Pierre lèvy

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Siamo entrati nell’Età del Noolitico? Pierre Lévy, uno dei più importanti “media philosopher”, spiega come sta nascendo la grande mente.“Invece che rafforzare i baluardi del potere, raffiniamo l’architettura del cyberspazio, ultimo labirinto. Su ogni circuto integrato, su ogni chip elettronico, si vede senza saperla leggere la cifra segreta, l’emblema complesso dell’intelligenza collettiva, il messaggio irenico disseminato in ogni direzione”. Sono le due frasi finali de “L’intelligenza collettiva”, l’ultimo lavoro di Pierre LévyNe L’intelligenza collettiva Lévy ipotizza l’esistenza di quattro “spazi antropologici”, attualmente contestuali, che si sono però creati lungo i percorsi temporali dell’umanità: lo spazio della Terra (dal Paleolitico al Neolitico, identità totemica, miti, cosmo), lo spazio del Territorio (dal Neolitico alla prima Rivoluzione industriale, identità censita, scrittura, Stato), lo spazio delle Merci (dal primo capitalismo al capitalismo post-industriale, produzione e consumo, statistiche, Capitale) e lo spazio del Sapere (il “Noolitico” - lo spazio della mente - cyberspazio, la manifestazione dell’intelligenza collettiva.Pierre Lévy si occupa di comunicazioni, dei nuovi orizzonti che si aprono con le nuove tecnologie. Le sue riflessioni trattano le intelligenze collettive, e da queste si estendono ad altri concetti.Intelligenze collettive.Questo è il tema che Pierre Lévy mette a fulcro delle sue riflessioni. “L’intelligenza collettiva è un’intelligenza distribuita ovunque, valorizzata in maniera continua, coordinata e mobilitata in tempo reale; è caratterizzata da una democrazia in tempo reale, un’inventiva estetica e un’economia di qualità umane; è multidimensionale e multisensuale, legata al corpo e alla terra; tratta di rimaterializzare e non di dematerializzare”. Si tratta di un orizzonte classico, un concetto profondamente umanista. Dalla rete emerge un super organismo, un cervello globale, in cui ogni neurone è una connessione. Questi passaggi, questi elementi di un tutto non sono intercambiabili come i membri di un formichiere o di un alveare. L’intelligenza collettiva sgorga nell’individuo. Non è un’intelligenza di massa, è un’intelligenza che segue un ottica frattale. È centrata sulla persona, sulle relazioni trasversali piuttosto che gerarchiche. Sullo scambio di conoscenze per un lavoro in comune. Ognuno sa qualcosa. È oltre il progetto repubblicano di garantire a tutti l’accesso al sapere (parlare di accesso mantiene l’esclusione di coloro che sono vittime del fallimento, della dispersione scolastica). Bisogna promuovere nelle scuole, nei quartieri nelle imprese il riconoscimento delle competenze già acquisite. Poi si proporrà l’accesso di tutti al sapere di tutti. Rete di scambio di sapere. Più mi sarai estraneo, più mi insegnerai. Nessuno sa tutto. Al cerchio vizioso della disqualificazione, della marginalizzazione, si oppone la dinamica della riqualificazione. Le attuali strutture sociali bloccano le sinergie trasversali fra progetti, fra individui, la rete li permette, li incoraggia. In un periodo in cui non si lascia dormire nessuna risorsa materiale, in cui ci si preoccupa dello spreco di energia, di riciclare i materiali, tanto più bisogna sfruttare al massimo la più piccola particella d’intelligenza, di qualità umana o di competenza. Bisogna riunire quello che è disperso e dorme nella popolazione. Appare subito che se questo vale dal punto di vista intellettuale, vale ancor di più politicamente.L'intelligenza collettiva è la prospettiva spirituale, la finalità ultima della cybercultura. E' praticata da tutti i navigatori della rete. Ognuno riconosce che l'uso migliore che si possa fare del cyberspazio consista nel metter in sinergia l'immaginazione, l'intelligenza e le energie spirituali di chi si connette.Levy nel suo libro "L'Intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberspace" spiega che l'intelligenza è distribuita ovunque c'è umanità ed essa può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche.Esiste un'etica dell'intelligenza collettiva la quale consiste nel valorizzare le qualità di ogni persona, senza che le risorse e le competenze vadano sprecate. Questo concetto fondamentale del pensiero di Levy si fonda sul principio che tutti, in rete, possono comunicare con tutti e ognuno esprime il proprio punto di vista creando allo stesso tempo un contesto di significati comuni, risultato dall'apporto di ogni singolo. Nessuno è costretto a condividere le idee degli altri: si partecipa allo stesso contesto, ma senza dover arrivare a un consenso, come accade nella democrazia classica, per fare in modo che la maggioranza governi.L'approccio del singolo verso la collettività si manifesta cioè in modo sempre più evidente e acquista sempre più importanza, favorito dalla possibilità offerta dalla Rete di mettere a disposizione del "gruppo" il proprio bagaglio culturale, esperienziale e, dunque, la propria persona. La cultura si rende dunque, in una parola, UNIVERSALE, in quanto prodotto di un "universo umano", di una collettività, e non già nel senso di globalmente valida, riconosciuta (quale poteva essere una cultura di stampo scientifico in tempi passati), e dunque statica. Anzi, la mancanza di staticità ne è una caratteristica peculiare, che si osserva nella rapidità di sviluppo, di cambiamento, nella dinamicità che derivano dal fatto di essere "priva di totalità", e cioè di unicità oggettiva. Di essere, in altre parole, prodotto, manifestazione e sorgente di differenziazioni ed eterogeneità che trovano un modo di sviluppo senza limiti e censure, di crescita a vantaggio del sapere collettivo.Questa è la grande novità apportata dal cyberworld: la possibilità di avere a nostra disposizione un background tecnicamente efficace e presumibilmente affidabile su cui sviluppare una sorta di "immaginario collettivo", realizzazione e prodotto di miliardi di intelligenze singole e individuali, la portata delle quali è elevata all'ennesima potenza a amplificata dalla possibilità di interazione, somma, confronto all'interno della collettività. A nascere da questo processo non è altro che quella che Levy definisce "l'intelligenza collettiva".La grande intuizione di Levy riguarda l'idea secondo cui i singolo risultano essere potenziali portatori di sapere alla collettività, in quanto dotati ciascuno di un'intelligenza specifica modellatasi sulla base delle conoscenze ed esperienze individuali, e, quindi, attivi realizzatori di "collettività intelligenti" (sebbene le modalità del passaggio risultino ancora poco chiare) e vere "comunità virtuali".Dovere del singolo, pertanto, è quello di offrire al detinatario, chiunque esso sia, il suo apporto personale, un quid individuale che consentirà all'"altro" di arricchire il suo sapere. Levy, portavoce della posizione "umanista" sull'uso delle nuove tecnologie, tende in sostanza a ricordarci quale immensa ricchezza (l'"intelligenza") sia depositata in ciascuno di noi, e a farci capire chesi sta rendendo sempre più necessario intervenire perchè questa sia valorizzata nella sua specificità e non vada a mischiari all'"impasto" di intelligenze che certo non può costituire una fonte di ricchezza e cultura. Da questo concetto fondamentale di intelligenza collettiva Lévy deriva la:Democrazia elettronica. La democrazia è nata insieme all’alfabeto. La stampa ha permesso la democrazia liberale, senza la stampa le rivoluzioni francese ed americana sarebbero impensabili, i giornali hanno creato l’opinione pubblica. Il cyberspazio ha la potenzialità per divenire un nuovo strumento di democrazia. È finita l’era della democrazia rappresentativa, questa rappresentazione è eccessiva, troppa rappresentazione svuota la democrazia del suo contenuto, si può tornare a forme di rappresentazione più dirette. Questo però non deve essere il referendum quotidiano alla Ross Perot, che sarebbe il festival della demagogia, ma la possibilità di una partecipazione alla definizione dei problemi. Le priorità nell’azione degli esecutivi. Un’elaborazione collettiva delle scelte può ravvivare la democrazia, specie quella locale. Il sapere. Una volta si imparava in gioventù e poi si tramandava ai giovani, oggi il flusso di conoscenze si è talmente accelerato che si deve apprendere ogni giorno. Il lavoro che si trasforma in continuazione, non è più lo svolgere un compito prescritto, ma diventa un continuo prendere l’iniziativa, una cooperazione, lo sviluppo di attività relazionali. In questo contesto economico si inserisce il progetto dell’intelligenza collettiva.La rete come movimento sociale. Riguardo alla rete, i media hanno posto l’accento su fenomeni marginali, quali il sesso, le sette, i terroristi. Non hanno parlato del brulicare dei newsgroup, della vera comunicazione interpersonale, una realtà importante e attiva, ma poco spettacolare. Internet è un movimento di base dietro il quale implicitamente si trovano le intelligenze collettive. Nessun governo, nessuna grande impresa ha deciso di far crescere internet. Assistiamo ad una comunità che per la prima volta comunica con se stessa, non da un centro a una periferia come i media classici, non da un individuo all’altro come il telefono o la posta, ma dal singolo a tutti. Internet è diversa dal Minitel francese, il cui impulso era stato dato dallo stato e che non è mai diventato fenomeno sociale. Gli mancava questa dimensione planetaria e trasversale di tutti verso tutti che entusiasma gli utilizzatori di internet.Il futuro? I progetti di utilizzo delle nuove infrastrutture di comunicazione sono tanti, si può disporre di enormi canali di fibre ottiche, ma se è per fare la tv interattiva invece di lavorare su un intelligenza collettiva, questo non farà avanzare la civilizzazione. Contestualizzazione e decontestualizzazione. Le società primitive erano orali, questa oralità aveva bisogno di un unico contesto culturale per permettere una comunicazione. La scrittura cambiò le forme della comunicazione, produsse la decontestualizzazione del messaggio, il quale aveva vita autonoma. Il messaggio oltre a correre a distanze fisiche e temporali enormi, fuggiva anche dal contesto culturale dell’autore, di colpo l’interpretazione diventa fondamentale. La scrittura produsse l’idea di universale. Un esempio sono tutte le religioni del libro. Si può essere cristiani a Seoul, ma se voglio convertirmi alla religione dei Boros devo andare a vivere con i Boros, perché è indissociabile dai loro modi di vita, dai loro rituali. Il fatto che il mittente ed il destinatario non dividano lo stesso contesto porta, dal lato dell’emittente, a produrre messaggi che siano il più possibile indipendenti. Il risultato sono messaggi universali. Messaggi autocontenuti. Questi universali letterari, sono per loro natura totalizzanti, Internet è la costruzione di un universo per contatto, per connessione e non per totalizzazione semantica. Di nuovo, si divide lo stesso contesto, anche se molto lontani siamo tutti immersi nello stesso ipertesto. Era la sconnessione che portava la decontestualizzazione. Il World Wide Web è in riconfigurazione permanente. Non dobbiamo più, ed è la prima volta, ricostruire una totalità, un recinto semantico che ci permetteva di interpretare correttamente i messaggi che ci venivano mandati. Nella rete qualunque documento è legato agli altri e alle comunità virtuali che possono tenerne conto, commentarlo, non essere d’accordo. Tutto questo in un ottica che è in continuo movimento, in un ottica di flusso. Avviene un po’ come nelle comunità orali, ma evidentemente su un’altra scala. È questa che si sta costruendo, la vera forma di universalità che contiene l’idea di umanità, e questo attraverso l’intelligenza collettiva.·  L' ETICA COLLETTIVA:Il progresso si trova oggi di fronte ai problemi dell'etica, per esempio al problema dei valori.Levy in un intervista sostiene che ci può, anzi c' è un'etica dell'intelligenza collettiva.Viviamo in un epoca che cerca di sfruttare, di valorizzare al massimo, per esempio, le ricchezze e i beni economici.Ci si rende conto che ciò che più va sprecato, che è meno valorizzato, che è meno preso in considerazione, è forse proprio ciò che è più importante e cioè, secondo Levy,i valori e le qualità propriamente umane, degli esseri umani viventi, le loro competenze e l'insieme delle loro qualità umane.L'etica dell'intelligenza collettiva consiste appunto nel riconoscere alle persone l'insieme delle loro qualità umane e fare in modo che essi possano condividerle con altri per farne beneficiare la comunità. Quindi mette l'individuo al servizio della comunità - ma per fare questo bisogna permettere all'individuo di esprimersi completamente - e al tempo stesso la comunità al servizio dell'individuo - poichè ogni individuo può fare appello alle risorse intellettuali e all'insieme delle qualità umane della comunità. A grandi linee è questa la prospettiva dell'intelligenza collettiva, a cui,secondo il filosofo, si oppongono tutti i giochi di potere, di oppressione e di dominio. Ritroviamo qui la battaglia per l'emancipazione: se non è possibile rimuovere questo aspetto negativo della vita sociale, bisogna almeno tentare di contenerlo nella giusta misura."Questa etica della comunicazione proprio non può essere regolata dal principio maggioritario. Per questo bisogna capire bene la natura delle nuove tecniche della comunicazione a supporto digitale. Nella comunicazione mediatica tradizionale, per esempio la stampa, la radio, la televisione, c'è un centro di emissione e un gran numero di ricettori che sono insieme passivi, perchè non c'è reciprocità nella comunicazione, e, soprattutto, isolati gli uni dagli altri. Allora, dal punto di vista dell'intelligenza collettiva, questo fatto è interessante, perchè tutti partecipano alle stesse rappresentazioni, emesse dal centro, ma non c'è interattività, non c'è costruzione collettiva.Un altro schema di comunicazione possibile è quello del telefono: qui c'è reciprocità nella comunicazione, ma non c'è costruzione collettiva. La comunicazione passa semplicemente da individuo a individuo.Con il cyber-spazio, con i forum di discussione elettronici, con Internet o anche su scala più ridotta con le BBS su scala di impresa o di associazione o di quartiere c'è la possibilità non solo che uno emetta verso tutti, non solo che uno comunichi facilmente con un altro, come sulla rete telefonica, ma che tutti possano comunicare con tutti.Si crea dunque un contesto comune, ma questo contesto comune non risulta più dall'emissione di un centro, risulta dall'apporto di ciascuno alla discussione collettiva.Credo che il vero, autentico atto di comunicazione è quello che consiste nel costruire in cooperazione un universo di significati comune, nel quale ognuno si può situare. Nessuno è obbligato a condividere le idee degli altri: semplicemente si partecipa allo stesso universo di significati, allo stesso contesto. Secondo il mio modo di pensare, non si tratta affatto di arrivare a un consenso, per fare in modo che la maggioranza governi. Questa è in un certo modo la democrazia rappresentativa classica. Credo invece che ognuno può, mediante questo sistema, prendere posizione, sviluppando una argomentazione assolutamente singolare. Si potranno formare anche delle maggioranze, tante maggioranze per quanti sono i problemi. E questo farà sì che un individuo possa avere su un dato problema una certa posizione e su un altro problema un'altra posizione e non essere semplicemente incluso in una grande categoria massiccia di persone che condividono tutte le stesse idee. Al contrario si può arrivare a differenziazioni molto sottili."In questa tendenza vi sono dei pericoli.Questa prospettiva dell'intelligenza collettiva, che permette alle persone di unire le loro forze intellettuali, la loro immaginazione, le loro conoscenze, eccetera, era la prospettiva di coloro che hanno costruito questo sistema e, in un certo senso, è il risultato di un vero movimento sociale.Secondo Levy ed altri pensatori non c'è nessuna grande società, nessun governo che ha deciso di costruire Internet: è un fenomeno del tutto spontaneo, è il movimento sociale di una gioventù cosmopolita di diplomati, che si interessano ai fenomeni dell'intelligenza collettiva.Oggi il cyber-spazio, costruito da un movimento sociale di gente che condivideva questa utopia, è recuperato dai governi che ne vogliono fare una specie di apparato collettivo, di grande televisione.Oppure è recuperato dai commercianti, dalle grandi imprese, che vedono in esso l'occasione di sviluppare un immenso mercato, un nuovo spazio di vendite, uno spazio mobile, in definitiva. Sarebbe veramente un peccato che questo aspetto commerciale sopprimesse o si sostituisse completamente all'altra dimensione. Sviluppare nuovi mercati, a condizione che il mercato non faccia passare in secondo piano le altre dimensioni, che sono l'aumento di ricchezze umane e di civiltà.