The Well, dodici anni on-line

Un'affettuosa celebrazione della "più influente comunità online del mondo", The Well. La patinata rivista del cyberspazione, Wired(10), nel numero di maggio, dedica 32 pagine e tante foto colorate a "The Whole Earth 'Lectronic Link", la comunità virtuale della Bay Area di San Francisco, nata nel marzo 1985 in poche stanze, calde d'estate e gelide d'inverno, su uno dei moli di Sausalito. The Well a suo tempo fu già celebrata e diffusamente raccontata da Howard Rheingold nel suo libro "Comunità virtuali".
Il fatto che oggi Wired decida di farne una storia ampia, ma romanzesca e tutta rivolta al passato, suscita una domanda legittima: è un necrologio, per quanto simpatetico, oppure la riproposizione di un modello virtuoso, proprio mentre la rete è sempre di più commercio e simil-televisione? Probabilmente entrambe le cose.
L'autrice è Katie Hafner, giornalista di Newsweek da tempo specializzata in racconti del cyberspazio. Sul finire dell'anno scorso ha pubblicato insieme al marito Matthew Lyon, per Simon and Schuster, il suo "Where Wizards Stay Up Late", una ricostruzione della nascita dell'Internet con interviste ai protagonisti.
I 12 anni di The Well sono stati tanto entusiasmanti quanto frustranti per i suoi fondatori e animatori, sempre alle prese con irresolubili problemi di bilancio da un lato e dall'altro con i conflitti e persino gli psicodrammi, che animano questa "comunità vibrante". Ci sono state defezioni e ritorni, The Well ha generato altre iniziative, in parte cooperanti e in parte conflittuali, come The River, negli anni scorsi, e Electric Minds dello stesso Rheingold, più di recente. Il gruppo di gestione è cambiato più volte, sempre basandosi su un'alta dose di volontariato e di dedizione personale. Non per caso tra i primi a sobbarcarsi l'ingrato compito furono Matthew McClure e Cliff Figallo: entrambi venivano da The Farm, una comune di campagna nel Tennessee, frutto degli anni sessanta americani, della contestazione, della canapa e dei fiori.
Quello che rende The Well un modello tuttora interessante non è assolutamente il fatto che si sia trattato di un grande Bbs (Bulletin Board System, un sistema di scambi di testi elettronici): del resto migliaia d'altri Bbs hanno popolato e popolano il mondo, prima e in parallelo alla diffusione di Internet. Sta piuttosto nella sua intenzionalità, nel suo progetto aperto: costruire una comunità senza farne una setta, né un club di maniaci o di isolati. Una comunità che evolve, perché è stata appositamente progettata per farlo. L'altissimo livello di tolleranza che in The Well si è sviluppato anche riguardo ai più maniacali tra i suoi membri non è semplice buonismo, ma convinta adesione all'idea che le comunità non possono andare avanti, se non si fanno carico dei problemi di tutti, anche di quelli personali, anche dei più petulanti perché infelici.
Da qui, per esempio, la pratica della non espulsione dei dissidenti, salvo casi estremi, giusto quando il livello di distruttività riversato in rete era troppo elevato, fino al punto di danneggiare gli stessi archivi del sistema, le "Conferenze" dove i membri della comunità, i "well-beings" (un gioco di parole che sta per "ben-esseri") discutono letteralmente di tutto, senza moderatori né censure.
Tra parentesi esattamente la pratica opposta stanno seguendo in Italia due associazioni telematiche che entrambe si rifanno alla sinistra di governo: Città Invisibile(11) e Network, dove proliferano statuti e custodi degli statuti, e dove le ammonizioni e le espulsioni fioccano.
Il ricordo che la rivista Wired dedica a The Well (il suo executive editor Kevin Kelly fu tra i suoi fondatori) sa un po' di nostalgia dei tempi andati, anche se sono giusto l'altro ieri. Ma è pieno di ambiguità: Wired da tempo ha saltato il fosso, rompendo sempre di più i legami con le radici socialmente utopiche della Rete e facendosi convinta paladina del business telematico, iperliberista, bianco, affluente e massimamente mercantile. E tuttavia si rende conto benissimo, la patinata rivista, che il principale valore aggiunto delle reti (giusto per usare un termine da manager) è l'interazione sociale. Si possono colorare le pagine del Web con le creazioni più scintillanti, si possono reclutare le firme migliori del giornalismo per dirigere riviste online (come nel caso di Slate di Microsoft), ma restano creature morte se non si scatena quel flusso di bit e di umori, di sentimenti e desideri che solo può rendere bello e gradevole un luogo virtuale, un posto dove tornare volentieri e spesso. Anche per il business, sempra di capire, la socialità è una virtù. Non per caso la giornalista del Los Angeles Times, Laura Bell, ha appena dedicato un lungo articolo, il 22 aprile scorso, alla rinascita dei Bbs.

 

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