Culture
Jamming
Manuela
Collarella
Due
canini aguzzi appaiono nottetempo sul megamanifesto targato McDonald
che campeggia su uno dei crocevia più trafficati di Johannesburg, in
Sudafrica, e immediatamente il simpatico sorriso della catena di fast
food più diffusa del pianeta si trasforma in un ghigno vampiresco.
E' così che agiscono gli attivisti nell'epoca della civiltà dell'immagine;
i provocatori che nell'era della comunicazione, digitale e non, hanno
scelto di impadronirsi dei meccanismi che sottendono ai mass-media per
usarli a proprio vantaggio. Per provocare, per suscitare una risata
nel passante che si aspetta di vedere la solita pubblicità al solito
angolo di strada, ma soprattuto per "sabotare" i marchi delle grandi
multinazionali, ormai diventati veri e proprie icone dell'immaginario
collettivo, attraverso le strategie che a queste compagnie stanno più
a cuore: quelle culturali Ed infatti prende il nome di "Culture Jamming"
(alla lettera: "sabotaggio culturale") la pratica che fa della parodia
e dell'ironia le proprie armi preferite. Basti guardare, a questo proposito,
il comunicato diffuso per l'occasione dal gruppo che è entrato in azione
a Johannesburg: "Per i tre assi, che hanno ricevuto in precedenza uno
speciale addestramento internazionale nell'arte della resistenza creativa,
la missione ha richiesto meno di 10 minuti. L'addestramento è avvenuto
in un campo segreto sulla "guerriglia artistica" in una localita non
confermata. Si crede che il campo sia da qualche parte nel terzo mondo
e si reputa che gli attivisti abbiano una sovvenzione internazionale
di provenienza sconosciuta" Coloro che si divertono a "decrittare" le
strategia dei mass-media per svelarne gli intenti ingannevoli sono,
come ha spiegato Naomi Klein in No-Logo, ragazzi che "sono cresciuti
così immersi nel linguaggio della pubblicità che adesso riescono a trovare
il modo per rivoltarla contro se stessa. Hanno il senso del gioco. Usano
i cardini del marketing per fare antimarketing. Laddove le grandi compagnie
hanno speso milioni di dollari per far diventare un paio di pantaloni
o una marca di latte un oggetto di culto, loro riescono a "defeticizzarne"
i marchi. L'espressione "Culture jamming" fu coniata nel 1984 dal collettivo
artistico statunitense "Negativland" (http://www.negativland.com/), che
a quel tempo si concentrava sull'uso creativo del collage e che oggi
si occupa di "musica sperimentale e di arti collettive". Con essa si
indicavano la pratica di alterare i manifesti pubblicitari e altre forme
di sabotaggio dei media. Quattro anni più tardi, a Vancouver, nasceva
il gruppo canadese di Adbusters, che avrebbe fatto del Culture Jamming
una vera e propria "missione". In oltre dieci anni di attività, i fondatori
di Adbusters hanno dato vita a numerose campagne, alla pubblicazione
di una rivista e di un sito web (http://www.adbusters.org/), ma soprattutto
hanno sovvertito il modo di pensare la comunicazione commerciale. "Designers!
State lontani dalle multinazionali! Vogliono che mentiate alla gente!"
hanno affermato nella campagna lanciata nel 1999 al meeting americano
dei designers. Un naso da porcellino applicato sull'immagine di un'elegante
signora che esce, carica di sacchetti, da una scintillante vetrina;
un corpo femminile che sta per scomparire dal campo visivo di un manifesto
sotto il quale sta scritto "Escape" e la campagna di Calvin Klein assume
un significato del tutto diverso. Ecco due esempi di come gli attivisti
mediatici di Adbusters hanno proposto un loro modo di rivedere la parola
"creativo". E che dire del "San Francisco's Billboard Liberation Front"
(il "Fronte per la liberazione del manifesto di San Francisco")? Il
gruppo (http://www.bilboardliberation.com/),
attivo fin 1977, del quale gli attivisti di Johannesburg sono dei cugini
neanche tanto lontani, ha collezionato in tutti questi hanni decine
e decine di "correzioni" di manifesti delle più importanti compagnie
multinazionali produttrici di sigarette, alcolici, software. I suoi
aderenti, (la cui identità è, per ovvi motivi legali, rigorosamente
segreta) sostengono di "migliorare" i manifesti che modificano. "Abolire
la pubblicità? Assolutamente no!"- dichiara uno di loro in un articolo
pubblicato dal sito - "auspichiamo semplicemente che ogni individuo
possa disporre del proprio manifesto per esprimere se stesso". Un modo,
quindi, per innescare un corto circuito in quello che Guy Debord, profeta
del situazionismo, chiamava il "flusso dello spettacolo", quell'evoluzione
della società che a causa della massiccia inondazione di messaggi comunicativi
che rimbalzano da un media all'altro, rende ogni individuo attore e
spettatore al tempo stesso.