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Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete

 

di A. Di Corinto e T.Tozzi

 

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1.2. all the technology to the people

La convizione che i sistemi informatici possono concretamente contribuire al miglioramento della società grazie alla capacità di diffondere le informazioni capillarmente e velocemente ha contribuito a creare una scena italiana assolutamente peculiare.

In Italia l’uso dei computers che si è incontrato con la filosofia comunitaria dei primi Bulletin Board System, e la pratica autogestionaria dei centri sociali ha dato vita ai numerosi hacklabs – ce ne sono circa dieci sparsi per la penisola – tutti impegnati nella democratizzazione delle tecnologie informatiche.

Gli Hacklabs, moltiplicatisi dopo il secondo hackmeeting italiano www.hackmeeting.org, sono quei luoghi dove gli hackers fondono le proprie conoscenze, discutono degli usi sociali della tecnologia e contestano l’appropriazione privata degli strumenti del comunicare. Con singolari iniziative. Il Loa hacklab di Milano, ad esempio, nato e cresciuto al centro sociale Bulk, si distingue per l’opera di alfabetizzazione all’uso critico dei computer e alla diffusione di sistemi aperti e gratuiti per far funzionare i computer. Discepoli di Linux e di tutti gli altri strumenti software progettati collettivamente e con libera licenza di distribuzione, i membri del Loa hanno fatto propria la proposta dell’obiezione di coscienza rispetto all’utilizzo di software proprietario (e a pagamento) nelle università, e hanno avviato una campagna contro il carattere antisociale del diritto d’autore sostenendo che esso «anziché proteggere il vino, protegge la bottiglia» e non salvaguarda gli interessi degli autori ma quelli della burocrazia che ne gestisce i diritti. www.ecn.org/loa

L’Hacklab Firenze, invece, lavora da tempo alla costruzione di un sistema di calcolo parallelo (un cluster di computer riciclati), chiamato Ciclope a dimostrazione che non è finita l’era in cui gli hackers assemblavano schede e processori allo scopo di trarne il miglior risultato possibile senza rincorrere le innovazioni di una tecnologia sempre più costosa e dai risultati insoddisfacenti.

http://firenze.hacklab.it/

Molte altre sono le iniziative che caratterizzano le comunità hacker italiane. Al Forte Prenestino di Roma, ribaltando la logica di attirare le persone verso i templi della tecnologia, la tecnologia è stata portata dove le persone c’erano già. È il progetto Forthnet, una infrastruttura di cavi e computer che raggiunge ogni angolo dei 13 ettari su cui si estende uno dei centri sociali più vecchi d’Italia www.forteprenestino.net L’infrastruttura che ha retto l’assalto di centinaia di smanettoni al terzo hackmeeting italiano è la base per la sperimentazione di una piattaforma groupware per il telelavoro cooperativo dal nome Brain Workers’ Network. Proprio al Forte si sono tenuti i Windows erasing days per insegnare a tutti come rimuovere MsWindows dal proprio computer e vivere felici usando sistemi operativi a prova di crash, cioè Linux.

Altri gruppi sono impegnati sul terreno dell’autodifesa digitale www.ecn.org/crypto, come in particolare il gruppo di lavoro sulla comunicazione di Strano Network che invita a imparare a conoscere e difendere il diritto alla privacy e all’anonimato contro chi vuole usare i dati personali degli utenti informatici per scopi commerciali o intimidatori: www.strano.net

Alcuni componenti del gruppo, insieme a un team di psicologi, giornalisti e educatori, hanno anche creato una sorta di portale sull’utilizzabilità delle tecnologie e una guida online per la realizzazione di pagine web accessibili anche ai disabili. www.ecn.org/Xs2web.

Interessante inziativa per il libero accesso all’informazione è stata invece il progetto Oboe, la costruzione di una piattaforma hardware per consentire ai non vedenti di usare gratuitamente i computer per studiare e informarsi senza dover pagare costi impossibili. Ma per saperne di più è sufficiente andare su www.strano.net/copydown, un portale di hack-tivisti che vanta una generosa presenza femminile.

 

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