CAVELLINI GUGLIELMO ACHILLE

(da Vittore Baroni, Arte Postale - Guida al network della corrispondenza creativa, AAA Editrice 1997)

G.A. Cavellini (o GAC, classe 1914), fondatore di una personale tendenza artistica, l’autostoricizzazione, é un personaggio centrale per l’intera storia dell’arte postale. Ambizione e arrivismo, culto dell’ego e del genio individuale, poco si attagliano alla cultura di rete, dove l’invenzione del singolo diviene spesso patrimonio comune. Atipico è però il caso dell’artista bresciano, per il quale l’ossessiva esaltazione della propria persona rientra in un ambizioso disegno concettual-creativo. Già uno dei più noti collezionisti d’arte moderna italiani, amico dei maggiori talenti della sua generazione, egli coltiva anche nel tempo una fervida attività pittorica ma è solo nel 1971 che, sentendosi ingiustamente trascurato dalla critica, decide di “fare da solo”, rendendo oggetto stesso della sua arte una serie di fantasiose strategie autopromozionali.

Alcuni artisti concettuali hanno creato mostre “su catalogo” ma senza portare l’idea alle sue logiche conseguenze: la spedizione di migliaia di “mostre a domicilio” a musei, biblioteche, critici, artisti, curiosi, addirittura con inserzioni su riviste che invitano a richiedere gratuitamente le pubblicazioni. Con una ventina di tali “cataloghi” pubblicati a ritmo serrato fra il ’71 e l’89, tutti finalizzati con impertinenza marinettiana a conclamare Cavellini il più grande artista contemporaneo, questi porta l’ambiente artistico internazionale a conoscenza del suo peculiare caso: vi troviamo manifesti di mostre dedicate a GAC dai principali musei del mondo per il suo centenario nel 2014, autoritratti in forma di grandi francobolli commemorativi, copertine di libri scritti per lui dai Grandi (tipo Il Divino Cavellini di Dante Alighieri), polemici diari autobiografici (come 1946-1976 incontri/scontri nella giungla dell’arte, Shakespeare & Company, Brescia 1977), ecc. Se già i cataloghi possono essere considerati il cardine dell’autostoricizzazione, va aggiunto che a ciascun lavoro riprodotto sulle loro pagine corrisponde anche una vera opera di grandi dimensioni e squisita fattura tecnica, su tela, legno o altri supporti.

Non è però solo per distribuire volumi in quantità industriali (grazie all’ingente patrimonio di famiglia, aggiungono gli invidiosi) che l’artista fa uso delle poste, anzi egli si prodiga nel rispondere personalmente a tutti coloro che gli scrivono, nella elegante calligrafia che è parte integrante di molti suoi lavori. Entrato inevitabilmente in collisione fin dai primi ’70 con l’universo della mail art, l’artista diviene un assiduo frequentatore di progetti, mostre e scambi privati, inviando in giro un numero spropositato di adesivi promozionali (oltre ai popolari tondi tricolori, una lista di artisti celebri culminanti nel suo nome, foto di performances con abiti bianchi su cui ha scritto la sua intera storia, ecc.), francobolli (ritratti commissionati ad artisti quali Warhol, Mimmo Rotella, James Collins, o autoritratti accostati a quelli in pose analoghe di artisti famosi, ecc.), cartoline (quali il Decalogo di Cavellini che inizia con “NON autostoricizzatevi” e i Dieci modi per diventare famosi con “Uccidere Cavellini, o farsi uccidere da Cavellini” al primo punto...) e poi autorizzazioni a celebrare in un museo il suo centenario, lettere manoscritte con calligrafia tanto fitta da risultare illeggibile, soprattutto migliaia di “operazioni andata-ritorno”, ovvero buste ricevute e ritornate al mittente ricoperte di francobolli e timbri cavelliniani.

Non sono pochi i mailartisti che hanno stigmatizzato l’opera di Cavellini scambiandola per puro egocentrismo, senza tener conto della sua ironia paradossale (in un appello ai popoli del mondo, chiede la fine di tutte le guerre al solo fine di evitare che la sua produzione vada distrutta!), della critica implicita ai meccanismi corrotti dell’arte e della sua perspicace consapevolezza (al pari di Ray Johnson) di trovarsi a vivere la fine di una concezione tradizionale dell’artista demiurgo, quale “anello di congiunzione” con un nuovo modo di intendere e praticare l’attività artistica. Altri networkers hanno di contro elevato GAC al rango di guru, inondandolo di opere in suo omaggio (incorniciate a centinaia, riprodotte in catalogo ed esposte come parte del Museo Cavelliniano), organizzandogli mostre o invitandolo a festivals a lui dedicati (in California, Ungheria, Belgio, Giappone). Dopo la scomparsa dell’autore nel 1990, il figlio Piero, noto gallerista, ha annunciato la creazione a Brescia di un Archivio GAC e ha concesso opere per esposizioni in Italia e all’estero. L’impressione è comunque che molto possa e debba ancora esser fatto per preservare e studiare l’eredità di questo artista che, definendosi il più grande di tutti, forse non andava poi così lontano dal vero.