"La tecnica" o "le
tecniche"?
In effetti, le tecniche
comportano progetti, schemi immaginativi, implicazioni sociali e culturali molto
varie. La loro presenza e il loro uso in un determinato luogo, e in un'epoca
specifica, sono la cristallizzazione di rapporti di forza di volta in volta
diversi tra gli esseri umani. Se, nel Diciannovesimo secolo, le macchine a vapore
hanno asservito gli operai delle industrie tessili, negli anni ottanta del nostro
secolo, i personal computer hanno ampliato le facoltà di agire e comunicare
degli individui. Pertanto non si può parlare di effetti socioculturali o del
senso della tecnica in generale, come tendono a fare i discepoli di Heidegger
o la tradizione legata alla scuola di Francoforte. È legittimo, per esempio,
porre sullo stesso piano il nucleare e l'elettronica? Il primo impone strutture
organizzative centralizzate, strettamente controllate da specialisti, con norme
di sicurezza molto severe, implica scelte a lunghissimo termine ecc. L'elettronica,
al contrario, è versatile, si adatta ugualmente bene a organizzazioni piramidali
e a una più ampia distribuzione del potere, obbedisce a cicli tecno-economici
più corti ecc. Dietro le tecniche agiscono e reagiscono idee, progetti sociali,
utopie, interessi economici, strategie di potere, l'intera gamma delle attività
e delle interazioni dell'uomo in società. Ogni attribuzione di un senso univoco
alla tecnica non può pertanto che apparire dubbia. L'ambivalenza e la molteplicità
di significati e progetti che le tecniche comportano sono particolarmente evidenti
nel caso del digitale. Lo sviluppo delle cybertecnologie è incoraggiato da stati
che perseguono la potenza in generale e la supremazia militare in particolare.
È anche uno degli obiettivi principali della competizione economica mondiale
tra colossi dell'elettronica e del software, e tra grandi aree geopolitiche.
Ma risponde altresì alle finalità di progettisti e utenti che cercano di incrementare
l'autonomia degli individui e di ampliarne le facoltà cognitive. Incarna, infine,
l'ideale di scienziati, artisti, manager e attivisti della rete che vogliono
migliorare la collaborazione tra le persone, esplorando e dando vita a diverse
forme d'intelligenza collettiva e distribuita. Questi progetti eterogenei entrano
talvolta in conflitto tra loro ma, ancora più spesso, e ci tornerò, si alimentano
e si rafforzano a vicenda. Le difficoltà di un'analisi concreta delle implicazioni
sociali e culturali dell'informatica e del multimedia sono moltiplicate dalla
radicale assenza di stabilità in questo campo. A parte i principi logici su
cui si regge il funzionamento dei computer, cosa hanno in comune, da un lato,
i mostri informatici degli anni cinquanta, riservati ai calcoli scientifici
e statistici, occupanti interi edifici, costosissimi, privi di schermi e di
tastiere e, dall'altro, i personal computer degli anni novanta, suscettibili
di essere acquistati e utilizzati con facilità da persone senza alcuna formazione
scientifica o tecnica per scrivere, disegnare, fare musica o pianificare il
proprio budget? Si tratta di computer in entrambi i casi, ma le implicazioni
cognitive, culturali, economiche e sociali sono evidentemente alquanto diverse.
E il digitale è ancora all'inizio della sua traiettoria. L'interconnessione
mondiale tra computer (l'estensione del cyberspazio) procede a ritmo serrato.
Ci si scontra sui prossimi standard di comunicazione multimodale. Tattili, sonore,
atte a consentire una visualizzazione tridimensionale interattiva, le nuove
interfacce con l'universo dei dati digitali diventano ogni giorno più semplici.
Per permetterci di navigare tra le informazioni, i laboratori competono in creatività
ideando carte dinamiche dei flussi di dati e mettendo a punto software intelligenti,
gli knowbots. Tutti questi fenomeni trasformano i significati culturali e sociali
delle cybertecnologie in quest?ultimo scorcio degli anni novanta. Data l'ampiezza
e il ritmo delle trasformazioni passate, è attualmente impossibile prevedere
i mutamenti che interverranno nell'universo del digitale dopo il Duemila. Nel
momento in cui le capacità di memoria e di trasmissione aumentano e si inventano
nuove interfacce per il corpo e per il sistema cognitivo umano (la "realtà virtuale",
per esempio), nel momento in cui il contenuto dei vecchi media (telefono, televisione,
giornali, libri ecc.) viene tradotto nel cyberspazio e il digitale fa comunicare
e modifica retroattivamente processi fisici, biologici, psichici, economici
e industriali un tempo separati, bisogna riconsiderarne le implicazioni culturali
e sociali volta per volta.
La tecnologia è determinante
o condizionante?
Le tecniche determinano
la società o la cultura? Se accettiamo la finzione di una relazione tra entità
distinte, essa si rivela molto più complessa di un rapporto deterministico.
L'emergere del cyberspazio accompagna, manifesta e favorisce un'evoluzione generale
della civiltà. Una certa tecnica viene prodotta all'interno di una determinata
cultura e una data società è condizionata dalle proprie tecniche. Dico condizionata,
non determinata: la differenza è capitale. L'invenzione della staffa ha consentito
la messa a punto di un nuovo tipo di cavalleria pesante, a partire dalla quale
si sono costituiti l'immaginario cavalleresco e le strutture politiche e sociali
del feudalesimo. Eppure la staffa, in quanto dispositivo materiale, non è la
"causa" del feudalesimo europeo. Non c'è "causa" identificabile di uno status
quo sociale o culturale, c'è piuttosto un insieme infinitamente complesso e
parzialmente indeterminato di processi interagenti che si rafforzano o si inibiscono
a vicenda. Per converso, si può dire che, senza la staffa, non si vede come
i cavalieri rivestiti d'armatura avrebbero potuto reggersi in sella e andare
alla carica lancia in resta? La staffa condiziona effettivamente la cavalleria
e, indirettamente, tutta la feudalità, ma non le determina. Dire che la tecnologia
condiziona significa che apre alcune possibilità, e che alcune opzioni culturali
o sociali non potrebbero essere seriamente prese in considerazione in sua assenza.
Ma le possibilità che si aprono sono parecchie e non tutte vengono colte e sviluppate.
Le stesse tecniche si possono integrare in complessi culturali molto diversi.
L'agricoltura irrigua su vasta scala ha probabilmente favorito il "dispotismo
orientale" in Mesopotamia, Egitto e Cina ma, da un lato, queste tre civiltà
sono molto diverse tra loro e, dall'altro, l'agricoltura irrigua si è anche
adattata molto bene a forme sociopolitiche cooperative (nel Maghreb medievale,
per esempio). Monopolio dello stato in Cina, attività industriale che sfuggiva
ai poteri politici in Europa, la stampa non ha avuto le stesse conseguenze in
Oriente e in Occidente. Il torchio di Gutenberg non ha determinato la crisi
della Riforma, lo sviluppo della scienza moderna e neppure il sorgere degli
ideali illuministici e il peso crescente dell'opinione pubblica nel Diciottesimo
secolo, li ha solo condizionati. Si è limitato a fornire una parte indispensabile
del contesto globale da cui sono sorte queste forme culturali. Se, per una filosofia
intransigentemente meccanicista, un effetto è determinato dalle sue cause e
potrebbe pertanto esserne dedotto, il semplice buon senso suggerisce che i fenomeni
culturali e sociali non obbediscono a uno schema del genere. La molteplicità
dei fattori e dei soggetti coinvolti impedisce il benché minimo calcolo deterministico
degli effetti. Inoltre, tutti i fattori "oggettivi" in fondo non sono altro
che condizioni suscettibili di interpretazione da parte di individui o gruppi
capaci d'invenzione radicale. Una tecnica non è né buona, né cattiva (dipende
dai contesti, dagli usi e dai punti di vista) e neppure neutra (essendo condizionante
o cogente, posto che qui apre e là chiude il ventaglio dei possibili). Non si
tratta di valutarne gli "impatti" ma di individuare le irreversibilità in cui
uno dei suoi usi ci immette, le occasioni che può permetterci di cogliere, e
di formulare progetti che sfruttino le virtualità di cui è portatrice, decidendo
cosa farne in futuro. Tuttavia, credere a una totale disponibilità delle tecniche
e del loro potenziale per collettività o individui sedicentemente liberi, illuminati
e razionali significa cullarsi nell'illusione. Molto spesso, nel momento in
cui noi deliberiamo intorno ai possibili usi di una certa tecnologia, alcuni
modi di fare si sono già imposti. Molto prima della nostra presa di coscienza,
la dinamica collettiva ha prodotto i propri catalizzatori. Quando la nostra
attenzione ne è attratta, è già troppo tardi? Mentre siamo ancora intenti a
interrogarci, altre tecnologie - ancora invisibili, forse in procinto di scomparire,
forse destinate al successo - emergono dalla frontiera nebulosa da cui sorgono
le idee, le cose e le pratiche. In queste zone di indeterminatezza in cui si
gioca il nostro futuro, gruppi di inventori marginali, dilettanti e imprenditori
audaci tentano con tutte le loro forze di imprimere una svolta al divenire.
Nessun agente istituzionale forte - stato o impresa - aveva deliberatamente
pianificato, e nessun media aveva previsto o preannunciato, lo sviluppo dei
personal computer, né quello delle interfacce grafiche interattive, né quello
delle Bbs o dei software di supporto alle comunità virtuali, ipertesti e World
Wide Web, o ancora dei programmi di crittografia personale inviolabile. Queste
tecnologie, totalmente permeate dai bisogni dei loro primissimi utenti e dai
progetti dei loro inventori, nate da menti visionarie e cresciute nel fermento
di movimenti sociali e pratiche di base, sono arrivate da dove nessuna "istanza
decisionale" le attendeva.