Pierre Lèvy

Biografia

Nasce il 2 Luglio 1956 a Tunisi.

Ha cominciato facendo studi di Storia e poi di Storia delle Scienze. Scopre la sua vocazione di ricercatore seguendo i corsi di Michel Serres alla Sorbonne di Parigi. Si laurea sostenendo una tesi di Sociologia sull’idea di libertà nell’Antichità con Castoriadis all’EHESS (1983). Frequenta i corsi serali del CNAM in informatica.


Lavora per due anni (‘84/’85) al CREA dell’ Ecole Polytechnique con Jean-Pierre Dupuy, Daniel Andler et Isabelle Stengers sulla nascita della cibernetica e dell’intelligenza artificiale.

Con il gruppo riunito attorno a Michel Serres, partecipa alla redazione di Eléments d’histoire des sciences (1989), di cui scrive la parte sull’invenzione del computer. Pubblica poi una prima opera La Machine univers (1987) sulle implicazioni culturali dell’informatizzazione e le sue radici nella storia dell’Occidente.

Il secondo libro, Le tecnologie dell’intelligenza (Synergon, Bologna 1992), è il frutto dell’esperienza di due anni in Canada, dove aveva lavorato come professore presso il dipartimento di comunicazione dell’università del Quebec a Montreal, e dove ha potuto approfondire le proprie conoscenze nel campo delle scienze cognitive e scoprire il mondo degli ipertesti. Nel libro tenta di dare consistenza filosofica al concetto di ipertesto e stende il programma di una “ecologia cognitiva”, in polemica con l’approccio strutturalista e chomskiano.

Tornato in Europa concepisce una forma di scrittura per immagini, interattiva e fruibile al computer. Quale tipo di scrittura potremmo inventare, disponendo di supporti dinamici e interattivi, piuttosto che di un supporto fisso? Verosimilmente una scrittura che non annoti suoni, come l’alfabeto, ma modelli mentali. Il suo successivo libro, L’idéographie dynamique (1991), elabora il fondamento teorico per un tale sistema di segni, in maniera tale da rendere sistematico l’uso delle simulazioni grafiche interattive, sia per la ricerca scientifica sia per i videogiochi.

Dal 1990 intraprende, con l’amico e ispiratore Michel Authier, una serie di ricerche e riflessioni sulle nuove forme di accesso al sapere fomite dagli strumenti informatici. Insieme approdano al concetto di “cosmopedia”, un’enciclopedia sotto forma di ambiente virtuale, che si riorganizza e si arricchisce automaticamente in base alle esplorazioni e alle domande di coloro che vi si addentrano. Contribuisce all’invenzione di una applicazione particolare della cosmopedia: il sistema “degli alberi delle conoscenze”. Si tratta di un sistema aperto di comunicazione tra individui, formatori e datori di lavoro, che consente di riconoscere la diversità di competenze delle persone, di organizzare formazione e apprendimento e di rendere visibile, grazie a una forma di rappresentazione dinamica, lo “spazio del sapere dei gruppi umani (scuole, imprese, bacini d’impiego). Tale progetto è descritto nell’opera Les arbres de connaissances (1992). Sempre con l’amico Michel Authier fonda la società Trivium che sviluppa e commercializza il programma e il metodo degli alberi della conoscenza.

Sempre nel 1992 viene pubblicato De la programmation considérée comme un des beaux-arts in cui si analizzano, all’interno di quattro casi concreti, gli atti cognitivi e sociali realizzati dai programmatori, mettendone in risalto gli aspetti più creativi e immaginativi.

Dal 1993 Pierre Lévy insegna presso il dipartimento “Hypermédia” dell’università di Parigi-VIII a Saint-Denis. Si interessa attivamente all’uso estetico delle risorse e dei dispositivi numerici; partecipa al consiglio artistico del centro Pompidou, è membro per tre anni del comitato di redazione della “revue virtuelle” del centro Pompidou, intrattiene numerosi contatti con artisti.

Pubblica nel 1994 un’opera su L’intelligenza collettiva, che gli appare come la sola utopia che possa opporsi ai mali contemporanei e il miglior uso possibile delle tecnologie di comunicazione interattiva.

Analizza nel 1995 nel suo libro Qu’est-ce que le virtuel? i mutamenti contemporanei del corpo, della cultura e dell’economia. Contrariamente a certi punti di vista catastrofici, quest’opera analizza la virtualizzazione della fine del XX secolo come un proseguimento dell’ “umanizzazione”.

Nel 1997 pubblica Cyberculture, rapporto al Consiglio Eurupeo, che può essere considerato un manifesto umanista della nuova cultura emergente.