materiale ripreso da: http://www.provincia.venezia.it/medea/gab/digcity_2.htm

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UNA CYBERNAUTA VA AL CONVEGNO - Spunti e Appunti su Digitalcity (Parma, 25-27 marzo 1999)



E se le macchine diventassero più intelligenti di noi?


E' l'inquietante interrogativo posto al centro della lecture del primo giorno da Kewin Warwick , professore di ciberneticaWarwick all'Università di Reading, da qualcuno definito "il maggior profeta inglese dell'era robotica".

Molti ricorderanno, tra l'altro, che Warwick ha sperimentato su se' stesso cosa voglia dire essere un vero cyborg, facendosi applicare un chip sottocutaneo di circa 33 mm di lunghezza nel braccio. Tenne il chip per nove giorni, durante i quali fu un vero e proprio computer vivente

A Parma, Warwick ha fatto girare il suo chip tra il pubblico. Singolare, vedere come ciascuno di noi, avutolo in mano, non vedeva l'ora di liberarsene passandolo al vicino. ..

Cosa avverrebbe dunque, ci dice Warwick, se le macchine diventassero più intelligenti degli esseri umani?


"Stiamo rendendo le macchine sempre più intelligenti e arriveremo ad un punto tale che non è esclusa la possibilità che esse prenderanno il sopravvento su di noi".


E ancora:

"Le macchine sono capaci di apprendere, e perciò nel futuro non saremo più l'unica forma di vita intelligente del pianeta".



Noi siamo abituati a pensare che esista solo un tipo di intelligenza, quella umana. Ma i robots, le macchine, hanno anche loro una specifica modalità di apprendimento e un proprio modo di rispondere agli stimoli che provengono dall'ambiente esterno, e queste modalità non sempre sono prevedibili e gestibili da chi le programma.

L'ipotesi di macchine intelligenti e che si sottraggano al controllo dell'uomo fa però così paura che, per esorcizzarla,


l'essere umano sente il bisogno continuo di spostare il confine del concetto di intelligenza


Man mano che le macchine riescono a fare qualcosa in più, noi diciamo che si, va bene, però "...l'intelligenza sta altrove...".

Tra i tanti esempi offerti da Warwick, uno in particolare:

dopo la partita a scacchi in cui un computer ebbe la meglio su Kasparov, per mantenere l'idea della superiorità dell'intelligenza umana si era dovuti ricorrere al sofisma del


"...si, è vero, ha vinto la macchina, però la macchina è comunque meno intelligente di Kasparov, perchè Kasparov "sa" di avere perso, la macchina non "sa" di avere vinto..." (spostando in tal modo, appunto, il confine della definizione di intelligenza),


Warwick chiede allora a tutti noi:

"...Ma se la stessa cosa avvenisse non in una pacifica partita a scacchi ma durante una guerra, e le macchine fossero macchine di sterminio, sarebbe di qualche consolazione sapere che "si, però le macchine non erano consapevoli di quello che stavano facendo?..."


E questo esempio, con la guerra nei Balcani dietro la porta di casa, fa scorrere brividi nella schiena a molti dei presenti.



Macchine al di fuori del nostro controllo possono distruggere l'umanità.

Il confine tra ciò che sino ad oggi siamo abituati a considerare fantascienza e ciò che non lo è diventa ogni giorno più labile.




Ma le macchine possono anche guarire, salvare, ottenere risultati positivi là dove qualunque altro mezzo fallisce




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