazione di soli 21 simboli.

Sebbene ogni testo ha una sua componente di arbitrarietà, si dice che i testi fotografici siano tendenzialmente un mezzo di riproduzione della realtà (e che il loro apparire abbia concesso più libertà di astrazione alla pittura), mentre i testi cinematografici, attraverso la loro qualità di farsi discorsi attraverso il montaggio, siano tendenzialmente un mezzo di trasformazione della realtà (da cui trarrebbero tanta forza e il loro carattere onirico nella lettura).

 

 

L’assenza del referente

 

Definito quanto sopra passiamo a descrivere la distinzione che fa G. Gola (G. Gola, “Elementi di linguaggio cinematografico”, La scuola Editrice, 1979) nel momento in cui definendo il cinema come un linguaggio di immagini audiovisive in movimento, vi individua tre elementi caratteristici: riproduzione, rappresentazione e trasformazione.

 

Il cinema come riproduzione della realtà

 

Tale elemento sottolinea lo statuto fotografico dell’immagine filmica.

Sebbene qualsiasi testo, quindi anche fotografico, presenta degli elementi connotativi, la fotografia lega strettamente l’immagine alla realtà referente determinandone i caratteri di oggettività e realismo.

In tal senso il medium fotografico è un medium che usa un linguaggio fortemente denotativo e che tra l’altro rispetto alla parola scritta ha dei grossi limiti nel rappresentare significati astratti.

Peirce fa non a caso rientrare il segno fotografico nella categoria degli indici.

 

 

Il cinema come rappresentazione della realtà

 

Riprendendo le riflessioni fatte da R. Arnheim sul cinema (R. Arnheim, “Film come arte”, Il saggiatore, 1960), Gola afferma che  “la riproduzione cinematografica è soltanto un calco parziale e manchevole della realtà e che l’immagine è costituzionalmente irrealistica. Aggiunge e sostiene Arnheim: sono proprio queste apparenti manchevolezze che consentendo al cinema di staccarsi dalle cose, gli offrono delle possibilità creative (…) l’immagine cinematografica non registra una impossibile totalità, ma del reale seleziona alcuni aspetti, li deforma e li rappresenta secondo determinate regole tecnico-linguistiche (…) il cinema è rappresentazione della realtà e non è mai da confondere con la realtà rappresentata (...) il segno, l’immagine non è mai assimilabile all’oggetto, il linguaggio audiovisivo non è mai tautologico o passivamente speculare. Anche nei casi dei più banali documentari, il cinema media necessariamente la realtà per la semplice esistenza di un campo ineliminabile di scelte tecniche che si impongono in sede sia di ripresa che di montaggio, nonché per il progetto complessivo perseguito dall’équipe realizzativi.”

 

 

Il cinema come trasformazione della realtà

 

“Un film non è mai riconducibile aduna somma di immagini sparse, ma si pone sempre come unità discorsiva, organizzazione temporale e discorsiva di immagini audiovisive (…) La fotografia resta soprattutto un analogon, uno pseudo reale; il film è soprattutto discorso… perciò, al fondo della semiologia del cinema, si ritrova  ancora il montaggio (…) il cinema è trasformazione della realtà, discorso sul mondo (…) all’aspetto della oggettività e passività riproduttiva si è aggiunto quello della rappresentazione e trasformazione e quindi della soggettività e manipolazione; ad un’idea iniziale di cinema come documentazione fotografica è andata sovrapponendosi un’idea di cinema come finzione, giocata su codici multipli ed eterogenei.”

 

 

Si potrebbe ipotizzare uno schema di questo tipo:

 

segno

qualità

Media

 

Indici

Contiguità

Riproduzione

 

Fotografia

 

 

Cinema

Icone

Analogia

Rappresentazione

(es. Tipo di inquadratura)

Simboli

Arbitrarietà

Trasformazione

(es. montaggio)

 

 

 

Per proseguire questo raffronto tra la fotografia e gli audiovisivi, notiamo che Bettetini individui nei new media un ulteriore distacco rispetto al referente che viene considerato assente nella computer grafica. Secondo Bettetini (G. Bettetini, “L’audiovisivo – dal cinema ai nuovi media”, pag. 129, Bompiani, 1996) le immagini digitali sarebbero infatti frutto del modello algoritmico della macchina e in tal senso avrebbero un distacco totale dalla realtà che risulterebbe dunque assente. L’immagine digitale di un albero potrebbe non avere nessun riferimento con il reale ma essere la sintesi di un calcolo frattale che simulerebbe il reale in assenza di un referente.

 

 

 

LA LINGUA

 

L’insieme dei vari linguaggi, delle loro possibilità combinatorie e di articolazione costituiscono la lingua.

Ogni lingua è un modo convenzionale con cui le popolazioni si rappresentano il reale, lo comunicano e ne sono mezzo di conoscenza.

Per Barthes “la Lingua è il linguaggio meno la Parola; è un’istituzione sociale e in pari tempo un sistema di valori (…). Dal punto di vista della lingua, il segno è come una moneta: questa moneta vale per un certo bene che essa permette di acquistare, ma vale anche in rapporto ad altre monete, di valore maggiore o minore” (R. Barthes, “Elementi di semiologia”).

Barthes distingue dalla Lingua la Parola che “è essenzialmente un atto individuale di selezione e di attualizzazione; in primo luogo essa è costituita dalle ‘combinazioni grazie alle quali il soggetto parlante può utilizzare il codice della lingua per esprimere il suo pensiero personale’ (…) e poi dai ‘meccanismi psicofisici che permettono al soggetto stesso di esteriorizzare queste combinazioni’. (…) La Lingua dice anche V. Brondal –è un’entità puramente astratta, una norma superiore agli individui, un insieme di tipi essenziali, che la parola realizza in modo infinitamente variabile. (…) La lingua è ‘il tesoro depositato della pratica della Parola nei soggetti che appartengono a una medesima comunità’, e poiché è una somma collettiva di impronte individuali, al livello di ogni individuo isolato essa non può essere che incompleta: la lingua non esiste perfettamente se non nella ‘massa parlante’” (R. Barthes, “Elementi di semiologia”).

 

In modo analogo e rispetto al mezzo cinematografico è stata fatta nel campo della semiotica e in particolare delle analisi testuali una distinzione tra cinema e film, dove con il primo termine si intende il linguaggio comune a tutti i film, mentre con il termine film si intende una specifica attualizzazione o discorso cinematografico realizzato secondo un ben preciso stile e modo.

 

LE FUNZIONI DELLA LINGUA

 

Secondo Jakobson la lingua ha determinate funzioni per raggiungere determinati scopi:

 

Funzione                  Attenzione sul            Scopo

 

- Referenziale            contesto                     Riferire o informare circa un determinato oggetto,

argomento o problema.

es. L’acqua è limpida, ha una temperatura di

quindici gradi.

 

- Espressiva o

  Emotiva                   mittente                      Esprimere pensieri, opinioni, sentimenti.

                                                                        es. Che bell’acqua trasparente, viene voglia di

berla.

 

- Poetica                    messaggio                Esprimere in modo formalmente raffinato il

messaggio

                                                                        es. Chiari, fresche e dolci acque.  

 

- Persuasiva              destinatario              Convincere, indurre, persuadere a fare, dire,

                                                                        credere qualcosa.

                                                                        es. Bevi quest’acqua! Sentirai com’è buona e

                                                                        Fresca.        

 

- Metalinguistica        codice                                    Parlare della lingua attraverso la lingua.

                                                                        es. Acqua è una parola che si scrive con il gruppo

                                                                        Consonantico ‘cq’.   

 

- Fatica                       canale                                    Assicurarsi che il canale sia funzionale al

trasferimento del messaggio.

                                                                        es. Prova microfono: uno, due, tre…

 

Funzione fatica

 

In particolare la funzione fatica della lingua svolge principalmente il compito di garantirsi che esista una connessione tra emittente e destinatario.

Dunque qualsiasi strategia pubblicitaria che porti l’attenzione del pubblico sul messaggio rientra nell’area coperta dalla cosiddetta funzione fatica.

Allo stesso modo qualsiasi comportamento che creando una relazione, o rafforzandola attraverso comportamenti abitudinari ad essa relativi, convalidi la possibilità di poter avere scambi tra i partecipanti alla relazione.

In ultima analisi buona parte di quei comportamenti che pur esprimendo dei contenuti specifici non sono minimamente interessati al comunicare tali contenuti quanto all’attivare o rafforzare una determinata rete di rapporti (ad esempio il ‘farsi notare’ dal datore di lavoro, l’intrattenervi colloqui può non avere per forza la finalità di scambiarsi dei contenuti ma anche semplicemente la necessità formale di mantenere attiva la relazione).

 

La componente fatica è particolarmente presente in tutte le forme di comunicazione costruite da una società non tanto per trasmettere determinati contenuti quanto per garantire il rafforzamento di determinati valori sociali che fungano da collante tra i cittadini.

Far condividere la partecipazione a rituali e scambi di tipo simbolico è una tradizionale forma di governo dalle civiltà basate sull’esistenza di miti ad oggi.

Se talvolta può sembrare che l’esistenza in una società di determinate figure simboliche possa essere un modo per determinare conseguenti gerarchie nei rapporti sociali, altre volte l’apparente opposizione e conflitto tra bene e male, buono e cattivo, schiavo e padrone si risolve in un canovaccio in cui le parti si scambiano, mentre ciò che rimane stabile è la struttura sociale ed è su tale stabilità che traggano vantaggio determinate figure sociali anziché altre, più che dal ruolo sociale che apparentemente svolgono.

 

 

DAL MODELLO DEL CODICE A QUELLO INFERENZIALE E PRAGMATICO

 

La grammatica da una spiegazione della rappresentazione semantica di un enunciato, ma non delle intenzioni del locutore o della dimensione spazio-temporale dell’enunciazione.

“La rappresentazione semantica di una frase corrisponde, per così dire, al nucleo di senso che è comune a tutte le enunciazioni della frase in questione. Ma differenti enunciazioni di una stessa frase possono avere, e in generale hanno, interpretazioni distinte. Lo studio della rappresentazione semantica delle frasi è di competenza della grammatica; lo studio dell’interpretazione degli enunciati dipende da ciò che oggi si chiama pragmatica (un termine abbastanza infelice, proposto da C. Morris nel 1938, che definiva la sintassi come lo studio delle relazioni formali tra segni, la semantica come lo studio della relazione tra i segni e la loro denotazione e la pragmatica come lo studio della relazione tra i segni e i loro utilizzatori o interpreti…)” (D. Sperber, D. Wilson, La pertinenza, Anabasi, Milano, 1993 in B. Valli, Comunicazione e media, Carocci, Roma, 1999).

Mentre il classico modello del codice che è stato usato da Aristotele ai moderni ha cercato di analizzare o costruire il discorso attraverso una codifica e decodifica dei messaggi, nel modello inferenziale (P. Grice, D. Lewis, ecc.) la comunicazione consiste nella produzione e interpretazione di indizi.

 

es. La frase “Che giorno è?” oltre ad avere un primo significato di domanda, può averne un altro del far notare che è passato molto tempo, che forse si è in ritardo e che qualcosa andrebbe fatto.

 

Teorie come quella di Austin degli atti linguistici studiano quelle parti della comunicazione in cui il ‘dire qualcosa’ equivalga al ‘fare qualcosa’. Austin da il nome di enunciazioni performative a quelle enunciazioni in cui il dire di compiere un atto è il compierlo.

 

Nello stesso periodo alcune tendenze dei movimenti di fine anni sessanta, hanno cercato di concentrarsi sulle pratiche della comunicazione e su come il senso venga costruito attraverso un uso specifico del discorso.

In tale periodo si rafforza anche l’esigenza di rifiutare di delegare a un autore il compito di descrivere un determinato fatto del mondo. Al contrario nasce l’esigenza di raccontare e rappresentare il mondo collettivamente.

Lo sviluppo delle reti telematiche, così come viene portato avanti nelle comunità libertarie dei programmatori, studenti ed attivisti in California negli anni settanta segue e cerca di indirizzare lo sviluppo delle tecnologie in tal senso.

Attualmente la rete Internet si pone da una parte come possibilità di concretizzare un progetto sociale epocale e dall’altra come ulteriore strumento di profitto.

La progettazione di un prodotto multimediale potrà contribuire a rafforzare una posizione anziché un’altra e questa è una di quelle caratteristiche su cui solo la propria coscienza può dire l’ultima parola.