Arte, Media e Comunicazione
di T.Tozzi |
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Testo dell'intervento alla sezione "Arte" del meeting Hack It 2000 16-18 giugno 2000, Forte Prenestino, Roma |
INDICE:
Gli scopi
I MASS MEDIA
La
comunicazione di massa vs comunicazione di tipo interpersonale
La
necessità di riformulare il concetto di mezzi di comunicazione di massa
New Media
La
polisemicità dei testi mediali
LA COMUNICAZIONE
Fondamenti
di semiotica
Il segno
Espressione e contenuto
Denotazione e
connotazione
I tre tipi di segno in
Peirce.
L’assenza
del referente
Il
cinema come riproduzione della realtà.
Il
cinema come rappresentazione della realtà.
Il
cinema come trasformazione della realtà.
L’ARTE
Rapporti
tra arte e media
-
Bertold brecht (1932)
-
I Futuristi (Martinetti e Masnata, 1932)
-
Gruppo Spaziale (Fontana, Burri, Tancredi, ecc., 1952)
-
W. Vostell (1958)
- Nam June Paik (1963)
- WGBH TV (Boston), WNET
TV (New York), KQED TV (San Francisco) (1967)
- Nam June Paik e Charlotte Moorman
(1969)
-
Arte e politica (1969/70)
-
Radical Software (1970)
- Guerrilla Television (1971)
-
Homebrew Computer Club (1971)
- Community Memory
Project (1971)
Le ricerche linguistiche parallele: lo studio della
pragmatica e la teoria degli atti linguistici
Un
modo differente di giudicare i media
I
nuovi media digitali e l’utente autore-spettatore
L’arte
collettiva e il nome multiplo
Due
differenti tipologie di uso artistico delle reti telematiche
-
La rete come contenitore:
-
La rete come opera
L’opera
come trasmissione del senso oltre che evento interattivo: G. Chiari
I media
della conoscenza
L’artista
come media
L’arte come trasferimento di risorse
Link =
presupposizioni = prescrizioni
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
- Descrivere nel campo dell’arte quelle idee,
pratiche e strategie che hanno sottolineato l’importanza di un uso dei media
finalizzato alla comunicazione.
- Formulare l’ipotesi di una nuova idea di arte in continuità con le riflessioni del passato ma anche conseguenza della nascita e dell’uso dei nuovi media digitali:
o
l’arte
come rete di relazioni comunitarie orizzontali e interattive
o
l’arte
come trasmissione di senso.
o
L’arte
come trasferimento di risorse
Saranno illustrate le classiche distinzioni tra
comunicazione di massa e comunicazione interpersonale
per illustrarne l’inadeguatezza in relazione ai nuovi media digitali.
Nel fare ciò si esamineranno alcune caratteristiche fondamentali dei nuovi
media.
Si cercherà di definire cosa si intende per comunicazione
e nel fare ciò si evidenzierà come prioritarie la trasmissione del
senso così come la partecipazione interattiva.
Verrà fornita una panoramica dei rapporti tra arte e media in questo secolo per mettere in luce come le intuizioni che ne sono scaturite abbiano forti punti di contatto con il modello di comunicazione specifico delle attuali reti telematiche. Saranno quindi descritte le recenti ricerche artistiche che si rifanno al modello rizomatico della rete e in particolare alle relazioni e agli scambi cooperativi all’interno delle comunità telematiche.
La comunicazione di massa vs comunicazione di tipo
interpersonale:
I mezzi di comunicazione di massa (radio,
televisione, stampa, ecc.):
·
non
bidirezionali (una massa anonima ed un feedback deduttivo, da cui messaggi che
si adattano a pubblici differenziati e non si interessano ai loro sottogruppi).
Viene operata una previsione sul tipo di pubblico e dunque
sul tipo di codice da adottare. Oltre all’emittente e al ricevente reale si ha
dunque la costruzione di un emittente e un ricevente immaginari frutto della
previsione che l’autore opera rispetto al modello di scambio comunicativo
·
sfera
delle relazioni: pubblica
·
quantità:
uno a molti
·
la
produzione necessita di una grande struttura organizzativa
·
con
memoria
·
intertestualità
e stesso contenuto su più media
I mezzi di comunicazione interpersonali (telefono,
microfono, ecc.):
·
bidirezionali
(feedback diretto, da cui la possibilità di costruire messaggi personalizzati
rispetto al destinatario)
·
sfera
delle relazioni: privata
·
quantità:
uno a uno o relazione di gruppo
·
la
produzione non necessita di una grande struttura organizzativa
·
non
dotati di memoria
·
un
singolo media per un singolo contenuto
La necessità di riformulare il concetto di mezzi di
comunicazione di massa
Soprattutto con l’avvento delle reti telematiche si viene a svilupparsi un nuovo media che presenta delle particolarità che mettono in crisi quelle distinzioni tra mezzi di comunicazione di massa e interpersonali descritte sopra.
Ad esempio attraverso un unico media, il computer,
collegandosi alla rete telematica internet si può avere delle tipologie
comunicative in cui gli utenti sono passivi e si limitano a navigare scegliendo
il loro percorso tra una molteplicità di contenuti inseriti da altri (schema
uno a molti) così come altre tipologie, quale ad esempio la posta elettronica,
in cui si ha sia uno scambio interattivo privato (uno a uno) che uno scambio di
gruppo come avviene nelle mailing list o nei newsgroup. (veri e propri forum
collettivi di discussione realizzati attraverso uno scambio di messaggi scritti
e depositati in internet). Inoltre la comunicazione privata può essere
conservata e archiviata in una memoria fissa.
Una ulteriore definizione per distinguere i mass media potrebbe dunque essere quella di:
un medium in grado di comunicare ad un pubblico crescente ad
un costo proporzionalmente decrescente.
New Media
I nuovi mezzi informatici, con la loro esplosione grazie al personal
computer negli anni settanta inaugurano un nuovo genere di strumenti
della comunicazione definiti per adesso genericamente New Media.
Tali nuovi media presentano alcune caratteristiche:
§
Sincretismo (sintesi in un’unica forma di
modalità espressive diverse) ed Eterogeneità
§
dei
codici
(riferimento a codici e famiglie di codici diversi)
§
Sinestetici (cooccorrenza di stimoli afferenti a organi
sensoriali diversi)
§
interattività
§
connettività
§
modularità
(la possibilità di un’organizzazione complessa dei contenuti con
§
strutture
possibili molteplici:
·
multisequenziale
·
non
lineare
·
matrice
·
rizomatica
·
gerarchica
·
orizzontale)
Inoltre i new media presentano alcuni vantaggi:
§
memoria
§
velocità
§
riproducibilità
senza perdite
§
diffusione
§
dialogo
§
flessibilità
(manipolabilità)
§
adattabilità
§
autoapprendimento
(reti neurali)
La polisemicità dei testi mediali
Innanzi tutto per testo si intende non il
semplice testo alfabetico, ma qualsiasi testo audio-scripto-visivo che sia “un
insieme discorsivo coerente e compiuto” (G. Bettetini, “L’audiovisivo –
dal cinema ai nuovi media”, pag. 38, Bompiani, 1996).
Secondo Fiske un testo diventa tale “nell’atto della
lettura, cioè quando la sua interazione con uno dei molti pubblici attiva
alcuni dei significati/piaceri che è in grado di provocare” e che “un programma
è prodotto dall’industria, un testo dai suoi lettori”.
Per D. McQuail “questo è un punto centrale in quella che
è in fondo una teoria del contenuto dei media visto sotto il profilo della sua ricezione
più che della produzione o del suo significato intrinseco” in cui “il testo
mediale ha molti significati alternativi che possono tradursi in differenti
letture. Perciò il contenuto dei mass media è in linea di principio polisemico,
avendo molti possibili significati per i suoi lettori” (D. McQuail,
“Sociologia dei media”, pag. 223, Il Mulino, 1996).
IL SEGNO
Per Saussure il segno
è l’unione indissolubile di:
-
significante (la rappresentazione mentale dell’aspetto
fisico del segno)
-
significato (il concetto o idea cui il segno rimanda)
Per Saussure significante e significato sono come i due
lati dello stesso foglio; non si può cambiare l’aspetto dell’uno senza cambiare
l’aspetto dell’altro; se si divide il foglio a metà si divide simultaneamente
sia il lato del significante che quello del significato.
Secondo Saussure
in ogni atto di parole sono coinvolti tre processi:
- un
processo psichico un
concetto acustico associato a un’immagine acustica.
- un
processo fisiologico il cervello
trasmette agli organi della fonazione un
impulso
correlativo all’immagine.
- un
processo fisico le onde sonore si propagano dalla
bocca del locutore
all’orecchio
dell’ascoltatore.
Lo stesso processo
avviene in modo inverso nell’ascoltatore.
Secondo tale
modello è stata definita comunicazione ogni processo mediante il
quale una certa fonte fa passare attraverso un canale una certa
quantità di informazione, finché non raggiunge il destinatario.
Va notato che tale
modello della comunicazione nella Teoria dell’informazione si limita a
trasmettere una serie di dati mentre teorie della comunicazione
successive (tra i quali i modelli semiotici) hanno sottolineato
l’importanza che in tale processo vi sia una trasmissione del senso.
ESPRESSIONE E
CONTENUTO
Per Hjelmlsev una
semiotica è il rapporto in un segno tra il piano dell’espressione
(il cosiddetto piano dei significanti) e piano del contenuto (il
cosiddetto piano dei significati).
DENOTAZIONE E
CONNOTAZIONE
Hjelmlsev ha
parlato di semiotica connotativa per intendere una molteplicità
possibile di livelli di significato insiti in un segno.
Secondo le sue
teorie una semiotica connotativa è una semiotica il cui piano espressivo
è a sua volta una semiotica.
Vi sarebbero
dunque due livelli di significazione in un segno: la denotazione e la connotazione.
Per spiegare in
modo semplice tale distinzione con un esempio si può analizzare come segno la
parola “ulivo”. In tale segno la denotazione consisterebbe nell’oggetto
ulivo cui la parola si riferisce. La connotazione sarebbe invece
quell’insieme di significati e valori aggiunti di cui il segno è simultaneamente
portatore in una determinata cultura. Nel caso della parola “ulivo” il livello
connotativo starebbe dunque ad indicare per la cultura cattolica un significato
di “pace”.
I tre tipi di
segno in Peirce.
Secondo la definizione fatta da Peirce, i segni si dividono
in tre categorie:
- Indici La relazione tra segno e
cosa denotata è di tipo contiguo o in
connessione fisica
con l’oggetto.
es. la
banderuola in quanto indice del vento. Il fumo, il dito, ecc.
Anche la
fotografia viene fatta rientrare da Peirce in questo tipo di segni in quanto ci
sarebbe una contiguità tra la luce rifratta da un oggetto e il modo in cui
impressiona la pellicola fotosensibile.
- Icone C’è un rapporto di analogia,
somiglianza o metafora tra il segno e la cosa denotata.
E’ importante
notare come la scelta dell’analogia usata e dunque delle qualità pertinenti
del segno sia di per se un forte punto di vista in base al quale andremo a
caratterizzare l’interpretazione di una funzionalità o di un contenuto.
es. E’ tipico
il linguaggio dell’immagine pittorica.
- Simboli La relazione è arbitraria e convenzionale.
Es. la bandiera
come simbolo della patria.
Le parole sono
un esempio in questo senso sebbene si abbiano
Delle eccezioni
nelle onomatopeiche.
Rispetto ai
pittogrammi che attraverso l’analogia iconica facilitavano la comprensione del
livello denotativo del segno, l’alfabeto ha la caratteristica dell’economia,
ovvero della capacità di trattare concetti astratti attraverso la combinazione
di soli 21 simboli.
Vediamo in
riguardo a ciò le sei definizioni del termine ‘comunicazione’ che L. Gallino
fornisce nel “Dizionario di Sociologia”
della Utet per come sono sintetizzate da B. Valli nel suo libro
“Comunicazione e media”, Carocci ed., 1999, pag. 13-16.
Prima
definizione:
si ha comunicazione ogniqualvolta una proprietà, una risorsa, uno stato viene
trasmesso da un soggetto ad un altro comprendendo nella categoria dei soggetti
anche quelli inanimati. L’esempio del radiatore che comunica calore
all’ambiente circostante (Morris) è significativo del grado di genericità in
cui ricade questo tipo di definizione.
Più che per la
realizzazione di un prodotto multimediale questa definizione potrebbe forse
essere utile per definire alcune caratteristiche della struttura sociale
all’interno della quale circolano tali prodotti. E’ una definizione che in
qualche modo implica un’attenzione alla struttura complessa di connessioni tra
i vari enti che partecipano alla realizzazione e diffusione di un prodotto
multimediale e potrebbe forse essere utile per definire molto genericamente la
condizione del fornire gli strumenti, le competenze, l’accesso alla
comunicazione e dunque all’uso degli strumenti multimediali. Una parte dunque che
deve essere prevista all’interno del prodotto multimediale, ma che forse non è
propriamente adatta a chiarire gli obbiettivi comunicativi di un prodotto
specifico.
Seconda
definizione: è
quella assimilabile allo schema stimolo risposta, dove ogni comportamento d’un
essere vivente che ne influenza un altro rappresenta una forma di
comunicazione.
La pretesa che uno
stimolo (messaggio) determinato possa produrre un effetto (risposta o
comportamento) determinabile nel destinatario è stato uno dei principali luoghi
delle critiche che le ricerche comportamentiste in campo psicologico, così come
quelle della bullett theory nel campo dei media, hanno pesantemente ricevuto.
La mente delle persone, così come la loro organizzazione logico cognitiva,
varia da soggetto a soggetto e ciò determinerà risposte differenti; allo stesso
modo il contesto, la cultura, le abitudini influiranno fatalmente sulla
possibilità di una comprensione reale del messaggio da parte dell’utente di un
prodotto multimediale.
Se dunque non esiste
una formula per cui un prodotto multimediale confezionato secondo determinate
regole produrrà determinati comportamenti, al contrario una strategia mirata
alla persuasione che si avvalga di un’analisi completa dei vari fattori legati
al processo comunicativo potrebbe (sic!) avere i suoi risultati.
Sicuramente
l’obbiettivo di alcuni prodotti multimediali potrebbe essere esattamente quello
di influenzare anziché di comunicare, di influenzare più o meno
inconsapevolmente il modo di comportarsi delle persone (ad esempio indurle ad
un acquisto di un prodotto che potrebbe sembrare un comportamento utile per
soddisfare determinati bisogni), ma sebbene questo possa essere un possibile
obbiettivo, poco ha a che fare con quello che si vorrebbe intendere per comunicazione.
Terza
definizione:
si riferisce allo scambio di valori sociali che si effettua secondo regole
prestabilite: infatti con riferimento esclusivo alle società umane, si
definisce comunicazione qualsiasi scambio di valori sociali condotto secondo
determinate regole.
Rifacendosi agli
studi di Lévi Strauss, tali valori sociali favorirebbero o a seconda dei casi
sarebbero la conseguenza dell’esistenza di una ben determinata struttura
sociale. La lingua sarebbe una dipendente della struttura.
La multimedialità
è una delle nuove forme di alfabetizzazione sociale e in tal senso i prodotti
multimediali risentiranno, più o meno volontariamente del ruolo di essere
portatori dei valori della società che ne fa uso. Il linguaggio e la cultura di
un popolo si riversa ed influenza il linguaggio e le modalità d’uso degli
strumenti multimediali che dunque, al di là dei contenuti, saranno portatori di
un valore aggiunto nei loro messaggi, ovvero i valori sociali. Al contrario
alcuni prodotti useranno i valori sociali esistenti per connotare i segni, le
metafore e la retorica usata nella realizzazione dell’interfaccia del prodotto
multimediale per renderne la comprensione indirizzata verso un senso specifico
e più facilmente intuibile.
Da una parte
obbiettivo, dall’altra metodo, anche questa caratteristica della comunicazione
dovrà essere tenuta di conto in modo particolare. In particolare la
progettazione di una determinata struttura del prodotto multimediale influirà
pesantemente su ciò che tale prodotto potrà o vorrà comunicare.
Quarta
definizione: è
costituita dal passaggio o trasferimento di informazioni da un soggetto (la
fonte, l’emittente) ad un altro (il ricevente, il destinatario) per mezzo di
veicoli di varia natura: ottici, acustici, elettrici, idraulici ecc.
Anche questa
definizione trae spunto da una teoria, quella dell’informazione di Shannon e
Weaver, che ha avuto modo di essere pesantemente criticata soprattutto in
ambito semiotico. U. eco ha sottolineato come la comunicazione non si possa
ridurre ad un trasporto o a una circolazione di dati, ma implica la necessità
di un codice e di eventuali sottocodici che siano portatori di senso.
Dunque per
comunicazione non si può intendere il far arrivare un dato da una fonte ad un
destinatario ma al contrario va fatto arrivare un senso. Il senso non è innato
nelle parole, nei simboli, nei segni in generale; le discussioni in riguardo
hanno fatto discutere i filosofi fin dal tempo dell’antichità (un esempio per
tutti è la discussione sui nomi fatta da Platone nel suo Cratilo). Al contrario
il senso è il risultato dell’esistenza di un complesso sistema di codici condivisi più o meno parzialmente e
in modo sfumato, di relazioni, di intenzioni, di pratiche d’uso e di processi
ricorsivi il cui non tenerne in debito conto ridurrebbe la trasmissione di un
semplice dato a una molto probabile alterazione e deformazione del senso che
con esso si voleva trasmettere. La comunicazione è in ultima ipotesi sempre
deformazione, ma è sulla base delle previsioni di tale deformazione, così come
degli accordi conseguenti tra emittente e ricevente che si giungerà a
condividere un senso.
L’analisi del
trasferimento di informazioni è dunque
ancora una volta un discorso sullo strumento più che sul prodotto veicolato
dallo strumento. Sebbene ciò sia comunque un ambito rilevante nella
progettazione di un prodotto multimediale, altre parti sono probabilmente più
significative rispetto agli aspetti comunicativi.
Quinta
definizione:
quando due o più soggetti giungono a condividere i medesimi significati.
Creare un prodotto
in grado di far condividere un determinato senso attraverso l’uso di segni
progettati per essere uno strumento di traduzione tra modelli cognitivi
differenti è sicuramente una delle avventure più affascinanti in ogni tipo di relazione
umana. Che tali segni siano realizzati attraverso linguaggi differenti
(alfabetici, iconici, acustici, così come gestuali ecc.) sarà una ricchezza e
una qualità più che uno scoglio.
La creazione di
simboli, icone, di una mappa concettuale, l’uso di metafore, della struttura,
la progettazione dell’orientamento, della navigazione, dell’usabilità, così
come la creazione di gabbie grafiche e dunque lo sviluppo di un layout e di
stili determinati, saranno alcune delle parti fondamentali tese all’obbiettivo
di farsi portatori di un senso fornendo contemporaneamente la possibilità della
sua decodifica e quindi condivisione.
Sesta
definizione:
la formazione di un’unità sociale a partire da individui singoli, mediante
l’uso di un linguaggio o di segni o anche l’avere in comune elementi di
comportamento, o modi di vita, grazie all’esistenza di insiemi di regole.
Questa ultima
definizione pone l’accento su un’ulteriore possibilità ed obbiettivo di un
prodotto multimediale: quello di essere uno strumento di coesione sociale, un
luogo dove si crea comunità, non semplicemente un luogo dove si partecipa alla
vita comunitaria.
Una comunicazione
completa si ha secondo quest’ultimo punto di vista non solo quando esiste una
forma di dialogo che sappia tener conto dei differenti linguaggi usati da
coloro che partecipano all’atto comunicativo, ma quando esiste anche una
possibilità di partecipazione collettiva nell’atto comunicativo che diventi
luogo della creazione di un linguaggio comune, frutto dei continui interscambi,
delle correzioni, degli errori, delle emozioni e dunque degli accordi tra i
vari partecipanti ad una comunicazione in tal senso di tipo comunitario.
Ognuno deve poter
essere attore in prima persona e non semplice spettatore della comunicazione.
Un’interfaccia
multimediale dovrebbe dunque poter essere un’entità mutevole, risultante dalla
partecipazione interattiva degli utenti.
Se questo è molto
difficile realizzarlo su un supporto tendenzialmente statico come è il cd-rom,
è altresì una qualità specifica delle attuali potenzialità che le reti
telematiche possono fornire.
L’uso dunque di
e-mail, mailing list, newsgroup, di aree dove poter inserire file e non solo
prelevarli, può dar luogo ad una circolarità comunicativa il cui risultato sarà
una direzionalità specifica dell’evoluzione dell’interfaccia di un sito grazie
al contributo e lo scambio cooperativo tra gli utenti e tra questi e i
progettisti dell’interfaccia.
L’assenza del referente
Definito quanto sopra passiamo a descrivere la distinzione
che fa G. Gola (G. Gola, “Elementi di linguaggio cinematografico”, La scuola
Editrice, 1979) nel momento in cui definendo il cinema come un linguaggio di
immagini audiovisive in movimento, vi individua tre elementi
caratteristici: riproduzione, rappresentazione e trasformazione.
Il cinema come riproduzione della realtà.
Tale elemento sottolinea lo statuto fotografico
dell’immagine filmica.
Sebbene qualsiasi testo, quindi anche fotografico, presenta
degli elementi connotativi, la fotografia lega strettamente l’immagine alla
realtà referente determinandone i caratteri di oggettività e realismo.
In tal senso il medium fotografico è un medium che usa un linguaggio fortemente denotativo e che tra l’altro rispetto alla parola scritta ha dei grossi limiti nel rappresentare significati astratti.
Peirce fa non a caso rientrare il segno fotografico nella categoria degli indici.
Il cinema come rappresentazione della realtà.
Riprendendo le riflessioni fatte da R. Arnheim sul cinema
(R. Arnheim, “Film come arte”, Il saggiatore, 1960), Gola afferma che “la riproduzione cinematografica è
soltanto un calco parziale e manchevole della realtà e che l’immagine è
costituzionalmente irrealistica. Aggiunge e sostiene Arnheim: sono
proprio queste apparenti manchevolezze che consentendo al cinema di staccarsi
dalle cose, gli offrono delle possibilità creative (…) l’immagine
cinematografica non registra una impossibile totalità, ma del reale seleziona
alcuni aspetti, li deforma e li rappresenta secondo determinate regole
tecnico-linguistiche (…) il cinema è rappresentazione della realtà e non è mai
da confondere con la realtà rappresentata (...) il segno, l’immagine non è mai
assimilabile all’oggetto, il linguaggio audiovisivo non è mai tautologico o
passivamente speculare. Anche nei casi dei più banali documentari, il cinema media
necessariamente la realtà per la semplice esistenza di un campo ineliminabile
di scelte tecniche che si impongono in sede sia di ripresa che di montaggio,
nonché per il progetto complessivo perseguito dall’équipe realizzativi.”
Il cinema come trasformazione della realtà.
“Un film non è mai riconducibile aduna somma di immagini
sparse, ma si pone sempre come unità discorsiva, organizzazione temporale e
discorsiva di immagini audiovisive (…) La fotografia resta soprattutto un
analogon, uno pseudo reale; il film è soprattutto discorso… perciò, al fondo
della semiologia del cinema, si ritrova
ancora il montaggio (…) il cinema è trasformazione della realtà, discorso
sul mondo (…) all’aspetto della oggettività e passività riproduttiva si è
aggiunto quello della rappresentazione e trasformazione e quindi della
soggettività e manipolazione; ad un’idea iniziale di cinema come documentazione
fotografica è andata sovrapponendosi un’idea di cinema come finzione, giocata
su codici multipli ed eterogenei.”
Per proseguire questo raffronto tra la fotografia e gli
audiovisivi, notiamo che Bettetini individui nei new media un ulteriore
distacco rispetto al referente che viene considerato assente nella computer
grafica. Secondo Bettetini (G. Bettetini, “L’audiovisivo – dal cinema ai nuovi
media”, pag. 129, Bompiani, 1996) le immagini digitali sarebbero infatti frutto
del modello algoritmico della macchina e in tal senso avrebbero un distacco
totale dalla realtà che risulterebbe dunque assente. L’immagine digitale di un
albero potrebbe non avere nessun riferimento con il reale ma essere la sintesi
di un calcolo frattale che simulerebbe il reale in assenza di un referente.
(da G. Celant, “Off Media”, Dedalo
Libri, 1977)
Alcuni punti centrali:
o
L’uso
dei media implica:
§
un
nuovo linguaggio artistico
§
un
differente rapporto di interattività tra l’opera e lo spettatore
o
L’opera
come luogo e strumento di presa di coscienza individuale e sociale
o
L’opera
come atto di denuncia sociale
o
L’opera
come luogo comunitario
-
Bertold
brecht (1932)
o
La
radio come medium bidirezionale
o
La
radio da mezzo di distribuzione a mezzo di comunicazione
o
L’ascoltatore
diventa autore
o
La
radio gestita collettivamente dal basso
Bertolt Brecht, nel 1932, ipotizzando una radio gestita da
parte del proletariato, dichiarava: “si dovrebbe trasformare la radio da mezzo
di distribuzione in mezzo di comunicazione. La radio potrebbe essere per la vita
pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno
straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non
solo di trasmettere, ma anche di ricevere, non solo di isolarlo ma di metterlo
in relazione con altri. La radio dovrebbe di conseguenza abbandonare il suo
ruolo di fornitrice e far sì che l’ascoltatore diventi fornitore... Tutte le
nostre istituzioni creatrici di ideologie ritengono che il loro compito
principale consiste nel rendere sterile la funzione dell’ideologia,
uniformandosi ad un concetto di cultura secondo cui il suo sviluppo sarebbe già
concluso ed essa non avrebbe alcun bisogno di un incessante sforzo creativo”.
(G. Celant, “Off Media”, pag. 7, Dedalo Libri, 1977)
-
I
Futuristi (Martinetti e Masnata, 1932)
o
Esaltazione
delle tecnologie
o
I
media radio e televisione si sostituiscono ai tradizionali media artistici
senza però nel fare ciò modificarne gli statuti linguistici, così come il loro
carattere funzionale
o
Superamento
dei limiti di tempo e di spazio dell’opera tradizionale (nella diretta globale)
il programma brechtiano di un controllo sui media da parte
della base non è preso in considerazione dalle organizzazioni politiche
operaie, la gestione dei media é lasciata alla borghesia, che trova in
Marinetti e Masnata, autori nel 1933 del manifesto la Radia, i suoi
teorici. In questo scritto i futuristi prolungano il loro sviscerato amore per
le tecnologie avanzate e cercano di mantenere l’equilibrio tra l’arte e la
varietà di mezzi meccanici, ma non si preoccupano di un loro uso alternativo:
la radio e la televisione al pari delle tecniche tradizionali di espressione
(suo corrispettivo per immagini); sono i nuovi mezzi di estensione
dell’individuabilità e del “genio” italico: possediamo oramai una televisione
di cinquantamila punti per ogni immagine grande su schermo grande. Aspettando
l’invenzione del teletatilismo del teleprofumo e del telesapore noi futuristi
perfezioniamo la radiofonia destinata a centuplicare il genio creatore della
razza (sic!) italiana, abolire l’antico strazio nostalgico delle lontananze ed
il porre le parole in libertà come suo logico e naturale modo di esprimersi”.
(G. Celant, “Off Media”, pag. 7-11, Dedalo Libri, 1977)
-
Gruppo
Spaziale (Fontana, Burri, Tancredi, ecc., 1952)
Manifesto per la televisione
o
Trasformazione
della dimensione spaziale attraverso la televisione
o
Trasformazione
nell’estetica dell’opera. Un nuovo rapporto opera-spettatore a causa di
differenti modalità espositive e produttive.
Si deve nel 1952 al gruppo Spaziale, formato tra gli altri
da Burri, Fontana, Tancredi, Milani, La Regina e Crippa, il primo Manifesto
per la Televisione, che afferma : “Noi spaziali trasmettiamo, per la prima
volta ne mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove forme d’arte basate
sui concetti dello spazio, visto sotto duplice aspetto:
il primo, quello degli spazi, una volta
considerati misteriosi ed ormai noti e sondati, e quindi da noi usati
come materia plastica;
il secondo, quello degli spazi ancora ignoti del cosmo, che vogliamo
affrontare come dati di intuizione e di mistero, dati tipici dell’arte come
divinazione.
La televisione é per noi un mezzo che attendevamo come
integrativo dei nostri concetti. Siamo lieti che dall’Italia venga trasmessa
questa nostra manifestazione spaziale,
destinata rinnovare i campi dell’arte. E’ vero che l’arte é eterna, ma fu
sempre legata alla materia, mentre noi vogliamo durare un millennio, anche
nella trasmissione di un minuto.
Le nostre espressioni artistiche moltiplicano all’infinito,
in infinite dimensioni, le linee d’orizzonte: esse ricercano una estetica per
cui il quadro non é più quadro, la scultura non é più scultura, la pagina
scritta esce dalla sua forma tipografica.
Noi spaziali ci sentiamo gli artisti di oggi, poiché le
conquiste della tecnica sono oramai a servizio dell’arte che noi professiamo”.
La televisione esclude il decorativo, non produce oggetti né
immagini stabili, collocabili a muro o a pavimento; essa si esprime attraverso
i propri strumenti di produzione con caratteri alternativi rispetto a quelli
tradizionali del quadro e della scultura. E’ dunque illusorio pensare di
poterla usare senza operare anche una rivoluzione del sistema linguistico
dell’arte.
(G. Celant, “Off Media”, pag. 11-15, Dedalo Libri, 1977)
-
W. Vostell (1958)
La chambre noir
o
La
televisione come luogo dell’annullamento della coscienza individuale paragonata
ai campi di sterminio nazisti
o
La
televisione è uno strumento di contagio sociale e di mediazione tra lo
spettatore e il reale. L’opera il luogo dell’emancipazione dove svelare i
meccanismi di persuasione, di sudditanza e dove recuperare un rapporto diretto
tra l’individuo e la realtà (si intravede il rifiuto del meccanismo della delega
che il cittadino affida ai media come interpreti al loro posto del reale)
La televisione serve sì a spazzare via il concetto
romantico-nazionalistico di popolo, ma annulla la coscienza di spazio sociale:
lo spettatore é un consumatore domestico, incosciente della sua condizione
esterna, pubblico-politica. La sua coscienza sociale é sconvolta. Ad ogni
telespettatore l’informazione ed il divertimento sono imposti, egli acquisisce
dati e accetta passivamente tutto quanto l’emittente-base trasmette. I Giochi
Olimpici di Berlino continuano ed é su questa analogia tra nazismo ed
informazione televisiva che Vostell, nel 1958, realizza la Chambre noir, la caverna della memoria tedesca. Costruita
a triangolo equilatero, in modo che ogni lato equivalga l’altro, la Camera presenta
all’interno assemblaggi di oggetti e di immagini, che ricordano le stragi di
Treblinka e di Auschwitz. Su un lato una televisione accesa sui programmi
normali ricorda le carneficine e gli eccidi mentali, perpetuati quotidianamente
da questo medium. I gradi di connessione sono palesi e lo
spettatore-telespettatore viene definito nella sua avventura storica e
presente. L’esperienza tentata é quella di ritrovare l’evoluzione della
repressione e dei suoi rapporti con la produzione-distruzione di massa.
Estrapolando la televisione, tra gli elementi del
conglomerato personale, Vostell vuole dunque affermarla come strumento di
contagio sociale, che può essere formulato, in un senso o in un altro, a
seconda di una visione ideologica, politica o artistica. TV-dé-coll/age,
del 1959, fa ricorso alla televisione come strumento di mutamento
comportamentistico del tele-spettatore attraverso la comunicazione per immagini
a “milioni di spettatori”. Vostell si serve del medium per indicare un insieme
di azioni da eseguire. Il contesto é quello dell’happening teletrasmesso, nel
quale il processo di scambio non procede nei due sensi, ma é diretto
verticalmente da una fonte. Tuttavia per entrare in relazione con i suoi visori
anonimi, Vostell é costretto a rendersi consapevole delle caratteristiche
linguistiche della televisione; ricorre cioè al suo codice: all’inizio
un’immagine brucia per diversi minuti e la sua emissione tenta di incuriosire
lo spettatore, in seguito continua con una comunicazione di tipo autoritario che
dichiara la cattura ideologica del pubblico, e lo stimola ad un processo di
estraniamento. Tra le azioni suggerite, si invita lo spettatore a strappare (il
processo é naturalmente il dé-coll/age)
un’immagine pubblicitaria - di una bottiglia di wodka - riprodotta su una
pagina di rivista settimanale. La rappresentazione sorprendente di immagini o
di gesti inusuali tende a focalizzare un processo di estraniamento, che spinge
il telespettatore ad assumere la realtà (televisiva) in quanto ‘modificabile’.
(G. Celant, “Off Media”, pag. 15-19, Dedalo Libri, 1977)
-
Nam June Paik (1963)
o
L’opera
che si autorealizza in modo indeterminato attraverso il caso.
o
All’artista
viene sottratta la delega di autore e produttore dell’opera.
o
Autogestione
(economica) del mezzo televisivo.
Le prime alterazioni del linguaggio televisivo si devono a
Nam June Paik. L’artista coreano, allievo di Cage, che aveva già tentato nel
1959 un incontro tra scritture diverse e aveva progettato nel 1961-62 un pezzo
da trasmettersi contemporaneamente su entrambe le coste dell’oceano Pacifico,
ma é solo nel 1963 che giunge a con-fondere
linguisticamente, in senso operativo, musica e televisione elettronica. Usando
la tecnica cageana del linguaggio indeterminato e variabile, secondo il caso e il
chance ,method che escludono l’interpretazione soggettiva, Paik presenta, nel
1963 alla Galerie Parnass di Wuppertal (Germania) attraverso 13 Distorted TV
Sets, una trasmissione televisiva alterata dall’uso di magneti. Deformando
l’afflusso dei segnali elettronici, l’immagine perviene distorta: la quantità
degli impulsi rimane identica, ma muta la loro organizzazione formale.
Quest’alterazione é ottenuta da Paik intervenendo
tecnicamente con magneti sulla struttura interna di ogni singolo televisore. Questo - come il piano modificato di Cage - una
volta alterato nei suoi circuiti interni produce una successione di segni
arbitrari ed i segni hanno però la caratteristica di non essere organizzati, ma
lasciati essere. Un’attitudine di elettronica zen, per una televisione senza
autore.
L’alterazione del rapporto di sudditanza può infatti
avvenire solo quando l’artista potrà gestire in proprie la produzione
dell’immagine. L’occasione é offerta dalla messa in vendita, nel 1964, di una
telecamera portatile e di un video-registratore (il portapak) ad un ventesimo
del costo precedente, a cui si aggiunge una flessibilità mai raggiunta dal
normale equipaggiamento televisivo. Sorge la possibilità di fare televisione
in prima persona, al di fuori dei canali governativi e collettivi.
(G. Celant, “Off Media”, pag. 19 e 23, Dedalo Libri, 1977)
-
WGBH TV (Boston), WNET TV (New York), KQED TV
(San Francisco) (1967)
o
Esperimento
di TV autogestita collettivamente da artisti
o
Il
mezzo televisivo viene spostato verso una sua gestione di base, così come le
produzioni artistiche vengono spostate all’interno del medium televisivo
Nel 1967 la fondazione Rockfeller mette a disposizione i
fondi per la nascita di un programma televisivo, a circuito cittadino, l’WGBH
TV di Boston, gestito direttamente da artisti in residence. Subito dopo sorgono
la WNET Tv di New York e la KQED TV di San Francisco: Lo scopo comune é
l’uscita dell’esperimento televisivo artistico dal circuito ristretto degli
artisti o dai teatri e la sua entrata nei normali canali di trasmissione. Si fa
pure vivo il mercato dell’arte.
(G. Celant, “Off Media”, pag. 31, Dedalo Libri, 1977)
-
Nam
June Paik e Charlotte Moorman (1969)
o
La
tecnologia come estensione del corpo (vedi discorso di Mc Luhan).
o
Tentativo
di umanizzare la tecnologia.
Howard Wise; nel 1969, organizza TV as a Creative Medium
, una mostra televisiva, in occasione della quale Nam June Paik, con la
partecipazione di Charlotte Moorman, compone il Reggiseno televisivo per
scultura vivente.
Il lavoro consiste in Charlotte Moorman che suona il
violoncello, avendo come reggiseno due piccoli monitor, le cui immagini sono
determinate dal suono. La tecnologia funziona qui come seconda pelle e implica
una trasformazione sincronica tra persona e struttura elettronica. Il concetto
limite é di una partecipazione talmente profonda della persona all’evento
televisivo da diventare organica, dove il corpo é la televisione. Infatti,
secondo Paik “il vero problema implicito in “Art and Tecnology” non é fabbricare
un altro giocattolo scientifico, ma come umanizzare la tecnologia ed il mezzo
elettronico, che sta progredendo rapidamente: troppo rapidamente.
L’effetto ricercato e la diretta relazione tra comportamento
e mezzo, ogni gesto corrisponde infatti ad una figura sui tubi catodici.
Essendo applicato al corpo, il monitor inoltre non interpone spazio tra se e
l’esecutore. La caduta dello spazio intermedia conduce all’identità, il
tempo della propria azione é identico al tempo televisivo, lo spazio é comune,
la simbiosi tra i due comportamenti é totale.
(G. Celant, “Off Media”, pag. 31, Dedalo Libri, 1977)
-
Arte
e politica (1969/70)
o
Il
videotape diventa uno strumento di lotta
o
Uso
politico del videotape durante una campagna elettorale realizzata collettivamente
o
Rifiuto
dell’autore individuale e modalità operative collettive.
-
Radical
Software (1970)
o
Rivista
underground sull’uso alternativo del videotape
-
Guerrilla
Television (1971)
o
Paperback
cult della controinformazione
Ciò che succede dopo il 1969 riguarda una variazione d’uso
del linguaggio televisivo secondo la poetica individuale e l’implicazione
politica. Inoltre a partire dal 1970, accanto alle gallerie e le stazioni
televisive, si affiancano i musei e i gruppi politici: il video-tape entra
nella comunità, quale strumento d’arte e di lotta. Ira Schneider passa a
fondare e dirigere Radical Software, la rivista del movimento
underground americano, dove vengono spiegati i vari metodi d’uso alternativo e
politico del video-tape recorder,. Nel 1971 viene pubblicato Guerrilla
Television di Michael Shamberg, il
paperback diventano in pochi mesi il libro rosso della controinformazione
politica statunitense. Shamberg, insieme al gruppo di artisti, architetti e
designers, gli Ant Farm, e i membri della Raindancke, fonda la TVTV, la Top
Valute Television; il cui assunto politico della video guerrilla é di offrire
un’informazione radicalmente differente da quella distribuita dai diversi
canali televisivi americani. Il lavoro più interessante prodotto da questa
comune di specialisti della visione, della politica e dell’informazione é una
trasmissione di sessanta minuti sulle conventions democratica e repubblicana di
Miami Beach. Il programma prodotto con sistemi estremamente economici (il costo
fu di circa 20 mila dollari; contro i 20 milioni spesi dalle varie compagnie
televisive) suscitò la relazione delle compagnie, poiché offriva una visione
reale del caos e delle battaglie politiche sotterranee delle conventions, oltre
che una indagine sull’uso mistificante delle trasmissioni televisive, a
carattere nazionale. Attraverso l’uso
alternativo del video-tape recorder, lo scontro politico si arricchisce di una
nuova lotta, quella sull’informazione sulla documentazione. Il modello e la prassi
televisiva vengono rovesciati. Le minoranze iniziano a riconoscere come propria
solo l’informazione televisiva prodotta dai suoi appartenenti. Ovunque il mezzo
diventa un obiettivo di lotta e si impone come lavoro politico e creativo, che
mira a risultati concreti contro la videologia borghese. Il movimento
studentesco e quello operaio, alle fasulle trasmissioni ‘astratte’ del potere,
tendono invece a contrapporre la realtà dei fatti. Si arriva così a leggere e
vedere le cose direttamente senza la mediazione del regista.
(G. Celant, “Off Media”, pag. 47, Dedalo Libri, 1977)
-
Homebrew Computer Club (1971)
o
L.
Felsenstein e F. Moore fondano “l’associazione di libero scambio di
informazioni dalla quale uscirono venticinque tra le prime società d’informatica
della Silicon Valley (…) il risultato era un flusso di competenze che potevano
liberamente incrociarsi”
(da E. Guarneri, in AA.VV, “La carne e il metallo”,
pag.60, Editrice il Castoro,
1999)
-
Community Memory Project (1971)
o
L.
Felsenstein fonda “il primo progetto di telematica sociale del mondo (…)
“che consisteva nel mettere a disposizione nelle strade e in luoghi ad alta
frequentazione giovanile dei terminali di computer collegati in rete a un
grosso sistema, regalato dall’università perché obsoleto. Si trattava di una
gigantesca bacheca elettronica (BBS) non tanto per lo scambio dei messaggi,
quanto per la costituzione di un database che raccogliesse i saperi della
comunità”.
(da E. Guarneri, op.cit., pag.61)
Le ricerche linguistiche parallele: lo studio della pragmatica e la teoria degli atti linguistici
Nello stesso periodo in cui sta avvenendo questo mutamento
radicale nel campo dei media e dell’arte, nel campo della linguistica si stanno
sviluppando delle teorie particolarmente interessanti sotto il profilo di
un’attenzione rivolta agli atti linguistici che con una certa forzatura
potremmo forse mettere in relazione con l’attenzione sociale verso le pratiche
della comunicazione.
Intendo le ricerche di Grice (il principio di cooperazione)
e di Austin, così come l’attenzione che le analisi testuali in ambito semiotico
stanno rivolgendo alla pragmatica. La grammatica da una spiegazione della rappresentazione
semantica di un enunciato, ma non delle intenzioni del locatore o
della dimensione spazio-temporale dell’enunciazione.
“La rappresentazione semantica di una frase corrisponde, per
così dire, al nucleo di senso che è comune a tutte le enunciazioni della frase
in questione. Ma differenti enunciazioni di una stessa frase possono avere, e
in generale hanno, interpretazioni distinte. Lo studio della rappresentazione
semantica delle frasi è di competenza della grammatica; lo studio
dell’interpretazione degli enunciati dipende da ciò che oggi si chiama
pragmatica (un termine abbastanza infelice, proposto da C. Morris nel 1938, che
definiva la sintassi come lo studio delle relazioni formali tra segni, la
semantica come lo studio della relazione tra i segni e la loro denotazione e la
pragmatica come lo studio della relazione tra i segni e i loro utilizzatori o
interpreti…)” (D.
Sperber e D. Wilson, La pertinenza, Anabasi, Milano, 1993 in B. Valli, Comunicazione
e media, Carocci, Roma, 1999).
Il contesto e l’interpretazione diventano parte del senso
del testo. In tal senso anche l’opera d’arte si apre e non può ritenersi
conclusa se non nello scambio messo in atto tra emittente e ricevente.
E’ sempre all’inizio degli anni settanta che il filosofo
tedesco H.M. Enzensberger mette in luce un modo diverso di guardare ai media,
in qualche modo superando la diffidenza che la critica marxista riservava nei
confronti dei mezzi di comunicazione di massa.
Ecco la tabella con cui Enzensberger mette a confronto l’uso
repressivo dei media con un loro uso emancipativi:
Uso repressivo dei media Uso
emancipativi dei media
Programma centralizzato programmi
decentrati
Un trasmittente molti riceventi ogni ricevente è un potenziale
trasmittente
Immobilizzazione degli individui isolati mobilitazione delle masse
Comportamento passivo dei consumatori interazione dei partecipanti, feedback
Spoliticizzazione processo
politico di apprendimento
Produzione tramite specialisti produzione collettiva
Controllo da parte di proprietari o burocrati controllo sociale attraverso
un’autorganizzazione
(da R. Scelsi, “Il tabernacolo catodico e la paralisi
critica della sinistra”, in AA.VV, “La carne e il metallo”, pag.70,
Editrice il Castoro, 1999)
Attualmente le interfacce multimediali dovrebbero porre
l’utente nella condizione di essere lui il regista del testo che
sta usando. Di poter essere lui stesso
l’autore della messa in scena del testo.
Di fatto ciò accade raramente e solamente in quei casi in
cui il mezzo si apre a una sua scrittura da parte dell’utente stesso, che solo
in tali casi diventa realmente un autore.
Ciò avviene spesso nelle reti telematiche, ma quasi mai nei
prodotti off-line come i cd-rom, all’interno dei quali quasi mai è permesso un
accesso in scrittura all’utente.
Il senso del testo non è fisso, bensì mobile in relazione
non semplicemente al tipo di decodifica che l’utente opera sul testo nell’atto
della lettura, ma anche al tipo di connessioni che l’utente può operare tra i
contenuti scegliendo percorsi di lettura differenti.
Già presente nelle riflessioni artistiche del passato, il principio di partecipazione e cooperazione nello scambio comunicativo, così come nella produzione di segni artistici diventa nelle reti telematiche una potenzialità molto rilevante che verrà sfruttata da moltissimi artisti nell’ultima decade del XX secolo.
Situazioni internazionali come quelle che si raccolgono
intorno al forum digitale Nettime o intorno alle reti nazionali Cybernet,
E.C.N., così come nell’uso collettivo dello pseudonimo Luther
Blisset sono esemplificative in tal senso.
Sulla base delle ultime tendenze nell’uso artistico dei
media, vorrei andare a definire due differenti tipologie di uso artistico delle
reti telematiche:
-
La
rete come contenitore:
o
Il
mezzo telematico viene usato come supporto dove appendere una versione
digitale di quadri o lavori artistici già esistenti.
o
Le
opere come applicazioni software create appositamente per la rete, ma che non
mettono in discussione il rapporto unidirezionale tradizionale
autore/spettatore. Dunque l’opera come prodotto realizzato da un artista che
permette all’utente/spettatore di interagirvi all’interno di percorsi
prestabiliti limitandone una reale partecipazione creativa.
-
La
rete come opera
o
La
rete come luogo comunitario incrocio di relazioni e scambio di saperi. L’opera
diventa la trasmissione del senso non il segno che si fa portatore di tale
senso, quanto la struttura che ne consente una creazione ed interpretazione
cooperativa ed orizzontale. La comunità si fonda esattamente sui nuovi
linguaggi che emergono spontaneamente attraverso la struttura rizomatica della
rete.
Ecco che dunque vorrei fare un passo indietro descrivendo
un’opera musicale dell’artista fluxus G. Chiari degli anni ’60.
L’opera si intitola “Fuori”.
Ho avuto la fortuna di partecipare all'esecuzione del brano
di G. Chiari "Fuori" nel 1996 a Bologna.
Tale brano consiste nella presenza sul palcoscenico
dell'esecutore che sta con gli occhi chiusi ascoltando i rumori della sala .
Ogni qual volta sente un rumore, lo descrive verbalmente (ad esempio "un
colpo di tosse", "scarpe sul pavimento", "un foglio
stropicciato", ...). Tale brano dopo una prima fase induce lo
spettatore a "partecipare" al
brano stesso "provocando" volontariamente dei rumori che in seguito
saranno descritti dall'esecutore.
La mia fortuna in tale occasione fu anche un'altra, ovvero
il fatto che l'autore, Chiari, era presente all'esecuzione (non per caso dato
che era un concerto in omaggio al suo settantesimo compleanno) e a concerto
terminato parlando con l'esecutore gli fece notare che l'esecuzione del brano
poteva essere terminata prima, prima cioè che in sala si verificasse una sorta
di duetto tra pubblico ed esecutore, tra rumori provocati volontariamente e la
loro descrizione verbale.
Se da una parte tale affermazione potrebbe essere
giustificata dalla richiesta del "caso" nell'evento musicale, del
"non volontario", dall'altra, quella che preferisco, potrebbe essere
giustificata dalla richiesta di "comunicazione di senso" contro la
semplice "trasmissione di informazione" o ritualità e accademia della
comunicazione di senso.
Propendere per l'una anziché l'altra interpretazione
significa dare una diversa interpretazione al concetto di musica.
Da una parte come evento "spontaneo", legato al
sentimento, alla caducità delle cose, a una sua irriproducibilità, una sorta di
carpe diem del fluire musicale nella vita.
Sebbene credo che questa caratteristica sia presente nella
musica di Giuseppe Chiari, come anche l'aspetto partecipativo (alla base di una
certa parte delle esperienze musicali degli happening soprattutto dagli anni
'50 in poi) vi è una seconda interpretazione del concetto musicale su cui credo
vada posta l'attenzione in modo prioritario (pur non essendo per certi versi
scindibile da quanto appena detto): la musica come comunicazione di senso.
Mi spiego.
Ciò che credo intendesse fare Chiari quando ha scritto il
brano "Fuori" fosse fondamentalmente il comunicare al pubblico l'idea
che non è musica solo ciò che proviene 'dal' palcoscenico, ma anche ciò che
proviene da 'fuori' di esso.
L'evento musicale dunque non si risolve ne nei rumori in
sala, ne nelle descrizioni dell'esecutore, ne nel duetto messo in atto tra
queste due entità.
L'evento musicale si realizza, e si esaurisce, nell'
"atto di comprensione" da parte dello spettatore che egli stesso può
fare musica (ciò assume un significato ancora maggiore per il fatto che tale
istruzione proviene da un luogo, il palcoscenico di un teatro, da dove
normalmente proviene l'istruzione opposta, ovvero quella per cui solo pochi
musicisti posssono e sono in grado di fare musica).
Che poi lo spettatore metta in atto "in scena" ciò
che ha compreso diventa una forma di "accademia" della musica. Così
come il continuare l'esecuzione da parte dell'esecutore si riduce a semplice
"trasmissione di informazione" intendendo in questo caso una semplice
ripetizione priva di senso "aggiuntivo" a quello già comunicato (non
dunque "trasmissione di informazione" come passaggio di informazione
senza passaggio di senso).
In un'analoga distinzione tra semplice trasmissione di
informazione e comunicazione di senso (concetto nodale di molte teorie
semiotiche degli anni sessanta, periodo tra l'altro in cui Chiari realizza il
brano) vi è la differenza tra musica come sterile riproduzione accademica e
musica come vita.
Se la prima è normalmente una necessità del rendere la
musica (e il senso che le soggiace) una merce vendibile, la seconda è una
necessità evolutiva "almeno" per il genere umano.
Portare l'attenzione sull'atto comunicativo vuol dire dare
un'interpretazione degli happening meno rivolta all'atto partecipativo (o
interattivo) e maggiormente rivolta alla trasmissione di senso (o, se si vuole,
ne reinterpreta il concetto di "interattività" in quello di trasmissione
di senso attraverso le relazioni).
Sicuramente esclude a priori dagli happening la necessità
spettacolare.
E' in questo senso che un brano musicale si può risolvere in
una scritta, così come in una strategia, nel potenziamento di una trama di
relazioni, o altro; non per forza in un "evento di strada" o di
piazza.
Gli eventi della vita non sono quelli che si realizzano
"materialmente" "fuori" dal Palazzo, bensì quelli che
realizzati "materialmente" "dentro" o "fuori" dal
Palazzo sono innanzi tutto
"riconoscibili come" ma soprattutto "portatori di un senso"
"fuori" dal Palazzo.
Ovverosia, il loro senso e la loro riconoscibilità non
rientra nelle categorie del Palazzo.
La musica è della vita quella parte che crea i presupposti
affinché esista una "connessione di senso".
E' questo lo spirito con cui amo guardare agli eventi e alle
situazioni provocate dalle avanguardie storiche e dalla seconda avanguardia.
E' nel campo evolutivo un momento di "trasferimento di
risorse" necessario al modello di vita "sociale". "Risorse"
intese non tanto come necessità per la sopravvivenza o la riproduzione, quanto
per la garanzia di "autonomia" dell'individuo, dei suoi processi
intenzionali e dunque delle sue possibilità di esprimere forme di
auto-organizzazione nel modello sociale).
E' questo a mio avviso un elemento comune e importante anche
per la musica punk.
I concerti punk sono inscindibili dai luoghi dove sono
realizzati. Luoghi della ribellione, luoghi dove si matura e si confrontano
attitudini ribelli. Più che dalle note o dai testi stessi (che peraltro sono
spesso apertamente portatori di messaggi), vi è nel "rituale" del
concerto punk il voler "rendere possibile" una "situazione"
tale da scatenare una continua "libertà" di comunicazione non tanto
tra musicisti e pubblico, quanto tra pubblico e pubblico.
Creare l'atmosfera equivale a mettere in moto la connessione
e rendere possibile il far dialogare le attitudini.
Non è il pubblico a divenire musicista, bensì sono i
musicisti a divenire pubblico, ovvero a ritrovarsi parte di una situazione di
aperto e libero scambio di pulsioni e di senso.
Per la precisione i musicisti, insieme al pubblico,
diventano "strumenti musicali" essi stessi.
Ognuno suona l'altro e da egli viene suonato.
I centri sociali, così come gli altri spazi dove avviene
questa forma musicale, sono luoghi che "proteggono" (cito Primo
Moroni) la possibilità che al loro interno possano essere messe in atto tali
connessioni di senso libere.
Per questa caratteristica tali luoghi sono inscindibili
dall'evento musicale punk.
Ma il luogo della "battaglia" musicale non è
stabilito nelle strade (come alternativa al Palazzo), nei centri sociali (come
alternativa al Palazzo), nelle reti telematiche (come luogo della connessione
"non istituzionale", diffusa, priva di limiti geografici e con essi
nazionali e culturali), questi sono "attrattori" dell'evidenza di
queste strategie, ma il luogo della battaglia è innanzi tutto in ogni atto
della vita che in ogni luogo e in ogni forma comunichi un senso che restituisca
libertà agli individui.
Questa è della linea musicale del '900 lo spirito che amo
ricercare e rendere pratica.
M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach individuano nel modo
seguente una delle caratteristiche principali del paradigma sociologico
riconosciuto sotto la definizione di interazionismo simbolico:
“La società può essere considerata come un sistema di
significati. Gli individui condividono un patrimonio comune di significati
legati ai simboli della lingua e da questa attività interpersonale derivano le
aspettative – stabili e ugualmente condivise – che guidano il comportamento
secondo modelli prevedibili” (M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach, “Teorie delle
comunicazioni di massa”, pag. 51, Il Mulino, 1995). Tali osservazioni,
conseguenza delle riflessioni di Locke nel suo Saggio sull’intelletto umano,
così come di Kant nella sua “idea per cui gli esseri umani non reagiscono al
mondo esistente come realtà oggettiva, ma al mondo che essi costruiscono nella
loro mente” (M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach, op. cit., pag. 50), se
affiancate ai recenti assunti delle scienze cognitive per cui “le componenti
cognitive dell’organizzazione mentale di un certo individuo sono prodotti delle
sue precedenti esperienze di apprendimento, che possono essere state
intenzionali, accidentali, sociali o solitarie” (M. DeFleur e S. J.
Ball-Rokeach, op. cit., pag. 55) fanno capire quanto il sistema di relazioni e
di scambi messo in atto attraverso le reti può essere un formidabile mediatore
di conoscenza e crescita degli individui.
L’ARTISTA COME MEDIA
COME MEDIATORE DI RISORSE
TRA LE ISTITUZIONI E LO SVILUPPO DI COMUNITA’ NO
PROFIT
L’ARTE COME
TRASFERIMENTO
DI RISORSE
L’ARTE NEI LUOGHI
PUBBLICI
DEVE ESSERE UN
TRASFERIMENTO DI RISORSE
NON FINALIZZATO AL PROFITTO DEL SINGOLO
MA ALLO SVILUPPO COMUNITARIO
LINK =
PRESUPPOSIZIONI=PRESCRIZIONI
Esiste un forte legame concettuale tra le presupposizioni e
i link (collegamenti) sul web.
Entrambi funzionano contemporaneamente da costruzione di
senso, ovvero creano il topic e il percorso di lettura necessario per la
comprensione di un ambito conoscitivo.
Come le presupposizioni creano l’ancora e il rimando
necessario tra una frase e l’altra per comprendere la continuità del senso del
discorso, allo stesso modo i link nel web creano il rimando di riferimento di
una notizia a un’altra e dunque la contestualizzano conferendogli un
determinato senso anziché un altro.
Ma oltre a questa comune valenza di requisiti necessari alla
costruzione di un senso (comunitario per quello che riguarda gli utenti
internet, discorsivo all’interno di una conversazione testuale),
presupposizioni e link hanno la comune attitudine a manipolare il senso
attraverso la canalizzazione di esso all’interno di determinati flussi
significativi.
Come nel dialogo una presupposizione del locutore impone una
veicolazione del rapporto cooperativo entro determinati ambiti, allo stesso
modo la creazione di link nel web impone a un’informazione un percorso che si
riflette sulla competenza globale o comunitaria rispetto a tale informazione.
Quindi, come si ha potere dal modo in cui è possibile
veicolare una notizia, manipolandola attraverso determinate presupposizioni
(vedi i titoli di un giornale, etc.), allo stesso modo si ha potere nel
detenere la proprietà della mappa dei link; ovvero nell’essere proprietari
dello spazio internet di riferimento alla costruzione di mappe di link (vedi i
motori di ricerca), dei software e degli standard che impongono determinati
modi di archiviare (linguaggi di programmazione e archiviazione) una notizia o
di ricercarla (software push,...) e infine nell’essere i detentori degli
archivi dove andare a cercare una notizia (enciclopedie on-line, lessici
on-line) e di come ai termini in essi contenuti si crea un percorso
(presupposizionale) di rimandi.
Ugualmente e in modo ancora più significativo ogni semplice
pagina web è il luogo della costruzione di link e in essi di costruzione di
senso presupposto.
Analogamente il link tra le istituzioni e le comunità no
profit (centri sociali, aree di movimento, aree del volontariato, etc.) rischia
di essere il luogo della sussunzione del senso comunitario e relazionale degli
spazi no profit nelle logiche della new economy.
Il rischio è che tale link sia portatore di prescrizioni,
oltre che di presupposizioni, nocive per le identità comunitarie.
Il patrimonio genetico, le attitudini, i comportamenti, le
culture delle comunità no profit che in un ambiente isolato e protetto sono in
grado di rendere l’individuo artefice consapevole della costruzione della
propria identità rischiano di essere sussunti e di perdere la loro necessaria
autonomia e libertà.
A tal fine il ruolo dell’artista come mediatore di risorse
può essere un’espediente per garantire una connessione globale tra le parti che
ne permetta allo stesso tempo l’autonomia locale e la redistribuzione delle
risorse.
Nel continuo dibattito tra apocalittici e integrati
(contrari o favorevoli ai mass media), sia le teorie sociali sulle
comunicazione di massa, che la critica d’arte nei confronti del rapporto arte e
media, hanno vissuto uno scontro i cui termini di paragone vanno ridiscussi con
l’avvento dei nuovi media informatici.
Tali nuovi strumenti della comunicazione oltre a stravolgere i termini del dibattito pongono le basi per una nuova idea di opera d’arte in cui più della realizzazione di un prodotto finito conta la creazione di una rete di relazioni non solo fisiche, ma anche culturali e sociali.
Il sistema di relazioni e di scambi messo in atto attraverso
le reti può essere un formidabile mediatore di conoscenza e crescita
degli individui.
Il modello rizomatico della rete coinvolge ogni ambito, da
quello economico, a quello politico fino a quello della creatività e
dell’estetica. Un nuovo patrimonio di risorse evolutive sono a portata di mano
dell’umanità se solo avrà il coraggio di usarle senza egoismo e per il bene
collettivo.
Quindi il dibattito si sposta ora su alcune questioni
problematiche inerenti all’uso dei mezzi informatici e delle reti telematiche:
l’accesso, la privacy, la copia, l’informazione e la cooperazione.
-
G.
Celant, Off-Media, Dedalo Libri, 1977
-
B.
Valli, Comunicazione e media, Carocci ed., 1999
-
D.
McQuail, Sociologia dei media, Il Mulino
-
AA.VV.,
La carne e il metallo, Editrice il Castoro, 1999
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G.
Bettetini, L’audiovisivo – dal cinema ai nuovi media, Bompiani, 1996
-
M.
DeFleur e S. J. Ball-Rokeach, Teorie delle comunicazioni di massa, Il
Mulino, 1995
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M.
Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Bompiani, 1995