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Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete

 

di A. Di Corinto e T.Tozzi

 

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2.2.1.La Privacy tra Stato e Mercato

 

Nel libro L’occhio elettronico. Privacy e filosofia della sorveglianza 17, David Lyon, sociologo alla Queen’s University di Kingston, Ontario, si chiede come la tanto celebrata società dell’informazione stia evolvendo verso una nuova società della sorveglianza, se è vero che l’introduzione massiccia delle tecnologie della comunicazione a base informatica comporta un salto di qualità rispetto ai tradizionali meccanismi del controllo sociale.

La domanda è ovviamente retorica, e questo non solo per la capacità «genetica» delle memorie informatiche di registrare immense quantità di dati nell’universale formato del bit e di trasferirle e scambiarle attraverso le reti di comunicazione, ma perché introducono dei cambiamenti qualitativi e quantitativi nella natura stessa della sorveglianza.

 

Surveillance, Social Control, New Technologies

La Sorveglianza si riferisce al monitoraggio o alla supervisione di gruppi di individui per ragioni specifiche. Il concetto, per come lo intendiamo oggi, ha la sua origine nell’organizzazione burocratica degli stati moderni. La Sorveglianza è l’elemento sempre presente in ogni gruppo organizzato come elemento di regolazione dei rapporti sociali.

Il controllo sociale si riferisce alle modalità attraverso cui differenti componenti di un dato gruppo limitano o influenzano le scelte e le interazioni degli altri membri. Il controllo sociale può essere esogeno (esterno), endogeno (dall’interno), o autogeno (autodiretto), in relazione alla fonte da cui origina. Il controllo sociale è basato sulla comunicazione efficace fra i membri del gruppo, e poiché la comunicazione face to face non consente di gestire le esigenze organizzative di gruppi sempre più ampi e dispersi geograficamente, mezzi e tecniche di comunicazione sono di primaria importanza per raggiungere questo obiettivo.

Oggi questi mezzi sono rappresentati dalle nuove tecnologie dell’ICT che si basano sulla microlettronica.

In sintesi, si tratta di strumenti e tecniche che consentono la raccolta, l’immagazzinamento e la ricerca dei dati attraverso infrastrutture di comunicazione come Internet, che connettono le persone fra di loro, le macchine con le macchine e le persone con le macchine.

L’invadenza delle tecnologie microelettroniche utilizzate a fini di controllo sociale (monitoraggio e sorveglianza, prevenzione e repressione dei comportamenti devianti) ha trasformato la questione della privacy in una questione di libertà.

 

La privacy del mercato

Big Brother isn’t watching, Big Brother is selling (Winston Smith)

 

Il rispetto della privacy è stato spesso invocato come il «diritto ad essere lasciati in pace», all’interno della propria sfera privata, quella domestica innanzitutto, riesumando una vecchia definizione del 1928, attribuita a Louis Brandeis. Questa definizione ignora però la minaccia che la perdita della privacy rappresenta in termini di limitazione della dignità personale e della propria autonomia di scelta quando è il nostro essere sociale, e cioè il ruolo sociale e l’agire pubblico, a cadere sotto l’osservazione di un «occhio indiscreto». Quando ciò accade, il caso è usualmente considerato «eccezionale», fuori dell’ordinario, e non è infrequente trovare chi invoca la legge a tutela della propria sicurezza e dei propri interessi immediati.

Ma non sembra sufficiente impostare il problema in questi termini. Sulla scia della riflessione di Lyon, è utile riflettere sul significato che la violazione della privacy assume in termini di filosofia della sorveglianza per capire come essa venga applicata al monitoraggio di una specifica popolazione di individui al fine di controllarne e guidarne i comportamenti.

E l’esempio per eccellenza è il controllo dei comportamenti di consumo.

 

La Perdita della Privacy

La perdita e la «confisca» della privacy appartengono storicamente al regime di ogni istituzione totale, dove assumono il valore esplicito del controllo sulla altrui esistenza.

Filosofi, economisti e uomini di stato, hanno pontificato sulle qualità implicite del dominio della privacy degli «altri» per conseguire obiettivi validi per il funzionamento della società come macchina organizzativa globale.

Applicata alle tradizionali sfere della devianza, criminale e non, al luogo di lavoro nella sua dimensione di potenziale motore del conflitto di classe, utilizzata dal mercato per omogeneizzare e guidare i comportamenti di consumo, la filosofia del controllo basata sulla raccolta di informazioni personali e quindi sulla categorizzazione degli individui, è uno strumento di potere che stabilisce le modalità del comportamento corretto classificando di volta in volta gli individui come buoni o cattivi lavoratori, consumatori, vicini di casa. Questo obiettivo si rivela anche quando il controllo, quello dello Stato, si presenta come riequilibrio della partecipazione al benessere comunitario, dove il controllo opera come meccanismo di inclusione ed esclusione sociale rispetto al godimento dei diritti di cittadinanza.

 

Da dove origina questa filosofia?

Nella concettualizzazione benthamiana del Panopticon la trasparenza del soggetto «sotto osservazione» ne garantisce il rispetto verso un sistema di regole basato sulla proiezione individuale del timore della punizione conseguente alla loro infrazione. Nella teorizzazione di Weber 18, invece, il controllo e la pianificazione dei comportamenti sono considerati il prerequisito di ogni organizzazione votata all’efficienza, costituendo la base teorica dell’intuizione fordista per cui è attraverso l’organizzazione scientifica dei ritmi e delle funzioni del lavoro che si ottimizza la produzione e si aumentano i profitti. Michel Foucault 19 ci ha spiegato invece quale sia il ruolo della sorveglianza nell’induzione al conformismo preventivo e all’autodisciplina, descrivendo le dinamiche del controllo negli orfanotrofi e nell’esercito come nella fabbrica e nelle prigioni, nella sua famosa teorizzazione della «disciplina del corpo docile». Per Foucault la filosofia del controllo è il paradigma attraverso cui vengono elaborati i codici e i concetti attraverso cui ogni società definisce se stessa mediante il principio dell’esclusione.

 

L’evoluzione della sorveglianza

Il sistema del controllo che oggi si dipana è tuttavia qualitativamente e quantitativamente differente da quelle elaborazioni, anche se le contiene tutte insieme. L’evoluzione delle forme «tradizionali» di controllo, nonchè della teoria che le origina, non è più riducibile al solo universo della devianza e dell’organizzazione del lavoro e della macchina-stato, ma si afferma come fattore di controllo del mercato e con esso si mescola.

La sorveglianza dei consumi, che non disdegna l’uso illegittimo di dati e informazioni raccolte attraverso le istituzioni dello stato, si presenta oggi come obiettivo generale di una società già disciplinata, dove la partecipazione sociale e quindi il godimento dei diritti di cittadinanza si identificano con la partecipazione ai meccanismi del consumo piuttosto che con un codice universalistico eticamente fondato su inalienabili principi umani di libertà e dignità.

La sorveglianza del mercato si presenta come parte di un disegno organizzativo, la cui efficacia è legata al «comando» sulle qualità del potenziale consumatore e si basa sulla precisa conoscenza dei suoi comportamenti di consumo e della sua capacità di spesa.

Per conseguire tale scopo, il mercato non solo viola la tradizionale sacralità della soglia domestica con la posta personalizzata o con le indagini telefoniche, ma interviene nel modellare i comportamenti sociali tout court, laddove pianifica con l’aiuto della statistica geodemografica l’offerta di merci su segmenti di consumo individuati attraverso la conoscenza delle caratteristiche generali dei consumatori come l’età, la professione, la residenza, la composizione familiare, il genere.

Questa strategia si avvale di modernissimi mezzi di monitoraggio dei comportamenti sociali, che nell’era digitale coincidono con gli strumenti elettronici in grado di mantenere «traccia» dei comportamenti quotidiani: dalle videocamere nel supermercato fino alla posta elettronica via Internet. Lo scopo è la precisa rilevazione dei comportamenti di consumo e la loro guida.

La metodologia di sorveglianza utilizzata dal mercato trova il suo complemento nella pianificazione capillare dei meccanismi di domanda e offerta ritagliati sulla conoscenza di attitudini, gusti e preferenze dei consumatori.

Che cosa c’entra tutto questo con la privacy?

Nei fatti, in termini di «management sociale» le informazioni ottenute da collezioni geodemografiche e dalla analisi statistica dei dati personali di una certa popolazione consentono la creazione di modelli inferenziali di decision making e di social judgement dei soggetti sotto esame per adattare la domanda all’offerta e in tal modo guidare le scelte degli individui, utilizzando la conoscenza dei fattori psicologici che sono alla base dell’agire sociale.

In tal modo, utilizzando i dati registrati sui sistemi elettronici attraverso cui viene svolta ormai la grande maggioranza delle transazioni commerciali (e che forniscono oltre ai dati anagrafici le informazioni circa l’area geografica di residenza, gli orari e gli strumenti di interazione), gli ingegneri del marketing sociale ricostruiscono i profili degli utenti. Questi profili vengono infine usati per mettere a punto campagne di marketing strategico, dove si parte dallo shampoo per conquistare l’adesione al partito.

Lo scopo non è quello di esercitare una coercizione sui cittadini quanto quello di sedurre i consumatori.

Se consideriamo che le stesse scienze sociali descrivono la corrispondenza tra l’essere e il fare dei cittadini-consumatori, i nuovi mercanti di dati sono interessati a sfruttare pattern di comportamento per indirizzare i consumi secondo modelli di acquisto che, per l’elevata corrispondenza che in certe società hanno con l’ordine sociale e l’immaginario, costituiscono un ambito di controllo assai rilevante per chi vuole mantenere lo status quo.

Così, mentre i dati personali relativi all’identità burocratica sono più facilmente reperibili attraverso servizi di credito o sistemi demografici ed attuariali, i dati sui comportamenti di consumo ottenibili attraverso i questionari commerciali, la carta degli sconti del supermercato, le smart-cards dell’autostrada e i PoS (Point of Sale), sono molto più interessanti per gli ingegneri del mercato.

Al mercato interessano profili di consumo basati sui comportamenti, mentre l’attribuzione univoca dell’identità a un determinato comportamento ha più a che fare con le attività di polizia che col mercato. Tuttavia, seppure il mercato non ha bisogno di sapere come ci chiamiamo ma come agiamo da consumatori, vuole sapere cosa è che ci piace e «dove» venirci a cercare per offrirci ciò che siamo più propensi a desiderare. La ricognizione dei gusti e dell’ubicazione del potenziale consumatore costituisce la base del marketing personalizzato, utilizzato come strumento di previsione e orientamento dei consumi.

 

Vendere sentimenti

Dall’intuizione, vecchia di quarant’anni, del sociologo G.D Wiebe, per cui «è possibile vendere il sentimento di fratellanza come si vende il sapone» siamo arrivati ad un controllo assai più subdolo e pervasivo, se pensiamo che nella società in cui viviamo l’autoidentificazione e l’integrazione sociale si fondano più sull’illusorio esercizio della libertà di scelta offerta dal mercato che sulla partecipazione ai diritti di cittadinanza su base universalistica.

Così lasciandosi sedurre dal richiamo accattivante del consumo si contribuisce, più o meno direttamente, a mantenere e rafforzare lo status quo di un ordine sociale basato, appunto, sul consumo.

Perché allora è importante garantire la riservatezza dei propri comportamenti e non solo dell’identità anagrafica?

E come può questo atteggiamento trasformarsi in opposizione critica al mondo dei consumi?

Probabilmente l’opposizione migliore a un sistema sociale basato sul consumo è quella di non consumare. È questo il senso del «Buy Nothing Day», una giornata di ribellione al mondo dei consumi festeggiata in Nord-America da molti anni, che consiste nel rifiuto a acquistare alcunché per un giorno intero con l’obiettivo di dichiarare la propria ribellione alla mercificazione dell’esistenza e dei rapporti sociali. Un’iniziativa replicata in altri paesi, come in Italia.

Altri auspicano invece l’attuazione di strategie di «resistenza» che invocano il diritto a una vita «analogica» e presuppongono il rifiuto di usare strumenti che conservano traccia dei loro comportamenti e la distruzione di tutti i dati che li riguardino per affermare la concretezza della propria esistenza e l’irriducibilità dei propri bisogni contro il sé digitale rispetto al quale le politiche dello stato e del mercato vengono organizzate secondo meccanismi di inclusione ed esclusione.

Evitare che vengano creati profili individuali è un fatto di privacy, la quale non essendo una tecnica o uno status, ma una relazione sociale, riguarda da una parte l’autonomia di scelta e la dignità personale, dall’altra «il diritto dell’individuo ad essere lasciato in pace».

La minaccia del mercato alla privacy lede una libertà primordiale: per coloro che sono integrati nei meccanismi di scambio e di consumo, è la stessa capacità di scelta ad essere progressivamente annullata, mentre la minaccia incombe sulla libertà tout court per tutti coloro che auspicano un diverso ordine sociale, gli stessi per i quali l’esclusione dal circuito delle merci ha una sola risposta: l’emarginazione sociale 20.

 

 

continua

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